Jeff Lieberman: Da ragazzino ero inondato da campagne di propaganda sulla paura su ciò che le radiazioni atomiche avevano fatto ai sopravvissuti di Hiroshima e cosa avrebbero fatto a noi. Erano tutte stronzate per unire il mio paese contro la temuta Russia “rossa” e, a sua volta, giustificare altri miliardi per costruire nuove bombe da usare per proteggerci. Hollywood si rese conto che il governo stava spendendo milioni per spaventare a morte i nostri giovani, quindi perché non sfruttare quella paura? E così nacque un certo tipo di cinema di fantascienza. Ho adottato lo stesso criterio per realizzare Blue Sunshine.
Jeff Lieberman è un regista “riemerso” da una ventina d’anni circa; vale a dire da quando uscì “Satan’s Little Helper” suo insperato ritorno al cinema. Un momento, non sto dicendo che questo suo rientro sia stato un successo e che dovreste quantomeno conoscerlo per sentito dire; che poi in Italia è uscito con l’anonimo titolo Halloween Killer.
Dico solo che Satan’s Little Helper fu l’occasione per siti e riviste specializzate di spiegare a tutti noi chi era e soprattutto chi era stato Jeff Lieberman. Verso la fine degli anni dieci di questo nuovo secolo, Zelati, in qualità di collaboratore di Nocturno, lo intervistò per un dossier dedicato a una serie di registi “minori” del genere. Credo che intervistando il regista in modo sistematico sulla sua breve filmografia, abbia offerto il più importante contributo uscito in Italia su di lui fino a oggi.
Da lì è stato facile collegare insieme alcuni film che, magari la gente conosceva già e che non ricollegava allo stesso artefice.
I carnivori venuti dalla Savana in particolare era abbastanza noto da noi, ma considerato come roba di serie B a partire dall’anno in cui uscì fino alla fine del millennio.
Fu un successo internazionale di pubblico ma la critica seria lo ignorò per decenni.
Negli anni 70 la critica seria faceva così con la stragrande maggioranza di quei film e quei registi che al tempo sguazzavano nel genere. Fingevano che non esistessero e preferivano duellare sui film di Antonioni, ignorando quanto fosse stretto il legame tra questo grande autore e un certo rinascimento horror.
Oggi Wes Craven, Tobe Hooper o John Carpenter sono considerati i Leonardo, i Donatello e i Raffaello del Rinascimento slasher-gore chiamato New Horror e ormai è diventato fin troppo facile esaltare i loro film e guadagnarsi un plauso sguaiato di un numeroso pubblico festivaliero. Così sarebbe se un numeroso pubblico leggesse ancora articolo come il mio. Forse a pensarci non l’ha mai fatto. Non in gran numero, ecco.
“All’epoca, non me ne accorsi. In seguito, un’etichetta venne semplicemente appiccicata a quel periodo, oppure si scoprì una tendenza. Lo stesso vale per quelli che chiamiamo gli anni Sessanta “gli anni Sessanta”. Jeff Lieberman
Nessuno negli anni Sessanta diceva: “Ora sono negli anni Sessanta”. È un termine usato per descrivere un’epoca conclusa dalla generazione successiva. Tutto ciò che viene definito “anni Sessanta” è altrettanto facilmente il periodo tra il 1967 e il 1973. Vogliamo semplicemente presentare molte cose nel modo più semplicistico possibile, una sorta di “sovrapposizione” natalizia.
Woodstock del 1969 è descritto come l’apice degli anni Sessanta. Un anno dopo, il concerto dei Rolling Stones ad Altamont segnò improvvisamente la fine degli anni Sessanta. Se nessuno fosse stato accoltellato a quel concerto, Altamont sarebbe stato semplicemente un concerto dei Rolling Stones, estraneo a qualsiasi epoca.
Non fu a causa di quella morte a quel concerto che gli anni Sessanta diventarono improvvisamente gli anni Settanta. Certo, c’è un confine di calendario perché si va dal 1969 al 1970, ma psicologicamente o mentalmente, questo non significava nulla. Gli anni Sessanta semplicemente continuarono negli anni Settanta, e non ci fu una vera differenza tra il 1968 e il 1971.
Ero a Woodstock, e il modo in cui Woodstock viene presentato come un’icona è una stronzata. Chiunque si drogasse lì a quei tempi non era rappresentativo degli anni Sessanta. Chiunque assuma droghe oggi reagisce allo stesso modo di Woodstock di allora. Nulla è cambiato davvero. Le cose universali vengono attribuite a un’epoca specifica, ma non è così. Lo stesso vale per le manifestazioni e le proteste civili. Se i servizi di sicurezza nazionale lanciano gas lacrimogeni oggi, non sono diversi da quelli degli anni Sessanta. È semplicemente la storia che si ripete o che continua a esistere. I gas lacrimogeni rimangono gas lacrimogeni. Jeff Lieberman
Zelati, sia nel dossier per Nocturno che in un libro successivo pubblicato da Profondo Rosso Editore, mise anche Lieberman in mezzo a quella baruffa di autori e artigiani sparpagliati tra la fine degli anni 60 e l’inizio degli anni 90, tutti incasellati nell’irripetibile era del New Horror.
Potremmo discuterne partendo dalle considerazioni dello stesso regista, ma chi ce lo fa fare? Personalmente concordo nel dare al povero Jeff l’attenzione che merita perché è uno che ha fatto il proprio corso nel cinema, con buone dosi di inquietudine e sfrontatezza e che, oggi, grazie alla rete e alle grandi possibilità di reperimento di vecchi film, possiamo mettere in fila “Squirm” (titolo originale dei Carnivori), “Blue Sunshine” (da noi “La sindrome del terrore”), “Just Before Dawn” (mai uscito in Italia) e “Remote Control” (da noi “Videokill”).
Chiaro quanto Jeff Lieberman fosse non uno qualunque nel cinema di genere e che forse avrebbe potuto contribuire di più se non fosse stato un tipo tanto irrequieto.
“Magari avessi un’intervista di quel tempo per farti vedere com’ero. Non me ne fregava niente, avevo venticinque anni e pensavo ancora di dovermi fare il mondo. Oggi i giovani hanno così tanta ansia di farsi conoscere dagli Studios e a me all’epoca gli Studios chiedevano cosa avrei voluto fare, mentre gli rispondevo che non sapevo neanche se avrei continuato col cinema o no. Ero uno stronzo senza ragione, una specie di punk prima del tempo, un ragazzo autodistruttivo”. – Dichiarazioni rilasciate a Zelati di cui sopra.
Di tutti i film che Lieberman ha realizzato, probabilmente Blue Sunshine è quello che rispecchia al meglio la sua verve polemica e ribelle. Ancora oggi molto di esso rappresenta il suo modo di pensare e di leggere la realtà politica americana, anche se a volte le letture dei critici si sono avventurate in zone franche. Tipo questa:
In effetti, uno degli aspetti più interessanti, ma meno discussi del film, rimane la relazione marcatamente desessualizzata tra Zipkin e la protagonista femminile Alicia Sweeney (Deborah Winters), che indica anche un interesse per i legami eterosessuali conflittuali che attraversa molte delle opere del regista. CINEXESS
Per la verità, l’attitudine generale di Lieberman, almeno in Blue Sunshine è di evitare scene di sesso e violenza. Il film è molto economico. Da uno stanziamento iniziale di 3 milioni di dolleri, la produzione, considerando il soggetto e il tipo di risultato conseguibile in termini di vendita, scese a cinquecento. Purtroppo il film, nonostante l’assenza di problemi con la censura e i vari divieti “ai minori di”, incappò in una sciagura ben peggiore: il plauso della critica e la fama di horror intellettuale. Questo bastò a mandare all’aria le speranze di grandi incassi.
Per quanto poi Jeff se la sia sempre presa con la mancanza di una distribuzione adeguata per i suoi film, io ricordo l’effetto che mi fece leggere trama e considerazioni intorno a Blue Sunshine e non mi ci vedevo con un secchio di pop-corn e una ghirba di coca-cola a guardarlo, ma con un block-notes e una matita per riflettere su tutti gli spunti.
Si può intellettualizzare qualsiasi cosa e scovare un filo rosso di implicazioni psico-socialiste in una serie di lungometraggi diretti dalla stessa persona, ma nel caso di Jeff, la questione era assai meno complessa, per sommi capi. Si trattava di un ragazzo che non sapeva se volesse fare il regista per tutta la vita. Intanto era ciò che faceva e anche molto bene, ma era sempre un tormento di addii, fughe e ritorni tra un film e l’altro.
Se volete è questa la cosa da scovare lì in mezzo, ma la critica e persino l’agiografia puntano più sulle pittoresche interpretazioni dei sogni e soprattutto gli incubi di una società. Da circa trent’anni si usa l’horror come cartina al tornasole delle nostre nevrosi. L’inferno che la macchina rilancia al pubblico è la confessione di uno stato transfobico di chi governa quella macchina. Così lo spettatore riconosce le psicosi che alimentano il processo industrial-capitalistico e il suo bisogno di spaventosità.
Io invece preferirei soffermarmi sulla biografia del regista (che nel caso di Blue Sunshine e Squirm) è anche lo sceneggiatore. E quindi userei come chiave d’accesso l’istinto ribelle e suicidario di Lieberman come uomo di cinema. In Blue Sunshine e in particolare nel personaggio di Jerry Zipkin c’è il suo desiderio di sfuggire a un incasellamento sociale. Altro che sterilità sessuale. Provate voi a scopare quando avete capito che anche l’energia sessuale è usata come motore di produzione.
Blue Sunshine chiaramente non era un film commerciale. Era troppo strano ma non così inaudito, era solo più in linea con le cose canadesi che i prodotti hollywoodiani di cui fa comunque parte.
“Una nuova, verosimile mutazione, sull’onda degli stilemi cronenberghiani”, ha scritto con sicurezza il critico Domenico Cammarota all’inizio degli anni 90 nel suo Storia del cinema dell’orrore 3, a proposito di Blue Sunshine. Il critico lo infila nel capitolo dedicato alle Mutazioni; fra due guanciali di nuova carne: Il demone sotto la pelle e Rabid.
Cronenberg? Ma se all’epoca non avevo nemmeno visto i suoi film. In quegli anni c’era un solo regista che lavorava nel genere a cui prestavo attenzione e che mi impressionava. Era Brian De Palma. Pensavo fosse un genio. Veniva costantemente criticato per aver cercato di imitare Hitchcock, ma la sua personalità traspare in tutto ciò che faceva. Hitchcock non ha mai usato la macchina da presa come De Palma, non ha mai avuto quell’umorismo incredibilmente feroce in tutto ciò che faceva. John Carpenter e Wes Craven non sono al suo livello e mi sorprende che nessuno parli di quanto fosse rilevante in quella stagione cosiddetta del New Horror. Carrie, Sisters, Phantom Of The Paradise… insomma che altro volete? – Jeff Lieberman
CAPITOLO 2 – DRUGS FROM THE FUTURE
Come ogni grande film di genere, ci accorgiamo che non raccontava la realtà in cui era ambientato temporalmente, ma il futuro. Oggi quella storia, tranne per la questione dell’alopecia, è tutta vera, è nelle strade d’America, come possiamo vedere da infiniti reel in cui la gente striscia lungo i marciapiedi ridotta come zombi, o si desquama o aggredisce estranei digrignando i denti e sputando schiuma nei casi più estremi.
Al tempo Lieberman prese lo spunto da una serie di dicerie messe in giro dal governo sui risvolti terribili che l’uso di LSD poteva riservare alla gente. Erano cazzate e lui che aveva provato quella droga, lo sapeva benissimo, però decise di prendere tutto alla lettera e farne un horror.
La droga del film si chiama appunto Blue Sunshine e non ha nulla a che vedere con LSD; a parte la nascita e la provenienza, vale a dire gli stessi ambienti studenteschi e contro-culturali dei giovani progressisti, ma gli effetti sono tutt’altro che epifanici e liberatori: producono una smania omicida e appunto l’alopecia.
Scrive a riguardo Cammarota nel 1992: Lieberman oggi può stupirci per la sua preveggenza circa l’immissione sul mercato di nuove droghe sintetiche, dagli effetti devastanti: tipi i “capelli d’angelo”, il “crack” che sta ampiamente diffondendosi (a causa anche del suo prezzo quasi irrilevante) anche in Italia ecc. Ma non è tutto, l’alopecia acuta che si sviluppa nel film (cioè in parole povere la caduta totale dei capelli e peli in seguito all’atrofia del bulbo oculare) è diretta conseguenza di un’infezione, poiché nella realtà l’alopecia si può prendere anche attraverso il flagello della lue.
La Lue sarebbe la sifilide. Cammarota è un po’ in fissa con gli aspetti peccaminosi del Blue Sunshine. Nel suo libro associa la sintomatologia fisica allo studio dei corpi dei processati per stregoneria al tempo dell’Inquisizione. “Il corpo manifesta le colpe interiori”. Negli anni 80 molto del body horror parte da questo assunto, secondo lui.
Per quanto mi riguarda non c’è colpa nel cinema di Cronenberg ma ce n’è molta in quello di Carpenter: basta vedere l’esplosione mutante in La Cosa. Anche gli ammalati di Blue Sunshine, quando sono scoperti, spesso da qualcuno che gli toglie il parrucchino dalla testa, rivelano d’impeto una natura che fino a poco prima, forse grazie al parrucchino, riuscivano ancora a tenere a bada.
Blue Sunshine è un film che infonde un senso di angoscia in relazione alle persone calve e anche solo questo lo rende originale e imperdibile.
In effetti, una figura di uomo o donna senza capelli ha qualcosa di alieno e minaccioso. I manichini nei vecchi depositi dei magazzini sono a volte stati usati per scene di grande efficacia in diversi film; ne parla persino Freud nel suo saggio sul perturbante. Forse ci disturbano perché richiamano la quiete fissità dei cadaveri, così come le bambole o i robot; persino il Testa di latta del secondo Non aprite quella porta di Tobe Hooper, ha un rapporto “disvelante” collegato al proprio parrucchino. (E tra manichini e robot non dimentichiamo gli spaventevoli automi del capolavoro L’uomo della sabbia di E.T.A. Hoffmann).
E il modo in cui questi consumatori della droga pericolosa rivelano la propria “malattia” è gestito da Lieberman in maniera davvero interessante.
Specie il primo caso; quello di Richard Crystal (Frannie Scott).
L’uomo è in un piacevole momento di una serata tra amici. Sono i suoi cari compagni di una vita. Loro lo conoscono bene e sanno cosa può fare con la voce. Gli chiedono di cantare un brano stile crooner. Lui inizia e dopo pochi secondi io spettatore rifletto su come la capacità incantatoria del buon cantante riesca a trasformare un piccoletto poco attraente in un tipo affascinante e pieno di potere sociale. Lui prende una delle ragazze che lo attorniano e la fa ballare, poi la mette in posizione per il bacio e si appresta a farlo. Il fidanzato di lei, scherzosamente, mentre lui si china per simulare un bocca a bocca, lo prende per i capelli ma gli resta in mano il parrucchino.
Frannie si gira, è calvo, ha lo sguardo allucinato e all’improvviso fugge dalla stanza. Restano tutti senza parole. Non sapevano che fosse diventato pelato. Jerry, il suo migliore amico, va a cercarlo per parlarci. Gli altri lasciano la casa per divertirsi altrove, ma alcuni restano. Tre ragazze guardano la porta da cui è uscito l’ospite parrucchinato e se la ridacchiano tra loro.
Basterebbe questo a turbarmi. Il dolore e la follia che quel parrucchino tenevano nascosti. Poi si scopre che c’era molto di più.
I malati di Blue Sunshine escono a galla piano piano e sono rappresentanti dei più disparati aspetti della vita sociale: c’è un poliziotto stimato; una donna borghese e divorziata; il braccio destro di un candidato politico. Tutti hanno un elemento in comune: assumono droghe, in particolare una. Ma chi gliel’ha spacciata?
Ovviamente qualcuno di insospettabile.
Lieberman ha realizzato Blue Sunshine in un momento in cui per lui era inevitabile che l’opera rispecchiasse completamente la sua visione e le sue necessità espressive, per questo è in tutto e per tutto un film d’autore e offre speculazioni in questo senso. Ma se andiamo già al successivo Just Before Down, quello è solo un film di genere che ha voluto girare per vedere se ci riusciva, cimentandosi con qualcosa di commerciale e concepito da altri.
Per quanto sia uno slasher davvero ottimo, Just Before Down non è come Blue Sunshine. Non ha quel senso di imprevedibilità. Qui siamo in un gigantesco brutto sogno e l’interpretazione del protagonista, l’allora attore Zalman King, lo rende quasi una roba espressionista.
Il film si concentra sulla difficile situazione di Gerry ‘Zippy’ Zipkin (Zalman King), un ragazzo che ha abbandonato la scuola e che trova difficile adattarsi ai mutevoli valori sociali e alla scena sociale che gli ex radicali si trovano ad affrontare nell’era post-hippy. (CINEXESS)
La sua intensità che probabilmente non era esattamente ciò che avrebbe voluto offrire davvero al film, carica tanto l’andamento della storia. In effetti è secondo me la cosa più sovversiva di tutte; perché a scoprire di questa droga e il collegamento che c’è tra tutte le persone con l’alopecia che ammazzano la propria famiglia o i vicini di casa, senza spiegazione, sia proprio un tipo come lui. Sembra integrato, si veste bene e ha un’aria quieta e intelligente ma è un senza tetto, ex promessa all’Università e completamente disadattato nel mondo fuori.
Jeff Lieberman : È stato molto difficile lavorare con lui perché non era un vero attore professionista, anche se credeva di essere migliore di alcuni attori professionisti molto famosi. Quindi è stata una battaglia fino in fondo. Poi alla fine venne da me e si scusò. Disse che era dispiaciuto di avermi rovinato il film con la sua interpretazione e mi prometteva di non recitare mai più. In effetti dopo Blue Sunshine ha fatto il regista.
Devo ammettere che in parte ho passato il tempo a domandarmi come Jerry Zipkin faccia a girare con degli abiti così fighi (è vestito come il tipo che prende fuoco sulla copertina di Wish You Were Here dei Pink Floyd) e non avere una doccia, una casa, un armadio, una tavola da stiro…
Più il film va avanti e più la scelta di quell’abito si rivela inadeguata. Jerry corre, spara, cade, lotta… A un certo punto è praticamente ricercato da tutto lo stato, il suo viso è noto su giornali e TV; la polizia lo ritiene responsabile di alcuni omicidi. A questo aggiungete l’interpretazione leggera come un macigno di Zalman King.
Quando verso la fine entra in un negozio con l’aria sconvolta, comunque gli vendono una pistola e come critica alla politica delle armi USA è geniale. Non avendo un lavoro, una casa e probabilmente un portafogli, non capisco dove trovi i soldi per acquistare l’arma. Il ragazzo che gliela vende, sembra gli stia spacciando un nuovo tipo di stupefacente o un prodotto particolarmente avveneristico in un sexy shop. Non si tratta di una pistola normale, serve a sparare una siringa di tranquillante, di quelle che si tirano ai leoni fuggiti dai circhi.
E al proposito, Blue Sunshine ha questo finale che è una gigantesca citazione di Frankenstein, probabilmente grazie all’interpretazione di Ray Young (Wayne Mulligan) nella discoteca e poi nel centro commerciale.
Jeff Lieberman ha girato il film dopo la morte del padre. Non è una cosa di cui parla volentieri, ma sovente la riconosce non come fonte d’ispirazione ma di afflizione in un contesto di lavoro intenso e difficile: faceva il film per non impazzire.
A dire il vero, confrontando alcune interviste ho finito per confondermi sulle effettive dinamiche tra la lavorazione, l’ideazione e la post-produzione collegati alla morte del papà, ma importa poco. C’è tanta di quella rabbia e disillusione che l’epilogo pessimistico probabilmente è la cosa più prevedibile.
Tolto lo scontro finale con il gorilla del candidato diabolico e che butta un po’ tutto in caciara, la chiusa scivola sull’incolumità del personaggio di Ed Fleming (Mark Goddard). Come politico dell’Apocalisse fa il paio con il senatore Stillson de La zona morta. Lui non è minimamente scalfito dalla vicenda Blue Sunshine di cui è il mefistofelico responsabile. È forse il personaggio più inquietante perché non prova assolutamente nulla, come ogni serial killer narcisista che si rispetti. Pensa a farsi eleggere a colpi di slogan tipo “It’s Time To Make America Good Again???” Cosa vi ricorda? E pare che quando fecero le riprese, girarono la scena del comizio senza dire nulla ai passanti, con molta gente che si lasciò coinvolgere e rimase davanti al palco a gasarsi per le sparate populiste dell’attore.
La mia intenzione era quella di illustrare cosa fosse diventata la generazione dei “baby boomer”, i membri “eterosessuali” della società contro cui si schieravano quando non dovevano affrontare la realtà del mondo reale. Si sono conformati più o meno allo stesso modo delle generazioni precedenti. Non solo si sono uniti all’establishment, ma lo hanno sostenuto con forza. – Jeff Lieberman
Tutto questo Jeff Lieberman lo diceva in un periodo ancora molto vicino agli anni della contestazione e dei figli dei fiori, il 1977, lo stesso di Animals dei Pink Floyd, guarda un po’.
Per me, una delle più grandi ironie trascurate delle elezioni del 2016 è che la maggior parte dei sostenitori di Trump ha riecheggiato le stesse frustrazioni dei baby boomer emarginati degli anni ’60 e ’70! Si sentivano esclusi, che il governo fosse lì solo per prendere i loro soldi e mantenere uno status quo di cui non facevano parte. Quindi, naturalmente, hanno accolto un outsider che ha dato voce alle loro frustrazioni. E ragazzi, l’establishment odia essere scosso. E continua a spaccare. – Jeff Lieberman
Ciò che forse sfugge, guardando al personaggio di Ed Fleming è che è probabilmente molto più profetico della questione legata alla droga di per se stessa. Cammarota e altri critici hanno puntato tutta la loro analisi su quella, ma era colui che l’aveva creata e che adesso nascondeva le proprie responsabilità, pur avendo seminato infetti (la ex moglie, il suo gorilla, un caro amico) come un qualsiasi sieropositivo impenitente e dall’aspetto inappuntabile.
Continua Jeff Lieberman : Il personaggio di Ed era un hippie stravagante con i capelli lunghi al college e spacciava droga per pagarsi le spese, proprio come tanti altri della sua e mia generazione. Il fatto che sia diventato ‘eterosessuale’ come gli altri e che nel suo caso abbia scelto la politica, non lo rende in alcun modo più ‘di destra’ degli altri personaggi del film che si sono uniti al mondo etero, come il Dr. Blum interpretato da Robert Walden. Bill Clinton era un renitente alla leva contro la guerra in Vietnam, fumava erba al college, ma poi quando si è candidato ha affermato di non averla mai inalata. Per me questo lo rende solo un altro politico di merda, ma non ‘di destra’ in alcun modo. Questo è un esempio lampante di come tutte queste etichette siano state rese prive di significato: Flemming era il “cattivo”, quindi doveva essere “di destra”. I discorsi che Mark Goddard pronuncia nei panni di Flemming nel film sono stati presi in prestito da Kennedy ed Eisenhower. La sua frase di incoraggiamento “È ora di rendere di nuovo grande l’America” era puramente di Kennedy di decenni fa, non di Trump. Il personaggio di Zipkin è di decenni fa, non di Trump.
CAPITOLO 3 – ANTONIONI HORROR
Prima di chiudere questo specialone su Blue Sunshine vorrei soffermarmi ancora una volta su un nome che non è la prima volta che mi riciccia fuori quando studio un film horror degli anni 70 piuttosto originale. Vale a dire il regista Michelangelo Antonioni. Ho l’impressione che sia poco considerata l’influenza del suo cinema nel New Horror, ma potrebbe sorprendere quanto alcuni suoi film abbiano ispirato i registi americani di genere degli anni 70. Vi lascio con le parole di Lieberman a riguardo.
“Quando ho visto Blow-up ho capito che volevo fare cinema. Prima pensavo che sarei diventato un grafico pubblicitario. Ho frequentato la scuola d’arte, dipingendo e disegnando. Da bambino non mi interessavano i film, a parte quelli che piacciono a tutti i bambini. I film sui mostri al cinema del sabato. Ma non ho mai pensato di voler fare cinema finché non ho visto Blow-up. Ricordi quella sequenza di Blow-up in cui ci sono solo gli alberi al vento? Quella sequenza era come drogarsi, senza drogarsi. Usare suoni e immagini in un modo che riproduca esattamente l’esperienza di una droga. È questo che mi ha spinto a fare film. Quella sequenza in Blow-up non ha musica. Se guardate Just Before Dawn ci sono tantissime sequenze senza musica, dove si sentono solo le cicale e il vento. Quello ero io nella mia modalità Blow-up. Brad Fiedel, che è diventato un grande compositore di colonne sonore, non mi ha contraddetto su questo. L’ha capito e mi ha fatto i complimenti per come ho usato la sua musica”. – Jeff Lieberman

