Fratelli Sdangheristi, Sorelle Sdangheriane (se ci siete battete un colpo)…
io so cosa volete. Non v’importa molto dei dettagli delle canzoni ma dell’impianto complessivo, di cercare e trovare quelle correnti sotterranee nel complesso dell’espressione d’un artista e rintracciare addentellati esistenziali allo Spirito del tempo e alle nostre società in questo momento così decadenti. Forse le avrete, ma sappiate che questo pezzo non sarebbe uscito tale senza quello di Padrecavalo su Matjievic e la creatura Steelheart. L’occasione di ciò è il ritrovo Hard rock più importante del belpaese ove il si suona (anche in Spagna, ma talvolta strascinano la s).
Era iniziata come una bella giornata di Primavera quella della macchinata con cui siamo andati io, mio nipote Alan e due amici storici al secondo giorno del Frontiers festival, Sabato 26 Aprile.
Abbiamo saltato il 25 perché gli Asia non fanno un disco buono dal 1992, quindi restavano Bonfire, invero poco incisivi come per gli Honeymoon suite e l’enigma Fans of the dark (se ci sono o ci fanno a fare la versione underground dei Ghost), gli altri gruppi non c’hanno colpito.
Per il 28 gli Harem scarem erano una possibilità interessante, ma circondata da nomi peggio che il primo giorno (vidi i White Lion ai bei tempi e McAuley oggi propone musica poco ispirata), quindi mesi fa ci siamo orientati sul secondo giorno, più nutrito e con un prezzo già possente dovendo contare viaggio e cibo e liquidi. La distesa della pianura Lombarda è poco accattivante e abbiamo deciso che visiteremo Trezzo sull’Adda in un’altra occasione, anche perchè, cari amici, non so quante edizioni del festival si terranno ancora, con quello che abbiamo vissuto.
La giornata ha cominciato a mostrare nuvolaglie provenienti dal Nord già nel primo pomeriggio, così abbiamo deciso di vedere tutti i gruppi e non è stata una buona idea. L’ambiente è un enorme salone spezzato nel mezzo dall’altrettanto grande zona mixer e alla destra del bel palco trovammo una bizzarra struttura sopraelevata di qualche metro dalla folla; in più, alle spalle e sopra il pubblico, una balaustra vetrata troneggiava tronfia sull’intero spazio.
Queste due pacchianate sono tali perché ospitavano i possessori dei biglietti di “status superiore”, uno schifo ignobile a metà strada fra i livelli di cittadinanza-sudditanza della fantascienza distopica e le cartefreccia in salsa musica Rock. Già mi ribolliva il sangue, quando arrivammo e sentimmo il primo gruppo, tal Cassidy Paris. Sulle band minori il discorso è: musica eseguita bene e vissuta zero, fredda e derivata, in questo caso con strane incursioni in territori Pop alla Avril Lavigne, ma meno convinte.
Quindi è seguita la proposta pseudo Class di Girish and the chronicles, per i quali c’era curiosità: quartetto indiano ma purtroppo con un piglio da giapponesi. Il Rock giapponse è fin dagli anni 80 un caso triste di pochi, grandi artisti circondati da una valanga di persone che imitano il canone europeo senza comprenderlo.
Girish e i suoi, con un logo degno d’una competizione estiva di calcio, cercano di dare al loro Glam class una sfumatura diversa e finiscono per buttarci sezioni Grunge fuori posto pensando che tutto quello che è stato fatto dal mediterraneo verso Ovest sia quagliabile, una cosa posticcia che Saigon Kick e The almighty già fecero con scarso risultato.
Il primo scandalo della giornata è stata l’esibizione di tale Chez Kane i cui dischi sono veramente tremendi. Costei ha pensato bene d’esibirsi col sedere quasi nudo, al quale mio nipote Alan non ha degnato uno sguardo perché osservava con attenzione la folla delle partecipanti.
Qui s’apre un nuovo squarcio sulla realtà del Rock, ovvero il rock non come realtà staccata dal resto ma come fenomeno reale all’interno della realtà complessiva: saremo stati meno d’un migliaio dentro e fuori, la socializzazione avveniva all’esterno. Ho visto cose veramente divertenti e piacevoli, come una minigonna a forma di chitarra di Van Halen e una coppia di tizi della Val Susa che erano in posa tutto il tempo come uscissero da una rivista di Design del 1985, oltre un’interessante distesa di magliette in cui quelle di Ratt e Journey erano le più banali.
La composizione dei partecipanti è preoccupante: pochi italiani per un’assemblea nazionale, una nutrita presenza mediterranea (Greci, balcanici, iberici) e una nordica preponderante. Pochi sotto i trent’anni e a maggioranza femminile, inversione di tendenza rispetto a quindici anni fa; la maggioranza attorno ai cinquanta a preponderanza maschile e pure qualche mio coetaneo.
Così, mentre rientravo ho visto che sul retro c’era uno spazio sotto l’orrida balaustra dove si vendevano dischi vari. Ho notato Serafino Perugino (il generale della Frontiers) che parlava con dei partecipanti.
Mi sono avvicinato e lui mi ha riconosciuto. Così gli ho chiesto come va senza citare l’orrore soprastante. Lui mi ha risposto che è palese: pochi giovani di valore, la situazione rischia d’implodere.
Potevo infierire dicendogli la verità, ovvero che inseguendo ogni pagliacciata commercialoide ci stiamo buttando da soli nella spazzatura? Senza contare che il ricambio del pubblico s’è interrotto e non bastano le camper divisionen dei Nordici, tutti soggetti altissimi che al solito cominciano a bere appena arrivati e continuano per tutto il tempo; buona parte sembrano degli impiegati in gita al Partenone per i quali si può essere certi che negli anni buoni non si perdevano concerti di Eloy e Grunder e per questo, sono encomiabili.
Per i gruppi minori la partecipazione calava con fughe all’esterno, poi sono arrivati i Crazy lixx. Glam Metal senza enormi pretese, ben eseguito e con maggiore convinzione. L’atmosfera ha iniziato a scaldarsi con un’esibizione professionale, ben accolta dal pubblico. Quindi è seguita l’enorme ora degli FM: vestiti in modo “anni 2000 pseudo-eleganti per un film commedia leggera con Ruper Everett”.
Gli Inglesi hanno spazzato via buona parte del panorama attuale con uno spettacolo immane, aiutati da un pubblico che ne conosceva a memoria e brani cantandoli insieme a Steve Overland. Non una sbavatura, non un’indecisione, il gruppo e il pubblico reciprocamente soddisfatti e che interagivano calorosi. Esaltati, vediamo seguire i Treat, un gruppo svedese di Hard rock classico che avrebbe meritato produzioni più grosse di quelle degli Europe.
Massicci e melodici, un discreto concerto con cori di partecipazione entusiasta del pubblico (che m’aspettavo di molto meno rispetto agli FM). Il giorno s’è così disteso sulla sera incipiente mentre il pubblico aspettava i Winger, la cui partecipazione conteneva la sibillina silloge “ultimo concerto in Italia”, così ci siamo chiesti se fosse la versione rock del blocco delle esportazioni.
Si fanno aspettare finché irrompono ed è stata un’ora lunghissima, fra corde rotte e abbandoni di palco, monologhi inutili fra i brani, arroganze varie, la perizia mostruosa sugli strumenti con aperture progressive accattivanti ma gestite male e la distruzione vocale di Madeleine che mi stava facendo ridere per non piangere, con fitte di dolore fisico e artistico alle mie vecchie costole.
Bilancio? Luci e ombre come potete leggere, e aggiungo una risposta-suggestione al nostro Padrecavallo: il Grunge è apparso diverso perché contrapposto alle arroganze assurde di certi personaggi, ma per ogni Kip Winger o Matjevic c’erano gruppi interi come FM e Treat, molto gentili e disponibili col pubblico e fra loro. Perché è andato avanti l’impulso dei primi e non la cortese costanza dei secondi?
Forse il futuro passerà da qui, se qualcuno avrà il coraggio di raccoglierne l’eredità sviluppandovi idee nuove.

