Confesso di avere qualche problema con un personaggio come Paul Speckmann. Di lui ho iniziato a sentir parlare verso il 1995-96, quando Stefano Marzorati inserì sia gli Abomination che i Master nel suo dizionario dell’horror rock. Mi sorprese scoprire che assieme a Chuck Schuldiner e tutta l’altra congerie più nota di band death metal, ci fosse questo veterano reputato tra gli imprescindibili fondatori del genere. Volli subito ascoltare cosa avesse realizzato ma i dischi delle sue band non si trovavano. Sono riuscito a farlo dopo molti anni grazie a internet. Nel mentre la figura di Speckmann era cresciuta in popolarità e aveva raggiunto una stabile posizione nel phanteon dei grandi miti del metal underground. Rimasi però deluso dalla sua musica. Riconobbi senza sforzo in quei dischi una evidente influenza “precursiva”. Si può dire precursiva?
Non tanto nel caso degli Abomination, che sia il primo album omonimo (1990) che soprattutto il secondo Tragedy Strikes (1991), rappresentano l’anima “gentile” di Speckmann e sono ancora un valido esempio di speed-thrash d’annata (si parla di fine anni 80 inizio 90) ma i vecchi demo dei suddetti Master e un’altra vecchissima band di Paul, i Death Strikes, comprovano che lui c’era prima di altri a fare quelle cose. Punto.
Se non è mai comparso sulle copertine delle riviste anni 80, 90 e 2000 e di sicuro i suoi Master non vengono ancora inseriti nelle top ten dei-grandi-dischi-death-of-all-times di Rolling Stone, è perché appunto Paul Speckmann non ha realizzato grandi riff e melodie con nessuno dei suoi gruppi. Non intendo cose di buona qualità, che affascinano più il tempo passa, ma veri cavalli di battaglia che scavalchino in scioltezza le fosse generazionali e conquistino i cuori della gente nei secula seincularum. Prima non capitava perché c’erano problemi di distribuzione e va bene, ma con la rete, chi doveva arrivare è arrivato, vedi i Manilla Road e i Cirith Ungol.
No, l’eredità del vecchio Paul è nello stile e nell’attitudine molto personale. Per esempio come autore di testi, non ha mai mollato la presa dall’attualità, vista in modo molto polemico e diretto. Blood For Oil, da Tragedy Strikes degli Abomination, è una sanguigna invettiva sulla guerra del Golfo scritta a caldo, in quegli anni lì, ed è forse ancora oggi l’esempio maggiormente rappresentativo di lui come paroliere-opinionista.
Non lo legherei completamente al death metal. Capisco che in fondo sia questo aspetto a trasformarlo in un personaggio importante nella storia e su cui ricamare una carriera, ma Speckmann per me è sempre stato un cane sciolto, non si è identificato mai con un sotto-genere specifico sia ideologicamente che nella pratica, ha solo continuato a fare la sua cosa brutale e stare nel suo orto, tenendolo in piedi alla sua maniera, sfidando le implacabili e talvolta imperscrutabili leggi del meteo o del mercato, che dir si voglia.
Paul è uno che ha fatto la Storia, ma è costretto praticamente a scriversela e tramandarla da solo. Il suo libro biografico non so se sia mai stato pubblicato, ma c’è. Dubito che basti, però. Ho letto diverse biografie affidabili dedicate al death metal, tra cui Choosing Death di Albert Mudrian e Profondo Estremo di Jason Netherton, e nessuno di questi autori ha offerto a Master o Death Strikes grande spazio. Mudrian addirittura non cita un disco dei gruppi di Speckman nell’elenco dei titoli essenziali con cui vuol farci ripercorrere la storia del genere. Stiamo parlando di uno dei più competenti giornalisti metal internazionali e guarda un po’, niente Speckmann.
So che Choosing Death ha ricevuto qualche critica per questo, ma più che altro da utenti di reddit e di qualche forum: nel libro si parla di un numero limitato di band note e si trascurano le mille altre che c’erano e fecero parte della “creazione della morte metallica” e non del suo collasso.
Che poi, chiamarlo “l’inventore del growling death” non mi sembra neanche così giusto. Kam Lee dei primissimi death usava il growling già dal demo del 1984 Reign Of Terror. Quello di Speckmann, per sua stessa ammissione era più un urlo estremo. Lui lo riteneva una cosa molto personale, non il brevetto da trasformare in un prodotto industriale. Di sicuro le cose dei Death Strikes piacevano a Schuldiner e colpirono molto alcuni musicisti della scena death svedese prima che si dessero da fare con i vari Nihilist-Entombed, Dismember o Groutesque (Tompa, riposa in pace) ma insomma, lasciamo stare la filologia per oggi.
Ammiriamo un’ultima volta, prima di passare oltre, l’orticello di Paul Speckmann e i suoi ravanelli indigeribili.

