Mucky Pup – I mocciosi del crossover

Nella mia lunga carriera di ascoltatore metalloso mi è sempre piaciuto esplorare tutti i sottogeneri, essere al passo coi tempi, mai ficcarmi nella nostalgia pura e sterile. Questo per dire che negli anni ‘90 mi sono appassionato a quel mondo che spaziava tra crossover, thrash, hardcore e alternative, con sfumature che coloravano un disco più o meno di queste suggestioni.

Scatterbrain, Cryptic Slaughter, D.R.I, Ludichrist, C.O.C, et similia, spesso giravano (oggi meno) sul mio impianto. Esplorando le amate seconde e terze linee mi imbattei in un gruppo che credo ci siamo cagati in tre persone: i Mucky Pup.

Avevo comprato il debutto, tale Can’t Take You A Joke nel 1988, quando uscì, perché la roba della Torrid Records (Exodus, Gothic Slam, Hades, Tension eccetera) già la ordinavo dal mio negoziante di fiducia, quindi probabilmente era riuscito a stabilire una linea di distribuzione per cui, pur vivendo in un paesone, riusciva ad avere quelle registrazioni.

Buon disco, ma non certo entusiasmante per me. L’anno dopo, dando fiducia a questi americani tutto cappellini girati, skateboard e six packs di birra, m’accattai il secondo lavoro, A Boy In A Man’s World e lo trovai più che gradevole. Testi demenziali, intrisi di brufoli, ormoni e festini alcolici, nosense tutti americani e cazzate del genere, a livello musicale questo album aveva dei pregi non indifferenti.

Seppure giovanissimi, i quattro musicisti, usciti da qualche sala sul retro di Porky’s, sapevano suonare, e abbastanza bene. Mischiavano qui thrash, crossover, hardcore e spunti pop punk non proprio banal. Un po’ Anthrax, i più mosheggianti, un poco S.O.D e M.O.D, seppure in tono minore, qualcosa dei Suicidal Tendencies, riuscivano a cavarsela bene.

Rispetto al lotto qui sopra citato i suoni erano più smorzati, la potenza non pompava al massimo, ma certe melodie sguaiate derivate dal punk riuscivano a rendere i pezzi, tutti molto brevi, un ascolto “fast food”, cotto e magnato, che a volte serve più di alcuni mattonazzi. A me piace molto l’uso funkeggiante del basso, sempre nitido e “davanti”, così come gli inserti di film, dialoghi o radio, sparsi qua e la nella tracklist.

Facevano allegria, e a 18 anni, quali avevo, ci sta sempre bene. Ricordo che dei due album feci una cassetta unica da schiaffare in macchina, da ascoltare solo d’estate. A differenza di chi col solleone metteva i Crue e i Poison, io mi inebriavo di crossover e roba così. Dopo questo disco li ho abbandonati, sono cresciuto, pure loro, non seppi più nulla. Sull’onda di “ti sblocco un ricordo” è un invito a ripescarli per gli anzianotti come me, o a scoprirli per i più giovani.

Marco Grosso