Ops… inciampo su un’opera d’arte e la oblitero

“A pensar male si fa peccato, ma ci si azzecca”, diceva uno che la politica la conosceva bene; e con essa conosceva i suoi metodi, tecnici e umani, che quasi sempre superano quanto a fantasismi e spregiudicatezza qualsiasi immaginario distopico.

21 giugno 2025, Firenze, Uffizi: un visitatore inciampa mentre si fa un “selfie”, danneggiando irreparabilmente un prezioso ritratto seicentesco di Ferdinando de’ Medici, opera del pittore Nicoletto datata 1690. E va beh, capita.

12 novembre dello stesso anno, Roma, palazzo Piacentini Vaccaro, sede del ministero delle Imprese e del Made in Italy: l’assessore all’industria della Regione Sardegna (del Partito Democratico), partecipando a un evento pubblico, inciampa su un gradino e finisce contro una delle vetrate realizzate dall’artista Mario Sironi, mandandola in frantumi. Giusto qualche escoriazione prontamente medicata, e qualche scusa per la propria disattenzione nello scendere una rampa di scale larghissima, agevole e priva di qualsiasi intralcio (il video è disponibile ovunque)

Del resto, se un giornale per nulla fazioso come “la Repubblica” rimarca puntigliosamente l’origine non dolosa dell’accaduto titolando “una caduta del tutto involontaria”, non si può che pensare “…e falla pure esse volontaria!”.

Quella distrutta non è una vetrata qualsiasi: è un’opera dell’artista futurista Mario Sironi datata 1932 e installata nell’edificio che, al tempo, era sede del Ministero Fascista delle Corporazioni. La vetrata si chiamava “Carta del lavoro” e raffigurava lavoratori di arti e mestieri fortemente identitari (e oramai quasi del tutto spariti) mentre sono all’opera.

Era stata restaurata nel 2014, ma ora, data l’entità del danno, sarà difficile ripetere il miracolo. Ricordiamo che Mario Sironi, scultore, architetto, illustratore, scenografo e grafico, è stato fra gli iniziatori dell’Avanguardia Futurista, e negli anni Trenta ha teorizzato e praticato il ritorno alla pittura murale. Ha aderito anche alla Repubblica di Salò, tanto per renderlo ancora più simpatico a quegli apertoni abituati a giudicare il valore di un artista dalle sue idee politiche.

Ebbene, qui su Sdangher siamo tutti grandi appassionati di “passato”, ognuno a titolo diverso: in particolare, chi si occupa di critica metal celebra band e album dimenticati come non viene fatto su nessun altro magazine in Italia. E questo perché raccontare la musica che ha segnato il passato, rielaborandone l’attualizzazione, è l’unica chiave per una visione intellettualmente onesta del presente ed è da sempre la cifra di questo laboratorio-stalla di cultura e pensiero.

E allora domandiamoci cosa accadrebbe se ogni maldestro detentore delle matrici di album storici ne dissolvesse nel nulla i supporti con un “ops, scusate, ho perso il glassmaster!”: scomparsi gli ultimi collezionisti di copie, esauritesi le fan-base e la passione per quel determinato artista, nulla sopravvivrebbe a testimoniarne la memoria.

Anzi, i regimi in genere la detestano, la memoria: Napoleone soppresse i monasteri e con essi il sapere classico che vi era custodito; eppure cosa aveva da temere, Napoleone, da 4 fraticelli? Pasolini non è forse stato massacrato per far sparire le pizze di sue opere filmiche ancora inedite la cui divulgazione sarebbe stata esiziale per qualche “politbjuro” del sistema?

E, tornando al Metal, mancano forse all’appello patetici tentativi di cancellazione di parti di brani scomode successivamente eliminate nelle ristampe di “pericolosi” album di successo? O non accade forse già da tempo che recensori e scribacchini poco avvezzi a una postura eretta “tralascino” di recensire artisti finiti all’Indice o passati di moda?

O magari si scordino di menzionare partecipazioni illustri ma troppo ruvide su album che, per un motivo o per l’altro, sono costretti comunque a recensire? O evitino di pubblicare comunicati stampa relativi a compilation zeppe di celebrità metal singolarmente recensite sino a ieri, ma ora in compagnia di band R.A.C. o Oi, e quindi troppo imbarazzanti da menzionare su magazine dabbene? “Ops, scusate, mi sono scordato”; “ops, scusate, non c’ho pensato”; “ops, scusate, sono inciampato”.

Fatto sta che, fra un ops e una scusa, un inciampo e una distrazione, la cancel culture avanza indefessa con continui agguati a dipinti, monumenti, musei, chiese e quant’altro sia in odio al regime. E ha per complici comprimari i belati infami di quanti si farebbero inculare la madre piuttosto che difendere quei tesori lasciati in totale balia di invidie personali e livore politico.