7,5/10, 7/10, 4/5. 74/100, 79/100, 9/10 (!!!), a cui si aggiungono quelle senza voto ma si posizionano sulla stessa linea. Quei numeri non rappresentano gli elementi di un’espressione algebrica, ma i voti generosamente dispensati dai vari siti italiani a Giants And Monsters, ultima fatica appena pubblicata dagli Helloween in versione famiglia allargata e moderna. Ancora una volta, c’è da farsela addosso per le risate.
Noi saremo anche dei vecchi tignosi, ma gli addetti ai lavori non perdono mai occasione di fornire spunti a supporto delle nostre tesi che riassumo in pochi termini: giornalettismo e fanboysmo, con tutto quel che ne consegue.
Un conto sono i gusti e le opinioni che sono e restano insindacabili purché supportate da elementi oggettivi, se vogliono essere credibili. Scorrendo queste recensioni, scritte peraltro sempre a tempo di record (mi immagino il recensore che si spara il disco tutto il mese di agosto sotto l’ombrellone, mentre spalma la crema solare alla moglie o fa la spesa per il veglione di Ferragosto), assistiamo al posizionamento del disco ai livelli di un Better Than Raw o addirittura, citazione testuale, “subito sotto i classici”.
Autori di questo scempio non sono i ragazzini dell’ultim’ora o dei distratti abbonati di Spotify, ma persone, talvolta veri e propri giornalisti, che si fanno vanto di vivere “la scena” da decenni. Mi domando cosa facevano quando davano gli stessi voti al suddetto Better Than Raw, ma anche a dischi più recenti come Gambling With The Devil.
Ieri riascoltavo Invincibile Shield dei Judas e lo rimiravo ancora una volta in tutta la sua bellezza, poi ho ripensato alle critiche di qualche recensore che si lamentava dei chorus poco trascinanti; dico, ma avete sentito il ben di Dio, strumentale, armonico, di produzione e contenuti che affiora da quei solchi digitalizzati?
Che c’entra, direte voi.
C’entra eccome, perché il problema è che la gente i dischi non li ascolta davvero, ma lo fa quasi da contratto, o addirittura un gesto involontario, un po’ come andare al cesso quando ti scappa la cacca.
E ripeto, fossero ascoltatori casuali della Gen Z lo accetterei, ma dai professori della fede mi aspetto qualcosa in più.
Sennò a cosa sono serviti anni di militanza?
Per me è come studiare al MIT e finire a lavorare all’ufficio tecnico del Comune di Borgo Tre Case.
Nelle note di redazione molti si fanno vanto di avere curriculum della madonna per poi ridurre il tutto a “ogni volta che esce un nuovo disco degli Helloween è come quando li ho ascoltati la prima volta”.
Riposta romantica ma inconcepibile, perché chi conosce, ha vissuto, metabolizzato, visto crescere o morire col tempo le varie uscite discografiche non può mettersi allo stesso livello di chi è meno allenato all’ascolto (condizione che non è di per sé una colpa).
Diventa solo una scusa per giustificare il fanboysmo.
Siamo sempre lì, tutto bello, tutto classico, evviva, yeah, cornina al cielo. Recensioni scritte con lo stampino magari allo scopo di ravvivare l’atmosfera da festa delle medie che gli Helloween scatenano nei loro fans, soprattutto quelli di ritorno e latitanti nell’era Deris.
Seguo gli Helloween da quando ero pischello e con loro ho vissuto tutto lo spettro delle emozioni umane, dall’esaltazione alla delusione. Ma non li ho mai mollati del tutto, e su Sdangher c’è più di una penna che ha scritto e trattato retrospettive interessantissime sulla band (a proposito, Marco Grosso, aspettiamo la seconda parte dell’articolo sulle b-side delle zucche).
Questo solo per chiarire che non stiamo trollando nessuno.
“Giants And Monsters” èun disco da sei scarso e non serve un orecchio assoluto per accorgersene. Non c’è un brano di punta, questo non è di per sé un male, ma non si è mai visto un disco “flat” ricevere questi giudizi.
Stiamo parlando di un lavoro che già dai primi ascolti fresco di stampa non genera classici, nè stuzzica l’immaginazione dei fans. Non c’è neppure una Skyfall che invece spiccava e non poco sul predecessore, o una Fear Of The Fallen, perfetta nei suoi incastri.
C’è un tentativo di ripetere la prima sempre a firma Kai Hansen e a nome Majestic (deve avere buttato giù le idee sul foglio di brutta dell’omonimo disco dei Gamma Ray), e un altro pezzo a nome Universe che prova a fonderle entrambe. Un po’ pochino, e il bello è che sono pure i picchi del disco, a detta di molti.
L’inizio sarebbe persino promettente se non fosse che Giants On The Run si incarta in una sequenza di stop & go che finiscono per affossarla, poi c’è il solito pezzo in cui Kiske fa Kiske e che a consuntivo è uno dei migliori, un paio di ininfluenti pezzi hard rock che sembrano usciti dalla penna degli Scorpions e degli Heat, una ballad polpettone che lasciamo stare Andi, non è roba per te, e una ciofeca immonda come Under The Moonlight che Rise And Fall a confronto è Sabbath Bloody Sabbath.
Il disco è quello che è ammetterlo non ci rende meno fans di chi si sta strappando i capelli in preda a crisi mistiche, chissà perché poi.
A rincarare la dose ci sono inoltre le solite interviste dispensate alle varie webzine come tradizione vuole ed è qui che tutto inizia davvero a traballare.
“Quando ho registrato l’album con la formazione dei Pumpkins United, la sensazione era quella di dover dimostrare qualcosa, perché c’era tantissima attesa – e infatti era vero, tutti aspettavano di vedere cosa sarebbe successo. Ma adesso che quell’album ha funzionato, non ci chiediamo più “ce la faremo? Funzionerà?”. Sappiamo già che funziona. Stavolta si è trattato solo di divertirci: siamo gli Helloween, la gente ci ama, quindi andiamo a farlo e basta. Ed è bellissimo prendere in mano la chitarra senza il pensiero di dover scrivere “la miglior canzone di sempre”, altrimenti nessuno l’avrebbe accettata”.
Voglio sperare che l’ultima frase sia soltanto un errore di sbobinatura. Il concetto è: con la reunion abbiamo rotto il ghiaccio, per cui non serve dare il massimo, perché poi a fare come certi artisti che sostengono ogni volta di avere pubblicato “il nostro miglior album” si perde di credibilità.
“…se mi venisse un blocco creativo, non penserei mai: “Oddio, è la fine della band!”, perché so che ci sono Weiki, Kai e Sascha”.
Kiske e Grosskopf non pervenuti e un motivo c’è, visto che come autori sono chiaviche, ma il punto caro Deris è che qui a reggere la baracca ci sei solo tu. 1/3 del disco è opera tua crediti alla mano, idem sul precedente.
Su My God-Given Right e 7 Sinners firmi quasi la metà dei pezzi, mentre Weikath fa il presidente ad honorem e Sascha è continuamente rimandato a settembre.
Da quando c’è la reunion, Kiske non ha firmato un solo pezzo e Grosskopf resta confinato al suo ruolo di eterno tappabuchi. Altro che sonni tranquilli, qui c’è un uomo che tiene in piedi la baracca quasi da solo e nonostante questo vanta ancora numerosi detrattori.
Incredibile, Deris ha riportato in vita una band morta, l’ha traghettata per tre decenni buoni, ci ha messo pure gli studios, è un uomo da palcoscenico come pochi e ancora c’è chi si ferma a Keeper II.
Lui è un uomo estremamente lucido e le sue interviste si caratterizzano spesso per la profondità dei contenuti. Questo tuttavia non può distogliere l’attenzione da altri fattori, ossia che l’equilibrio all’interno della band sia meno stabile di quanto sembri.
“Per questo album abbiamo messo insieme ben 23 grandi canzoni: un vero lusso, perché domani potremmo entrare di nuovo in studio e avere già tra le mani un altro grande album”.
Quando le band raccontano che il disco è stato composto in tour mentono. A vent’anni forse, oggi che per campare sono costretti a stare in giro sempre, il massimo che si portano a casa è qualche riff dal soundcheck.
La composizione e registrazione richiedono tempo ed energie mentali e quando partono le sessioni, registrano di fatto venti e passa pezzi come dice Deris, un tesoretto già pronto da recuperare al giro successivo.
Buona parte di “Giants & Monsters” viene dalle sessions del 2021 e persino la stessa “Skyfall” era stata ripescata, per ammissione dello stesso Hansen, nel suo archivio.
“Helloween” del 2021 era senz’altro un lavoro più monolitico, che non concedeva spazio a ballad o pezzi più hard rock, in questo il nuovo disco ha delle aperture notevoli, ma resta tuttavia un aspetto meramente formale.
Il giudizio è lapidario e anche un po’ severo, ma come nelle migliori famiglie, esternarlo è senz’altro un modo per sostenere la band. L’amico migliore spesso è quello che ti dice le cose in faccia, come stanno, senza filtri, e state certi che quando torneranno in tour saremo sottopalco a divertirci e sostenerli, perché sarà comunque un grande spettacolo. Ma gli altri?