Il rock non è morto, sta solo facendo finta

Il rock non è morto, sta solo facendo finta di esserlo. E io lo capisco. Che senso ha continuare a essere il carburante e il detonatore della rabbia di nuove generazioni inconcludenti? Che senso ha essere il foraggio di vecchi e claudicanti energumeni come Gene Simmons o Mick Jagger, impoveriti proprio alle soglie della pensione? Lasciamo stare per un momento le difficoltà commerciali dovute alla rete e alla nuova cultura della musica gratis. La questione sulla salute del rock non è mai passata dalle vendite o dalle adunanze ai concerti.

Il rock era morto già trent’anni fa, prima che Kurt Cobain se ne venisse fuori con Smells Like Teen Spirit. L’esplosione di Nevermind mise a tacere le cassandre per qualche mese, prima che riprendessero a dire che il rock era morto, e proprio a causa dei Nirvana. E visto che dicevano così, il rock si suicidò per dimostrare che invece era vivo. Sto provocando, badate bene. La morte del grunge e del rock non uccise davvero il rock, al punto che ancora oggi c’è qualcuno che insiste a dirci che finalmente, è morto, andato, finito. Come diceva il segaiolo di Providence? “Non è morto ciò che può vivere in eterno,
E in strani eoni anche la morte può morire.

Ogni giorno capita di leggere dichiarazioni di Paul Stanley o Jey Jey French, i quali ci spiegano perché a livello tecnico-tattico, il rock sia davvero morto. In coro sentenziano che “Non esiste un ricambio generazionale”. I giovani di oggi non hanno dei coetanei rockers della loro età che li rappresentino. Non ha senso che un quindicenne veda espressa la sua voglia di rivoluzione nelle movenze acciaccose di certi vecchietti come i Black Sabbath, ancora una volta sul palco.

C’è chi dice che sarà il concertone di addio di Ozzy e Iommi il funerale del rock. Qualcuno scriverà questa cagata, statene certi.

E quindi sarebbe così che il rock muore? Sbavando e collassando sul palco? Dove non hanno potuto le droghe, vincono senilità e demenza bio.

C’è chi si scandalizza per l’esumazione di Osbourne, incapace di affrontare un palco e messo lì, esposto come una reliquia. Ma gente, Ozzy sono 40 anni che si è donato al music business e nel contratto non era mica prevista la chiusa con la cessazione delle funzioni biologiche, sapete?

E per quanto molti dicano che lo è ma non lo ha mai davvero saputo, il cantante dei Black Sabbath quelli veri, è ancora vivo.  Mio nonno invece è defunto. Di quello sono certo. Nel 1996, una sera di maggio che mi ha cambiato il cuore per sempre.

Ma insomma, se io andassi ancora in giro a dire che mio nonno è morto, e dovessi argomentare che è così per dimostrarlo ogni sei mesi, significherebbe che mio nonno probabilmente non è del tutto morto. Altrimenti non ci sarebbe nulla da ribadire dopo la data in cui se ne andò. Immagino il rock come un nonno che si dice al cimitero, nonostante faccia di tutto per dimostrare che si trova ancora in mezzo a noi.

Intanto fissiamo un concetto: il rock è stato parte di un sistema mediatico. Senza di esso non sarebbe mai stato il fenomeno culturale che è stato. Può essere finito quel tipo di faccenda: Woodstock, le morti al Chelsea Hotel, i patti satanici, la psichedelia dei Beatles e lo squalo dei Led Zeppelin, ma la musica può sopravvivere bene senza tutto questo baracconesimo 2.0. Lasciamolo al rap, al pop e agli sculettatori di Tik Tok.

Il rock non è né vivo, né morto. Non si tratta di un organismo vivente. Capisco che lo sentenziamo in modo figurato e ce ne beiamo con la soddisfazione del Sopravvissuto a tutto quello che il rock ha voluto dire da Satisfaction ai Talkin Heads, ma non stiamo parlando del rock nella sua essenza. Esso non è mai vissuto e quindi non è mai morto.

Certi compositori che hanno frequentato questa forma espressiva, sono andati altrove o sono ancora qui e continuano a suonare il rock, ma il rock non respira, non invecchia, non decede e non risorge. Si tratta di qualcosa a nostra disposizione per dire quello che abbiamo dentro da dire. Se preferiamo usare i campionatori e i culi per parlare di nichilismo, il rock tacerà e starà nel ripostiglio.

Magari coloro che lo danno per morto, credessero davvero alle loro parole. Invece sono ancora lì a ripeterci, ogni volta che il rock guizza, riparte che no, tanto è morto. E la prova sono quei poveri vecchietti che milioni di persone corrono a vedere sui maxischermi, godendosi la loro incapace di saltellare sul palco e di spaccare amplificatori senza farsi venire un calo di pressione.

Sarebbe come dire che la ribellione è morta. Capite?

Ma la ribellione è un modo di risolvere le cose. Non ha una fisiologia. E poi sapete cosa c’è, il rock non è nemmeno ribellione. Lo può essere come lo sono state le bottiglie usate per spaccare teste durante i cortei contestatari degli anni 60. Le bottiglie sono bottiglie, non l’ideologia che le ha trasformate in molotov. Hendrix suonava la carica agli studenti incazzati contro il sistema? No. Hendrix suonava le sue palle e qualcuno usò quella sua energia per commentarsi lo scazzo esistenziale. Siamo sempre e solo noi esseri umani a vivere e morire. Il rock non muore. Ma a questo punto fa finta, sperando che smettiate di trattarlo come un cazzo di Lazzaro.