Dracula principe delle tenebre

Dracula principe delle tenebre (Terence Fisher, GB 1966)

Dopo il primo Dracula, visto il grande successo, la Hammer vuole girare un seguito. È già uscito uno spin off, Le spose di Dracula del 1960, sempre diretto da Fisher ma senza il conte Dracula, citato giusto un paio di volte all’inizio e alla fine del film. Lo scontro è tra Peter Cushing/Van Helsing e David Peel/Barone Meinster. Insomma, sette anni dopo il primo Dracula la casa di produzione inglese vede di mettercisi a testa bassa e non smetterla prima di aver convinto i riluttanti Fisher e Lee a tornare insieme per un nuovo film sul conte bastardo succhiasangue. L’attore italo-britannico non vorrebbe rivestire i panni del suo personaggio più famoso per paura di fare la fine di Lugosi e rimanere legato a vita (e morte) al personaggio. Alla fine accetta e con lui anche il regista. Risultato? Il primo interpreterà Dracula (odiandolo) per una luuuunga serie di film e Fisher firmerà un seguito meno ispirato e convincente del primo. Lo sapevano entrambi di fare una cazzata, ma via, non certo la peggiore della loro esistenza. Del resto, entrambi diedero la colpa alla terribile sceneggiatura di Jimmy Sangster (autore anche di quella del primo episodio). In particolare, Lee e Fisher trovarono deprimenti i dialoghi e così accettarono di lavorare al progetto a condizione di poter tagliare tutte le battute del conte. Il vampiro infatti non parla mai. Arriva, emette dei versi famelici o rabbiosi, corre, succhia, picchia e svolazza nel suo grosso mantello ma non dice mai una parola. Del resto usa la telepatia. E con quella comunica ai suoi “aiutanti”. Questo secondo episodio infatti è fondamentale per l’introduzione di una figura trascurata nel film del 1958: Renfield ovvero la figura del servitore di Dracula.

Al castello c’è un tipo dall’aria poco amichevole e dal nome ancora meno simpatico: Klove (Philip Lathman) ce si atteggia a cameriere ma ha un coltello in tasca ed è pronto a versare sangue sulle ceneri del conte. Vero, nel primo vengono spazzate via dal vento ma miracolosamente qui sono state recuperate e deposte nella tomba. Insieme a Klove c’è anche un certo Ludwig, (ricalcato sulla figura di Renfield) che è un pazzo rinchiuso in una cella di un monastero e passa il suo tempo a rilegare libri in modo davvero eccellente e divorare mosche in modo altrettanto solerte e impegnato. Tutti e due sono in attesa che Dracula dia loro un segno, che ordini attraverso una voce che solo loro sentono il da farsi. E Questi due aiutanti saranno fondamentali per il ritorno del vampiro.

In questo episodio non c’è Cushing/Van Helsing, escludendo il finale del film del ’58 riproposto all’inizio come riepilogo delle puntate precedenti, in cui l’ammazzavampiri e Lee si inseguono e poi il primo grazie a un salto in lungo da vero olimpionico libera la luce del sole nel castello e trasforma il cattivo in cartapecora inutilizzabile.

Al posto del cacciatore di vampiri scienziato, abbiamo una specie di frate indovino con il fucile, con il gusto per il vino caldo, la voce tonante e la battuta pronta. Costui ferma un’esecuzione con paletto e martello che alcuni paesani vogliono attuare sul corpo di una giovane morta di fresco, la interrompe con una fucilata in aria ponendo fine a una delle scene più suggestive dell’intero film, l’iniziale corteo funebre nel bosco. Questo corteo che avanza è magnifico e i violini di James Bernard aggiungono un tocco di malinconia romantica niente male.

Dopo il prologo arrapante però la storia procede in modo tradizionale. Anziché un viaggiatore incauto, qui ne abbiamo quattro; nonostante gli avvertimenti e la diffidenza attorno alla loro meta finiscono al castello; da lì alcuni di loro serviranno da colazione al redivivo Dracula, mentre gli altri, coadiuvati (ma guarda che cazzo di parola ho scelto di usare) dal frate ammazzavampiri iniziano la solita caccia che si conclude stavolta con il mostro che precipita in acqua e muore affogato. Già, anche l’acqua può uccidere i vampiri, lo sapevate?

La faccia verdognola del Conte che sprofonda e in fondo rimane lì mentre i titoli di coda scorrono è la cosa più inquietante di tutto il film. Resta con noi, sembra morto e sembra spiarci allo stesso modo. Tornerà, lo sappiamo e lo sospettavano anche gli spettatori degli anni 60 che dovettero alzarsi dalla poltroncina molto più turbati di noi oggi. Bisogna comunque ammettere che c’è un buon ritmo e che il film tutto sommato lascia il segno in due o tre occasioni. Il corpo sventrato e messo a testa in giù sulle ceneri di Dracula, il sangue che cade a litri sollevandone piccole nuvole e a poco a poco il corpo del vampiro che torna in vita in un graduale reincicciamento: effetto contrario e non meno disgustoso della classica scena in cui il mostro si decompone sotto un paletto o alla luce del giorno.

E poi che diamine, c’è una gran bella atmosfera, grazie agli esterni (parecchi) nei boschi, la fotografia più da cella frigorifera che da salotto buono del primo episodio e una maggiore varietà nello score di Bernard. La sceneggiatura non era poi così male, dopo tutto. Lee e Fisher la fecero così lunga mortificando quel poveretto di Sangster e lui ci rimase così male che decise di firmarla con lo pseudonimo: John Samson, tipico nome da dialoghista schiappa.