SUL COMPLICATO RAPPORTO TRA HEAVY METAL E UMORISMO
Il rapporto tra heavy metal e senso dell’umorismo, inteso come qualcosa che va dall’ironia all’autoironia, è sempre stato problematico. Per una musica nata come rivolta e ribellione all’ordine costituito, che fosse politico, religioso o sociale, l’idea di sorridere risultava poco congeniale, la lotta è drammatica, aspra, amara, il nemico non si abbatte a colpi di risate ma a spallate, se serve persino con il machete. Ci può scappare il sangue.
La rivoluzione non è un pranzo di gala, è il campo da gioco dei maschi alfa. Eppure, il rovesciamento dello status quo passa per l’anticonformismo e non c’è forza più anticonformista di quella dell’umorismo, che prende in giro, svela gli altarini, smitizza e relativizza. Ma il metal ha sempre accettato la logica del piedistallo, la stessa del Potere con la P maiuscola che intendeva avversare.
Pensate a quelli che lo intendono pomposamente come una “fede”, uno stile di vita, qualcosa che insomma va oltre i solchi di un vinile o di quelli impalpabili di un file digitale, qualcosa che ingloba ogni cosa, la vita e la morte con tutto ciò che sta nel mezzo: i 24 libri dell’Iliade, i 14233 versi della Divina Commedia. Un monolite di tale pregnanza, regalità e pregio da non poter stare che assiso su di un trono, posto su di un piedistallo, eretto su di un altare.
E come si può ridere del sacro?
Il metal è cresciuto con gli sguardi seriosi, le sopracciglia aggrottate, l’aria minacciosa e limacciosa delle band nelle foto di retrocopertina dei loro album. I Metallica ci trafiggevano avvolti in un’aria di tormento e ansia per i destini dell’umanità. Kerry King non ha mai avuto pietà, pronto a combattere a mani nude contro intere legioni di angeli celesti, armato unicamente di potentissimi diti medi satanici. Joey De Maio ci mostrava con quali bicipiti cimmeri avrebbe distrutto i posers del falso metallo.
E via via a seguire, eserciti di musicisti borchiati si sono accodati con sguardi torvi e implacabile sete di austera consapevolezza nei confronti di un mondo che poteva salvarsi solo con delle scariche elettrificate unite a rigore e severità adamantini.
1985 – gli Anthrax del Queens, New York, sono al loro secondo album. È subentrato Joey Belladonna alle vocals e il primo singolo che anticipa il disco è Madhouse.
Il videoclip della canzone inizia con un pazzoide che ride istericamente e subito dopo le chitarre di Spitz e Ian in sinergia replicano la risata con le rispettive sei corde.
Il video è un manicomio, filologicamente corretto, nel quale succedono parecchie cose bizzarre e strampalate, ma in ultima analisi anche divertenti.
Sulle cose buffe, squinternate e bislacche gli Anthrax ci costruiranno una carriera sopra. Il loro modo di vestire stradaiolo, anziché prevedere denim and leather riempito di borchie e ferro ovunque, sarà estremamente variopinto, decisamente sportivo, assai più simile a una puntata di Willy Il Principe di Bel-Air che al genere dei post atomici alla Guerrieri del Bronx o Mad Max.
Anzi nel 1987 con I’m The Man sbaraglieranno parecchio, andandosi a intruppare in territori rap e presentandosi in copertina come un cartone animato di Scooby-Doo in fissa con i Public Enemy e i Beastie Boys.
Poi venne Among The Living con le sue canzoni al contrario (Efilnikufesin), i riferimenti ai fumetti grotteschi di Judge Dread (I Am The Law) e le prese in giro dello stile di vita glam (Imitation Of Life).
Il tutto esplode definitivamente con State Of Euphoria (1988), album piuttosto controverso a cominciare dal suo titolo e della sua copertina. Sembra assurdo dirlo oggi ma in parecchi si sentirono traditi dagli Anthrax allora. Cosa era tutto questo “scazzo”, tutta ‘sta voglia di ridere, di fare baldoria, di prendere e prendersi in giro, ovvero – per proprietà transitiva – di denigrare, deprezzare, squalificare, screditare il metallo?
Cosa c’era poi da ridere?
Il mondo andava alla malora, la musica pop era il Male e gli Anthrax se la ridevano pure? Euforia di cosa? Col senno di poi la stessa band ha dovuto cospargersi il capo di cenere, se non abiurare pubblicamente, poco ci è mancato.
L’album era stato scritto molto in fretta, senza il tempo di rivedere, valutare, riconsiderare, affinare; troppa superficialità, troppa leggerezza, chiediamo scusa, si sarebbe certamente potuto far meglio. Incidentalmente State Of Euphoria è il mio disco preferito degli Anthrax, per la sua forma ma anche per il suo contenuto.
Who Cares Wins credo sia una delle canzoni più belle di sempre e al contempo esprime una profondità che tante band con le ciglia aggrottate si sognavano. Grande songwriting, splendido video, messaggio lacerante, verticale, penetrante. E così la lente di Schism sul razzismo o Misery Loves Company ispirata al romanzo Misery di Stephen King, non propriamente comico.
State Of Euphoria venne giudicato con molta sommarietà ma era un album più variegato e sfaccettato di come fu percepito, evidentemente dagli stessi Anthrax quando poi dovettero rimettere in sesto il pallottoliere delle vendite.
Make Me Laugh era una canzone sui telepredicatori americani, un’autentica piaga dalle parti dello zio Sam e giustamente gli Anthrax li “buggerevano”, e con loro tutto il popolo dei creduloni. Nella mia storia ideale dell’heavy metal sbagliato, quello che scherza e ride troppo, gli Anthrax, “Make Me Laugh” e l’intero “State Of Euphoria” ne sono diventati, volenti o nolenti, una sorta di manifesto. Come detto, loro amavano scherzare anche prima, ma nel 1988 tutto assunse una forma ed una dimensione compiute.
Eppure, intorno ai tanti musi lunghi, le cui spalle erano gravate da onerosi destini apocalittici, c’era un sottobosco – neanche tanto sotto – che si muoveva e si agitava scompostamente al suono di qualche risata liberatoria.
Non mi riferisco alle atmosfere disimpegnate e all’approccio superficiale di molte band del Sunset Boulevard, non c’era grande ironia nelle camere d’albergo fracassate dai Motley Crue, nelle pulzelle deflorate dai Manowar o nelle pisciate controvento di Ozzy Osbourne.
Mi riferisco al senso dell’umorismo connaturato alla musica, parte integrante dello spirito di una band, non esternato solo in occasione di foto session, ubriacature e smargiassate varie a favore di obbiettivo fotografico. Fare i gradassi era un conto, ridere per vivere una vita migliore tutto un altro.
Volete un elenco, lo so, lo sento. Nel 1988 parallelamente allo stato di euforia dei bacilli d’antrace nel New Jersey si agitavano i Mucky Pup, che con il loro debutto discografico ci chiedevano se eravamo pronti per accogliere uno scherzo, una battuta (Can’t You Take A Joke?). Basta scorrere la tracklist del disco per farsi un’idea che la band sarebbe stata tutt’altro che plumbea.
Prima ancora dei Mucky Pup, sempre in ambito hardcore crossover c’erano stati i concittadini degli Anthrax, i Murphy’s Law.
E che dire di un gruppo che si era auto nominato “Imbecilli Sporchi e Marci” (D.R.I.) e che come logo aveva un omino che correva (o che pogava)?
L’hardcore – o perlomeno un certo hardcore – ha sempre avuto questa dote speciale, far riflettere su cose gravissime attraverso atteggiamenti apparentemente stupidi e scanzonati. Basta guardare la copertina di Dealing With It e poi scorrere la relativa tracklist per intuire il corto circuito che ne deriva.
E si potrebbe continuare con i Nuclear Assault e le loro celeberrime joke songs fulminee; eppure se c’era una band che trasmetteva il terrore dell’apocalisse nucleare erano proprio loro. E ancora i S.O.D., filiazione dell’incontro tra Anthrax e i M.O.D. di Billy Milano.
I Ludichrist poi divenuti Scatterbrain in epoca funky metal, e per altro diverse band di quel filone non disprezzavano un approccio alquanto rilassato e divertito: vedasi Atom Seed, Scat Opera, White Trash, Ignorance, solo per citare qualche esempio.
Sempre in America si agitavano scompostamente i Gwar, fenomeno da baraccone per definizione, qualcosa che si spingeva oltre l’umorismo per arrivare alla rappresentazione demenziale. Una sorta di confine liminare perché, per come intendo io l’umorismo applicato alla musica, le realtà come ad esempio i Nanowar Of Steel sono qualcosa di più vicino agli Skiantos o agli Elio e Le Storie Tese; pur trattandosi magari di ottimi musicisti la parte comica prende decisamente il sopravvento diventando il cuore pulsante del progetto.
Rimanendo a band solidamente metal, ma non per questo ottusamente incarognite, tra i portatori della bandiera a stelle e strisce non si possono non citare i guasconi e un po’ stralunati Galactic Cowboys che con le loro lunari derive beatlesiane guastavano alquanto i sogni duri e puri di molti metallers; mentre nel vicino Canada gli Annhilator si incaricavano di cucinare una Kraf Dinner da bravi “macaroni maniacs”.
Jeff Waters è sempre stato un tipo piuttosto scherzoso anche se poi per la verità con i suoi Annihilator è rimasto assai serio, sebbene concedendosi di tanto in tanto qualche divagazione al riguardo.
E nella Germania tanto priva di umorismo?
Beh, gli Helloween riempivano i loro dischi di zucchette colorate con i fumetti, le ali da pipistrello, ubriache, a forma di clessidra, e con dottori folli che facevano esperimenti pazzi in laboratorio (Dr. Stein).
Tutto si poteva dire agli agronomi di Amburgo tranne che difettassero di velocità e intensità nella musica, eppure nelle loro cavalcate si respirava gioia, entusiasmo e solarità.
I Tankard si sfondavano di birra, parlavano solo di birra e postumi da sbronza, spillando album le cui copertine hanno fatto storia e risultano tutt’oggi tra le più divertenti mai viste in ambito heavy metal. 40 anni ininterrotti di luppolo e cirrosi epatica. Prosit!
Non dimentichiamoci dello strabiliante zoo dei Risk – una delle band più sottovalutate della storia – picchiaduro d’élite ma con una incontenibile voglia di non prendersi sul serio, tanto da aver anche creato un vero e proprio super eroe della sfiga, Rat Man. Ciò nonostante, il loro concept album della maturità The Reborn è un album di una profondità filosofica enorme, unito ad una bellezza a tratti commovente. Peccato per chi se li è persi per la presunzione di doversi dedicare ad altro di più serio e sostanzioso.
Né vanno dimenticati i bavaresi Lavatory (letteralmente i “servizi igienici”), soprattutto quelli di Glasshouse Fools.
Giova altresì ricordare che nella vicina Austria degli svalvolati come i Disharmonic Orchestra e i Pungent Stench, pur discettando delle peggiori nefandezze corporali e metafisiche, erano dei gatti sornioni amanti delle crasse risate, talvolta anche un po’ volgarotte, alla maniera teutonica insomma.
Nulla che non potesse andar giù senza una sorsata di “sangue, pus e succo gastrico”, il cocktail ideale per condire l’assaggio di carne umana, visto che l’anima dei viventi era privilegio del Creatore.
C’era un bel drappello di umoristi anche in Inghilterra, a cominciare da Garry Dalloway, il quale si faceva ritrarre sulla copertina dei suoi The Handsome Beasts come una specie di pachiderma, evidentemente ironizzando su se stesso e sulla musica della propria band.
Albione venne poi travolta qualche anno dopo dall’invasione di thrasher incalliti che però avevano una voglia matta di buttarla in caciara.
I capifila erano gli Acid Reign, copertine meravigliose, kitsch, violenza notevole eppure sempre col sorriso sulle labbra. Al punto che, quando persero il contratto con Under One Flag, per onorare l’ultimo album pattuito pubblicarono un “best of” che nel loro caso si trasformò in un “worst of”, pieno di stupidaggini, canzoni dimenticate (letteralmente) e trovate squinternate.
Persino un 7” pollici accluso con la canzone Zzur di 5 secondi sul lato A, poi estesa in remix a ben 115 sul lato B.
In scia degli Acid Reign si misero band come Re-Animator (il cui secondo album si chiama proprio Laughing), i Lawnmower Deth con il loro concept fantascientifico-cartoonesco (Ooh Crikey It’s… Lawnmower Deth è qualcosa di veramente unico) e i Metal Duck di Manchester, più spostati sul versante Terminator in versione anatra.
E in Italia? Avevamo ad esempio i Bulldozer che, per quanto infoiati per Slayer, Venom e Motorhead e satanassi vari, non si lasciavano scappare l’occasione di dedicare canzoni a pornostar (doppia Ilona), onanisti, minkioni con la kappa, derby calcistici all’insegna dell’ultraviolenza parossistica, italianità nella sua accezione più stereotipata e pittoresca, e quant’altro.
Oppure mi vengono in mente gli Headcrasher di Cosenza che nella scaletta del loro bellissimo Nothing Will Remain (prodotto in modo criminale, come larga parte del metal italiano degli anni ’80) trovavano un posto per la buffissima Bath Man, canzone dedicata all’uomo bagno, con tanto di sciacquone.
Rimangono fuori da questo breve elenco affatto esaustivo ma solo esemplificativo tantissimi nomi che avrete sulla punta della lingua, che io non ho citato e che anzi vi invito a formulare per arricchire il grande libro dell’heavy metal umoristico affatto spaventato dal concedersi una risata, come invitava il fornaio Cecco – interpretato da Diego Abatantuono – quando rivolgendosi al ragionier Ugo lo spronava a “uscire una foto” del mostro, la moglie Pina, per far fare quattro risate ai suoi colleghi che passavano le notti chiusi a sfornare pagnotte con grande senso del sacrificio.
Farsi una risata è catartico e salutare, nessuno dovrebbe privarsene, nemmeno un metallaro.