Tutto è iniziato con un discorso sugli Atlantean Kodex, li avete presenti? Quella band tedesca sorta a cavallo degli anni Dieci cresciuta a pane, Manowar e Bathory, paladini dell’epic metal, alfieri del trueismo spinto, Prefetti della congregazione della dottrina della fede.
Oh, intendiamoci, la band sa il fatto suo e umanamente gode di tutto il mio rispetto. Il chitarrista è un docente di antropologia all’Università di Regensburg (non scrive su Sdangher!) per capirci. Tutti i testi e i concept pubblicati dalla band escono dalla sua mano e da una rilettura, in chiave attuale a detta di molti, di opere come “Il Ramo D’Oro” di James George Frazier e “La Dea Bianca” di Robert Graves, non esattamente libri da leggere sotto l’ombrellone. Non sono un antropologo e non avendo mai letto quei tomi, non mi addentro nel ginepraio intellettuale che rappresentano, ma non è un caso che la band stia lì, sulla bocca di molti.
Riconosco il tentativo di combinare contenuti “alti” con la musica che conosciamo. Il pubblico affamato di epic metal si sa, è ristretto ma estremamente fedele, questo però non mi toglie dalla testa che il tentativo sia nel complesso andato a vuoto: la proposta della band a parer mio è un po’ una palla e alla fine, quei dischi, composti per lo più da mattoni lunghi dieci minuti e oltre, non restano in mente un riff o un chorus, con pochissime eccezioni.
Eppure ogni concerto è una chiamata alle armi, anche per una band che, a detta dei suoi stessi membri, resta un hobby. Adesso so cosa direte, ecco l’invidioso rosicone. Io mica li invidio, anzi ammetto candidamente che avrei dato un braccio per avere un hobby tanto remunerativo in termini di emozioni. Il destino però mi ha portato dall’altra parte della barricata, ossia quella di chi caccia fuori i soldi che come per tutti non nascono sotto i sassi, ragion per cui devo fare delle scelte e delle critiche feroci.
Il discorso era partito da lì perché nessun genere come l’epic metal incarna la tendenza del metallaro, sia esso musicista e/o ascoltatore, a volersi riappropriare del passato, un tic che può essere spesso erroneamente associato a dottrine sociali e politiche legate alla destra. È capitato agli stessi Atlantean Kodex, che alle opere già citate hanno unito riferimenti antropologici a civiltà pre- indoeuropee o a opere discusse come “L’Isola dei Morti” di Arnold Böcklin.
Ovviamente non c’è nessun riferimento politico nella proposta degli Atlantean Kodex, ma pura speculazione intellettuale fatta in buona fede, al punto che in anni recenti la band si è dichiarata “epic metal band antifascista”, finendo peraltro per rompere un po’ di quella magia legata a certi temi.
Quello cui si rivolge il metallaro è un passato mitico, ancestrale e che spesso sfocia nel mito. Dopotutto non può essere che così, fin dai tempi dei Black Sabbath l’heavy metal si è posizionato dove non batte il sole per assolvere l’ingrato ruolo di cantore di mondi dimenticati.
Pensateci un attimo, quale altra musica possiede la giusta tensione emotiva per raccontare di esoterismo, epica, saghe fantasy, religione quand’anche mondi immaginari? Soltanto il progressive e la musica classica ci erano riusciti prima, non a caso i due generi vengono citati come fonte di ispirazione da tanti artisti autenticamente heavy metal. Più del blues, più dei Beatles, che di impatto su tutto ciò che è “pop” ne hanno avuto eccome, assai più del prog e forse della classica stessa.
Io non so se il metallaro sia un sognatore, ma è un dato di fatto che abbia lo sguardo e la mente rivolti indietro. Chi ascolta epic metal oggi non si aspetta che il canone si evolva in direzione dei Trivium o di Poppy. Vuole sentire ancora quel fottuto heavy metal dei padri fondatori, e da qui il successo di band come gli Atlantean Kodex, che non aggiungono nulla di nuovo, che magari non valgono neppure chissà quanto, ma solo per il fatto che vanno a ripescare qualcosa di detto allora beh, respect.
Il sogno del metallaro è vedere il proprio idolo che cita “Il ramo d’oro” senza averlo mai letto ( il metallaro, non il proprio idolo). Quanti pezzi degli Iron Maiden richiamano nel titolo un romanzo, salvo poi parlare di tutt’altro? Steve Harris è persona intelligente, ma non è Umberto Eco.
Questa nostalgia imperante non è sfuggita ai volponi del marketing: se pensate che le reunion siano ancora il blockbuster di impresari e promoter vi sbagliate. L’ultima tendenza in fatto di recupero del passato riguarda il mondo dei live e nello specifico il “Live a Pompei”. In Italia una pizza, una birra, un amico avvocato e un live a Pompei non si negano a nessuno ultimamente.
Abbocchi sempre all’amo, sosteneva Battiato. L’esibizione dei Savatage con l’Orchestra fra le rovine di quell’antica città, un binomio che soddisfa la fame di grandeur del metallaro medio.
Ciò che resta dei Savatage + Orchestra uguale Trans Siberian Orchestra Uguale a ciò che resta di Pompei, l’equazione del piano vendite è completa.
Non sto a scomodare il primo Live at Pompeii di voisapetechi, almeno loro avevano avuto le palle di suonare davanti a nessuno. Come l’Impero Romano tentò di assimilare i barbari restandoci fregato, anche la musica ha finito per fare la stessa fine con i barbari contemporanei. A rompere gli argini sono stati i Pink Floyd stessi, con Gilmour prima e Nick Mason poi.
A seguire è toccato ai Dream Theater, l’estate scorsa. Non avevamo fatto in tempo a metabolizzare l’arrivo dei Marillion per il 2026 ed ecco che, a sorpresa, persino i Savatage annunciano un bel concerto con orchestra nell’anfiteatro. Tutto lo stesso giorno in cui assistiamo al crollo della Torre dei Conti presso i Fori Imperiali, sperando che non sia un cattivo presagio.
Inizio a pensare che i barbari non siano quelli che si lasciano scucire un quinto dello stipendio per assistere a qualcosa di cui avranno perso memoria nel giro di un paio d’anni; no, penso che i barbari vestano in giacca e cravatta e un concerto metal probabilmente non l’hanno neppure mai visto. Magari vestono casual, alla Steve Jobs, con le maniche della camicia arrotolate, hanno frequentato le migliori università e scrivono comunicati stampa in cui definiscono “progressive metal” i Savatage, per poi passare alla velina del prossimo Smackdown! al Forum o al concerto di Travis Scott.
Ciascuno è libero di spendere i soldi come vuole, ma non veniteci a parlare di “true” o “devoti alla causa”, “respect” e altre frasi fatte che appartengono a un passato di cui avete solo sentito dire e di cui non vi riapproprierete mai.

