HEAVY YOUTUBE – I profeti metallici del nulla

C’è un nuovo Olimpo Trash nell’universo del metal italiano: non è un palco spruzzato di sangue di suino, non è un pub lurido con l’amplificatore che gracchia, non è un demo registrato nel garage di tuo cugino. E no, non sono più le webzine, roba da museo, ormai derubricate e sempre meno frequentata. È YouTube. Il luogo sacro dove la cultura metal viene distillata, imbellettata e trasformata in fast food divulgativo al gusto merda e bacon e annaffiata con una Radler annacquata.

Youtube ha permesso la nascita di un nuovo esercito di “fenomeni da baraccone”, seguiti da “follower” di pari portata intellettiva. Siamo a un Circo Quagliarulo di borchie e catene che, salvo rarissime eccezioni, produce “junk food for junk people”.

Ho seguito in questi anni, per farmi del male, per sostituire Zelig e Colorado alla visione di alcuni di questi “nuovi mostri”, molti video dei nuovi profeti dell’acciaio e le risate sono state copiose. Risate sì, ma anche mestizia, tristezza e un senso di sconforto.

Questo è analfabetismo funzionale in formato 16:9.

Non farò nomi, ci mancherebbe, ma credo siano più o meno gli stessi che molti conoscono, sparsi in ogni luogo del Belpaese.

In più altri che non conosco e che spero di non conoscere mai.

Un identikit è facile da compilare: maglietta con logo “riconoscibile” (Iron Maiden, Slayer… massimo un Pantera per i più audaci).

Poster appeso storto, che fa molto “camera del fan vero anni ‘80”, pose sparate rigorosamente con sfondo libreria pieno di cd/dischi/pupazzetti/cimeli che fa curriculum.

Microfono USB da 29,99€ di Aliexpress, con l’audio che sembra registrato dentro un tubo catodico pieno di sterco di piccione.

E soprattutto: una pagina di Wikipedia aperta sul secondo schermo, da cui leggere con pronuncia e intonazione da bulgaro in Italia da sei giorni al corso per imparare l’italiano.

Voilà. Ecco il nuovo guru del metal su YouTube! Il copione è scolpito nella pietra:

“Il metal è ribellione.”
“I Metallica hanno cambiato tutto.”
“Il growl è quando sembra che stai per tossire un polmone.”
“The Number Of The Beast è un capolavoro”.

Sovente con un punto di domanda in fondo al titolo e sulla cover il volto tra il dubbioso e sconvolto dello yòtuber per invogliare il cliccaggio.

Il pubblico esplode nei commenti:
“Grazie fratello, non avevo mai capito che i Pantera erano potenti!!!”
“Finalmente qualcuno che spiega il metal con parole semplici!”

Eh certo, perché prima era un genere esoterico, accessibile solo con laurea in filologia scandinava e sangue di capra versato sull’altare consacrato a King Diamond!

E guai a provare ad approfondire. Non serve. Troppo scomodo. Se osi nominare i Moonsorrow, metà pubblico pensa sia una marca di yogurt greco. Se parli della scena underground francese, la chat chiede se per caso è un festival di cucina yiddish.

E se provi a citare un demo registrato su cassetta nel ’91, ti dicono: “Eh ma questo non è “l’eavymedal che vogliamo, non ci interessa.”

No, chiaro. Meglio risentire per la miliardesima volta che “Master of Puppets è leggendario.”

Breaking news! Domani ci diranno che l’acqua è bagnata e che il fuoco scotta. Il meccanismo è geniale: meno dici, più vieni premiato. Approfondire è suicidio. Dire banalità è monetizzazione. È la legge dell’algoritmo: l’ignoranza è SEO-friendly.

La folla acclama i suoi predicatori del nulla. Perché la massa non vuole sapere. Vuole solo sentirsi rassicurata che…

che gli Slayer sono sempre i più cattivi,
che i Maiden hanno le copertine più fighe,
che i Metallica “sono commerciali ma hanno fatto la storia”.
Che la musica va comprata in vinile o sei un traditore infame del medal

Un ciclo infinito di tautologie servite come se fossero rivelazioni divine di stampo massonico e segreto.

E poi c’è il capitolo più esilarante: le recensioni degli album.

Momento sacro. Momento di altissima critica musicale. Ti aspetti, chessò, un’analisi delle influenze, una contestualizzazione storica, magari un riferimento a un disco minore che spiega l’evoluzione di un suono. E invece no. La recensione è un bignamino da quarta elementare:

“Questo disco spacca.”
“Questo disco non spacca.”
“Questo disco non è come quello prima, ma nemmeno come quello dopo.”

Fine. Standing ovation, sipario, applausi a scena aperta.

E se il disco non piace? Mai dire apertamente: “fa cagare”. No! Bisogna inventarsi un lessico da diplomatico ONU: “Non è riuscito al massimo delle potenzialità” oppure “Ha degli alti e bassi”. Traduzione: merda tiepida servita in piatto d’argento. Ma guai a dirlo, perché il pubblico non è pronto alla verità. Deve sentirsi parte di un club esclusivo, ma esclusivo quanto un gruppo Facebook con 200.000 iscritti e meme rubati da Mimmo Modem.

Le interviste poi sono il top. C’è l’eroico youtuber che incontra un povero cristo di band emergente in un backstage al cesso del locale, armato di microfono da karaoke. E le domande sono sempre le stesse, scolpite sul marmo dell’idiozia:

“Com’è nato il nome della band?”
“Che rapporto avete con i fan?”
“Cosa significa per voi il metal?”

Risposte? Le stesse, in loop, da quarant’anni:

“Il nome è nato per caso.”
“I fan sono tutto.”
“Il metal è libertà.”

E giù commenti entusiasti: “Wow fratelli, grazie di cuore per la vostra sincerità!”.

Sincerità?

Ma questo è il diario delle Sturmtruppen del metallaro liceale, altro che sincerità!

Poi ci sono i tutorial dei musicisti wannabe, un’altra categoria da museo degli orrori.

Uno con la chitarra attaccata a un ampli del Lidl, che ti “spiega” come fare il riff di “Smoke on the Water” per la 18esima volta quest’anno.

“Guardate, è facile!” dice, mentre sbaglia pure lui.

Pubblico in delirio: “Grazie maestro!”.

Maestro de che? Maestro del Do maggiore stonato?

E attenzione: i veri virtuosi, quelli che suonano davvero, non li guarda nessuno. Troppa fatica. Meglio un idiota che suona due power chord e ti racconta che “con questi diventi il nuovo Kirk Hammet”.

Ma la parte più tragica arriva con le live reaction. Ecco l’apoteosi della stronzaggine, la sintesi perfetta del nulla cosmico: uno che guarda un videoclip (che conosce già) e finge di stupirsi come se fosse la prima volta. Faccia da ebete, pausa drammatica, commento geniale:
“Raga, che botta!”
“Questo pezzo fa sballare!”
“Non me l’aspettavo!”

Non se lo aspettava?

“Master of Puppets”… non se lo aspettava? Ma dov’era negli ultimi trentotto anni, su Marte a defecare con i Teletubbies?

Ma la gente ci casca, applaude, mette like.

Perché?

Perché è rassicurante: nessuno ti mette in difficoltà, nessuno ti chiede di pensare, basta battere il piedino e commentare: “Grande fratello, emozione pura!”.

E infine la ciliegina sulla torta: i guru dell’algoritmo, quelli che aprono ogni video con la formula liturgica: “Iscrivetevi al canale, attivate la campanellina e lasciate un commento qui sotto.”

È la nuova preghiera del metallaro da salotto. Altro che “Ave Satani”, altro che “Metal up your ass”: la vera invocazione è “Clicca qui”.

Perché ormai il metal non è più sangue, sudore e ruggine. È un call to action, un banner pubblicitario travestito da passione.

E allora eccoci qui: i “profeti metallici del nulla” non parlano di musica, non parlano di vita, non parlano di un cazzo. Parlano di loro stessi, delle loro smorfie, dei loro like, delle loro pose. E sapete cosa, il loro tempio digitale funziona. Funziona alla grande.

Funziona da Dio. Perché in fondo, alla gente, non interessa conoscere. Basta che qualcuno dica con tono sicuro: “Questo riff è epico”, e subito diventa Verità. Il pubblico non vuole sapere, vuole solo commentare, essere protagonista sotto a un video, sentirsi coccolato senza essere scosso nelle sue certezze. Soprattutto non vuole che ci sia qualcuno che ne sappia più di lui, deve essere percepito come suo pari, uno della comitiva, l’amico metallaro compagno di bevute e concerti.

Fanculo il resto! Così YouTube ha realizzato il sogno proibito: trasformare il metal in una lezione di educazione civica, ma di quella facile con le figure senza testo.