zorba il greco
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MAMMA, HO MESSO A POSTO LA CAMERA, POSSO ANDARE AL CATECHISMO?

  Tutti noi che, ad un certo punto, abbiamo incrociato la strada del metallo lo abbiamo fatto perché ci garbava la musica, ma non solo – c’era pure qualcos’altro, quel brivido di dissenso, di ribellione, di apparente sforzo per fare schifo al prossimo e dargli fastidio con tutto l’impegno possibile. Del resto il metal come cultura nasce fra la fine dei ’70 e l’inizio degli ’80, e i figli dei baby boomers di allora potevano ribellarsi essenzialmente ad una cosa: la famiglia e tutto quello che ci girava intorno, dalla scuola alla chiesa al concetto, più generale, di autorità e status quo. E’ una prerogativa che il metal ha sempre fatto sua in maniera più o meno riuscita, più o meno goffa, più o meno truculenta, più o meno stupida, ma di base genuina. Persino gente estremamente noiosa come gli Opeth riesce ad esprimere, molto alla lontana, questo tipo di sentimento: nessun genitore vorrebbe che il proprio figlio fosse una specie di barboso bibliotecario circondato da altri barbosi bibliotecari.

Bene, se scrivo queste banalità insulse non è solo per riempire spazio a cazzo qui sopra, ma per tracciare una linea oltre il quale basta, la merda non è più scusabile. E’ una linea che in realtà traccio fin da quando, a fine anni ’90, il mondo metallico europeo è impazzito per la feccia power metal. Non Metal Church, Vicious Rumors, Armored Saint etc, band favolose contro cui non ho niente, anzi, ce ne fossero. No, con la prole informe degli Helloween e il loro happy bavarian metal coi corettini cretini, le voci bianche, le riccardonate classicheggianti e i buoni sentimenti. Gli Helloween erano una barzelletta che, complice forse lo humor tedesco, non veniva capita granché e quindi si ridacchiava per non fare figurette. Chissà perché, sarebbe bastato dire che erano una merda e morta lì. Però quando ti ritrovi circondato da gente che sbava per Stratovarius, Hammerfall, Rhapsody, Angra e mille altri gruppi happy metal, tutti uno più lagnoso, riccardone e plasticone degli altri, ti piglia lo sconforto. Da quei tempi è passata un’altra era geologica, per fortuna. Tuttavia l’erba gramigna è sempre lì, e in tempi di magra si riunisce tutta insieme per imbandire banchetti di merda pressata per pochi degustatori, perché tanto i fan sono fedeli. Mi riferisco a uno dei sommi officianti di questo troiaio inverecondo, Timo Tolkki, ex leader degli Stratovaiurs e sommo fautore del power metal riccardone, new age ed ecologista che non sfigurerebbe di sottofondo ad una presentazione powerpoint di un convegno di CL.

Tolkki non va bene per un cazzo. Guardate qui il suo nuovo progetto, gli Avalon. Titolo del disco: “The Land Of New Hope.” Formato: metal opera. E già sono risate, perché sulle “metal opera” si potrebbe scrivere un post a parte. Ci fu un periodo che ne uscivano tre al mese, tutte pomposissime e tronfissime, tutte pretenziose e ridicole, tutte benedette dagli obbrobriosi album solisti di Rick Wakeman. Tutte caratterizzate dai soliti ospiti a rotazione, soprattutto cantanti: li capiamo, è lavoro e devono pur mangiare. Poteva essere diversa la metal opera di uno come Tolkki, che non ha mai avuto fantasia in vita sua? No. Infatti i dettagli li leggete qui e vi confermano che sì, è esattamente tutto come pensavate. Proprio tutto. Anche la storia è veramente la quintessenza della new age ecologista; nel 2055 la Terra è devastata da terremoti, tsunami e catastrofi naturali assortite – vedrai è Gaia che si vendica della hybris umana! Un gruppo di sopravvissuti parte alla ricerca di un posto sacro chiamato La Terra Della Nuova Speranza. Ma che megamerda. Scommettete che sarà raccontato in versione moralista, con gli sciagattati (=i vari cantanti) che fanno ammenda per i peccati dell’umanità e cominciano una nuova vita in una nuova terra dove c’è solo cibo vegetariano biologico a km zero? Sono lontani in tutti i sensi i tempi delle religioni alla Judas Priest, dove un dio del fuoco piovuto dal cielo chiedeva obbedienza e in cambio dava l’estasi ai suoi e la morte a tutti gli altri (“Exciter”). Approccio drastico, iperviolento e metal come quello dei Cage, del resto, che sono sì cristiani convinti, ma come metallo comanda: fuoco, fiamme, dannazione eterna e mostri che si legnano di botte. Sangue ovunque. Metal!            

Per tutta una serie di motivi ancora poco chiari, molta gente prova sospetto di fronte a gruppi come gli High On Fire, che sono da olimpo del metal e un giorno o l’altro tratteremo a dovere – “saranno mica grunge o nu metal?”, si chiede il sospettoso metallaro con la mente rivolta già alle paradisiache note di “The Land Of New Hope”, dove i suoni sono puliti, l’aulica e virginale musica contiene riferimenti espliciti a quella classica e barocca, i valori sono positivi. Sì, qualcosa non torna. Perché se c’è una cosa che almeno il metal avrebbe dovuto insegnare è il gusto per lo sberleffo e l’irriverenza. Quella roba che i metalriccardoni new age, così tronfi e privi di senso dell’umorismo, non capiscono, e infatti la loro musica fa invariabilmente vomitare armadilli. E’ il cortocircuito finale, il metal che inconsciamente si vergogna di sè stesso e cerca di elemosinare quarti di nobiltà con stratagemmi penosi: ammennicoli classicheggianti per suggerire una qualche comunanza di idee e sensibilità con un inesistente e banale concetto di “buona musica”, come già faceva il peggior prog sinfonico degli anni ’70. Uahahahahah! Cari fessi, brutte notizie: è gente come Rob Halford, Phil Anselmo, James Hetfield, Zakk Wylde, Randy Blythe etc. quella che incarna tutte le contraddizioni e la vitalità del metallo e lo rende grande. Loro, i tamarri veri che non si pentono e anzi fanno di questa tamarraggine il cardine di un’estetica autonoma e vitale. E su questa affermazione vera ed indiscutibile, chiudo. (Zorba Il Greco)