Storia degli Obscura – A Metal Sliding Doors (2002-2025)

“Qualunque cosa tu possa fare o sognare di poter fare, cominciala. L’audacia ha in sé genio, potere e magia!” Goethe

Una premessa. Tanta gente rimpiange i bei tempi in cui bisognava andare in un negozio, comprare il disco, ascoltarlo sorreggendo la custodia, perdendosi nei colori della caleidoscopica copertina eccetera eccetera. Immagino sia tutto giusto in quel modo di fruire la musica; ogni boomer in cuor suo prova allegrezza nel vedere un ragazzino di sedici anni alla fiera del disco di non so dove, mentre guarda ammirato un disco dei Vicious Rumors o uno dei Candlemass e ci butta la paghetta di Natale.

Eppure io trovo che in questo passaggio a nord-est tra due generazioni così spaccate dalla forsennata digitalizzazione, si perda qualcosa di essenziale. L’acquisto di un disco, il viaggio verso il negozio, l’ammirazione liturgica della copertina, la lettura stile breviario donabbondiano dei credits, in tutto questo si dimentica un fattore fondamentale: la lentezza a cui eravamo, quasi tutti noi figli del mercato analogico, piacevolmente condannati.

Per mancanza di soldi, per amore di una band, per spilorceria o solo perché non concepivamo un accumulo a sei cifre di cose come dischi, cassette o CD (ce ne bastavano appena un centinaio)  dovevamo fare i conti molto più a lungo con questo o quell’album.

Se avessi scoperto gli Obscura nel 1992, mi sarei fermato probabilmente a un solo disco. Sì, bravi, sì interessanti, ma non abbastanza da spingermi ad approfondirli. Avrei di tanto in tanto risentito quello stesso disco, ponderando se rivenderlo al negozio di Giannu Zughi e magari, a forza di insistere, ne avrei apprezzato le intuizioni più sottese.

Sarebbero passati anni e nel mentre avrei scoperto e sentito forse una ventina di band in più di quelle che conoscevo già. Oggi non possiamo permetterci di trascorrere più di qualche giorno su un album, specie se non è così folgorante e ci costringe a volerlo risentire e risentire. Abbiamo accesso a tutto ed esce così tanta roba che non possiamo perdere tempo. Significherebbe trascorrere la serata su un solo canale, quando con uno zapping forsennato, potremmo sbirciarne in rassegna centinaia e non vedere di fatto un cazzo.

L’abbondanza, l’accesso illimitato, la fretta e la stanchezza, ecco di cosa è fatta la nostra routine di appassionati. In tutto questo mi domando come si possa comportare una band come gli Obscura. Forse anche loro realizzano dischi sapendo che la gente non gli dedicherà più di qualche minuto della propria vita. Potrebbe darsi che la musica creata da Steffen Kummerer e dalla sfilza di mostri che ha coinvolto, così elaborata e piena di cose da scoprire al ventesimo ascolto, sia condannata al ristagno e all’indifferenza, ma mi domando se gli Obscura stessi non facciano i conti con tutto questo, se credano che là fuori ci sia un mondo di persone, magari non foltissimo ma reale, che voglia trascorrere mesi o anni a spaccarsi la testa sui loro dischi e compitare esegesi sulle liriche filosofiche di Kummerer.

Beh, io penso di sì, altrimenti gli Obscura non avrebbero inciso e pubblicato dischi come Diluvium o A Valedication. Io stesso non pubblicherei questi miei scritti, se pensassi che là fuori ci sia solo un pubblico di beoti mangiati vivi dal meccanismo compulsivo-endorfinico dei social network, di analfabeti funzionali e di appassionati costipati da una fitta serie di biàs cognitivi. Che belle parole, vero? Ma non significano nulla. Le cose non sono così semplici che basta una serie di definizioni psicoqualunque a irretire un oceano di anime in tre righe.

Non vivremo mai abbastanza per sentire tutto quello che c’è da sentire, per leggere tutto quello che c’è da leggere, per vedere tutto il Cinema che c’è da vedere e in parte, sprechiamo il tempo che abbiano, ascoltando, leggendo e vedendo cose mediocri, mancando i capolavori da non perdere, ma sapete cosa?

Questo non è il senso del nostro percorso di fruizione creativa. Stiamo su qualcosa che ci piace? Bene, ma diamole il tempo di crescere dentro di noi. Ogni disco è tutti i dischi, ogni libro è tutti i libri, ogni uomo è tutti gli uomini. Là fuori è tutto su un nastro trasportatore infinito di roba destinata per lo più al macero, ma noi freghiamocene, rendiamo le spalle allo sferraglio e ai colori attraenti: sprofondiamo in ogni pertugio e respiriamo a pieni polmoni lo spiffero infinito della poesia, della fantasia e del pensiero dentro ogni frammento creativo che ci capiti a tiro e che ci trasmetta qualcosa.

 INFANZIA DI UN CAPO

Come sapranno alla nausea i più fedeli appassionati di Steffen Kummerer, da “fischiotto” iniziò il suo percorso di musicista studiando pianoforte e canto corale.

Poi grazie a una borsa di studio, a 9 anni passò a una scuola per bambini dotati. Sebbene non avesse ancora un’idea chiara su quello che avrebbe fatto nella vita, in questa scuola lo allenarono all’ascolto musicale; gli insegnarono la teoria avanzata della composizione e ad avere una rigida disciplina con lo strumento.

Secondo lui, una tale preparazione gli rese facile il passaggio dal piano alla chitarra, a sedici anni, quando si innamorò del techincal death metal e rinunciò in partenza all’idea di suonarlo col pianoforte.

Peccato, avremmo avuto qualcosa di molto più interessante degli Obscura che conosciamo se avesse insistito a farlo sui tasti d’avorio.

Kummerer come chitarrista si professa auto-didatta. Per la verità, all’inizio con la chitarra provò a prendere lezioni da qualcuno, ma al tempo, in bassa Baviera nessuno degli insegnanti locali aveva la minima idea di cosa fosse il metal, quindi lasciò perdere e si diede da fare in solitaria. Partì ripetendo i riff dei gruppi che gli piacevano e da un libro che gli regalarono i genitori: le tablature di Fire and Ice di Malmsteen.

Non l’aveva mai sentito. Recuperò il disco del mirabolante svedese ma non ne rimase così avvinto. Nemmeno Surfing with Alien di Satriani lo mandò in sborra cosmica. Steffen si identificò naturalmente con gente come Schuldiner e Mameli, vale a dire chitarristi compositori che usavano la tecnica al solo scopo di aumentare le possibilità espressive e non per fare spettacolo come dei giocolieri.

Più sai fare con la chitarra e più riesci a dire ciò che hai in testa. Si tratta di una teoria interessante. Purtroppo se tu sai un milione di parole e non hai nulla da dire, resti uno che non ha nulla da dire ma ci mette tantissime note per dirlo.

Se sto qui a scrivere di lui e dei suoi Obscura, vuol dire che per me Kummerer non rientra in questo caso.

Pochi mesi dopo essere passato alla chitarra, Steffen fondò la sua prima band e la chiamò Illegimitation.

“Illegimitation” vuol dire Illegittimità. Non so cosa ne pensiate per una band death metal. Non riesco nemmeno bene a pronunciarla ‘sta parola. Dopo qualche tempo Kummerer cambiò nome al gruppo, per fortuna di tutti, omaggiando l’album dei canadesi Gorguts: Obscura, appunto. Quel disco era uscito nel 1998, quando Kummerer aveva tredici anni, andava ancora in quella scuola per bambini dotati, si schiantava il cranio tra pippette e solfeggio e suonava al piano studi di classica su Mozart, Bach, Beethoven e Stravinsky.

Dato che era nato nel 1985, vuol dire che Steffen si diede al metal nel 2001. I gruppi citati da lui come influenze principali, allora erano in gran parte già estinti.
Gli Atheist avevano rinunciato, tra fischi e rutti del popolo braciolesco dei Cannibal Corpse. I Cynic chiesero umilmente scusa per aver pubblicato un disco come Focus e si erano tolti di torno pure loro. I Death erano finiti nel 1998 e nel periodo in cui Steffen nasceva come nuovo alfiere del death metal, Chuck Schuldiner gli lasciava campo libero da un letto d’ospedale. Sul versante delle influenze black metal, non meno importanti per i primi Obscura, gli Emperor uscivano in quel periodo con il loro disco più tecnico prima di sciogliersi e i Dissection, altra principale influenza di Steffen, erano già al palo dal qualche anno, per via di Jon Nödtveidt in galera e tutto il resto.
E per quanto riguarda i Gorguts, erano anche loro usciti con un nuovo disco proprio nel 2001, ma faticavano a tirare avanti.

LA VIA DI CHUCK

Steffen Kummerer: Human è l’album dei Death che mi ha sicuramente portato a tutta la scena metal più estrema. E mi ha aperto gli occhi su come arrangiare le canzoni e su come combinare diversi ambiti musicali. E allo stesso tempo, mi ha spinto a cercare di creare musica senza tempo e soprattutto ad adattarmi a lungo termine all’idea di formare la mia band e a spingermi il più a lungo possibile, il più lontano possibile. Gli Obscura sono la prima band con cui ho suonato, e sarà l’ultima.

Sul passaggio di consegne tra Schuldiner e Kummerer ci sono state parecchie speculazioni. Si è sempre ipotizzato un culto da parte di Steffen, a livelli di emulazione pura. Ovviamente l’influenza negli Obscura è evidente così come nell’attitudine di Kummerer rispetto a Chuck, ma dire che il suo gruppo sia una specie di tributo ai Death, è davvero ingiusto, oltre che esagerato.

Secondo me anzi, c’è un abisso tra gli Obscura e la via di Chuck. Vero, in entrambi i casi si è creata quella situazione di un leader che fa e disfa il gruppo, cacciando e assumendo gente dal talento straordinario, ma rispetto ai Death, gli Obscura nascono dove Schuldiner si fermò e non vanno poi molto oltre quel cammino.

Non intendo sminuirli, trovo siano tra le realtà più interessanti e talentuose in circolazione, ma il percorso che spinge Kummerer avanti è caratterizzato non da una crescita creativa, tecnica e personale. Per Chuck, i Death erano soprattutto quello, non gliene fregava un cazzo di etichettare la propria musica. Non si domandava se ciò che faceva fosse o non fosse abbastanza metal, specie a partire da Human in poi. A un certo punto i Death diventarono per lui quasi una prigione e gli ultimi dischi, che oggi rappresentano una intrigante evoluzione da Scream Bloody Gore, erano, in particolare Symbolic e The Sound Of Perseverence tentativi di fuga abortiti e in parte sconfessati.

Nel caso di Kummerer non c’è mai stata frizione o insofferenza con i confini del suo progetto e con il sottogenere che si è scelto. Lui è felice di essere technical death metal alias Obscura, e come assicura, lo sarà sempre. Nonostante questo, si concede qualche movimento e raggiunge turisticamente “posti nuovi”. Ma possiamo paragonarlo all’assestarsi di un gigantesco dinosauro che prova altre posizioni in cerca di quella ideale su cui rilassarsi. La tensione verso una meta c’è, ma non stiamo parlando di una fuga verso l’ignoto. Lui lo sbircia di tanto in tanto dalle finestrelle della sua navicella e rabbrividisce. A Sonication in questo è forse il brivido più lungo e non a caso è considerato quasi da tutti il disco più deludente degli Obscura.

LA NASCITA DEGLI OBSCURA

Landshut è una graziosa cittadina a un’ora a nord di Monaco di Baviera, in Germania. Come tutte le graziose cittadine, ha una scena metal di giovani disadattati pronti a dar fuoco a qualche chiesa. La città aveva alcune band interessanti: Path of Debris, Dark Fortress, Noneuclid, Rushroom. Si badi bene che questi nomi li sciorina in alcune interviste lo stesso Steffen, io non saprei chi siano. Lui assicura che tutte queste band si conoscono e collaborano da sempre per amore della scena, anche se gli Illegimitation dovettero guadagnarsi il rispetto della gente di lì con il tempo. Non fu una cosa immediata, specie per il nome, anche perché all’inizio erano dei ragazzini al limite della maggiore età, senza le idee molto chiare sul da farsi e si chiamavano Illegimicosa.

Dal demo degli Illegimitation, che mi guardo bene dal sentire, al debutto ufficiale auto-prodotto nel 2004 intitolato Retribution e auto-distribuito con un’etichetta inesistente (Vots Records) passarono 4 anni.

Gli Obscura avevano registrato Retribution al Mastersound Studio di Alexander Krull (Atrocity/Leave’s Eyes) in estate. Era stata un’esperienza piacevole. La sola cosa di cui Steffen si pente ancora oggi, fu la decisione di usare la batteria elettronica in studio a causa della mancanza di tempo.
In quel ruolo al tempo c’era Jonas Baumgartl, un bravissimo batterista che nessuno sentirà mai su disco, visto che la sua prestazione fu così editata da sembrare una drum machine.

L’album vendicchiò, la prima stampa finì dopo il tour con i Suffocation, lo stesso anno in cui uscì, ma l’incontro con il grande pubblico avvenne dopo l’exploit di Cosmogenesis, quando la Relapse decise di rilanciarlo usando i propri canali.

Retribution fu importante perché diede inizio alla collaborazione tra gli Obscura e V. Santura dei Dark Fortress; non solo creativamente, visto che su quel primo disco, aveva scritto i testi di due pezzi e suonato assoli in un paio di altri brani, ma fece pure già un lavoro di missaggio che risulta invece svolto solo da quel fancazzone di Krull.

Nel 2004, Santura aprì i Wounded Studios proprio a Landshut e per circa dieci anni, tutti e quattro i tasselli della tetralogia, degli Obscura sono stati prodotti da Santura (di fianco nella foto in un raro momento ridanciano) e registrati da lui.

Santura non solo aveva aiutato Steffen e gli altri a registrare il primo disco, ma lo supportò notevolmente nella gestione della voce, visto che ormai era Kummerer, dopo un primo periodo in cui se ne era occupato un certo Martin Ketzer. Per quanto avesse studiato canto corale per anni, Stef non aveva le idee molto chiare su come gestire il proprio growling. Così come per la chitarra, a quel tempo non c’erano guide se volevi addentrarti gutturalmente nella selva oscura del death metal e Santura gli fece un po’ da guida.

Nonostante la mancanza di un contratto, gli Obscura si mossero molto dal vivo. Presero parte ad alcuni festival e suonarono negli stessi club di Necrophagist e Profanity. Erano però anni in cui non si viveva ancora molto l’entusiasmo per il death metal progressivo e tecnico, come invece capita oggi.

AMORE PER IL TECH DEATH MEDL

Eh, già. Chissà cosa ci trova la gente nel death iper-tecnico o come lo definisce qualcuno “progressivo”.

Progressivo, esatto, perché tutte le cose lunghe e complicate, nella mediana mentale comune dei metallari è inevitabilmente “progressive”. Beh, diamo per buono che Death, Cynic, Atheist, Pestilence, Gorguts e quindi anche gli Obscura tra i molti altri del genere tech siano pure progressivi e seguitiamo col ragionamento.

Death primevo e Progressive sono due generi per pochi eletti. Il discrimine che li separa dalle masse è nel primo caso l’elevata brutalità un po’ ottusa e nel secondo caso l’elevata complessità un po’ cervellotica, che parimenti richiedono un grande impegno nell’ascolto. Presi assieme, death e prog mettono a dura prova la pazienza e l’attenzione del pubblico generalista; per non dire che lo fanno scappar via.

Diciamo che si tratta di… un’accoppiata tremenda.

Però storicamente, a guardare indietro, mi appare una fusione quasi inevitabile.

Il death metal (in combutta col Grind) più che un genere vero e proprio era la scena del crimine dell’omicidio di un genere già esistente, quello cosiddetto heavy metal. Trovava il suo equilibrio creativo nella cosiddetta “soluzione di continuità” o per meglio dire della rottura definitiva e incontrovertibile del metal stesso.

Raggiungeva un senso ultimo nello stesso momento in cui infrangeva il Crazy Train tradizionale in mille pezzi sul muro del tempo, dello spazio e del suono. Era come un bambino particolarmente veemente e iperattivo che finiva per rompere il giocattolo che altri bambini, per quanto agitati, prima di lui avevano sì tartassato il balocco per generazioni, in un asilo olezzante di suore e di canestrini, ma non al punto di distruggerlo.

Una volta che porti al massimo delle possibilità tutti gli aspetti già esasperati del metal, vale a dire la velocità, la pesantezza, la violenza e la dissacrazione, le opzioni sono due. O te ne vai in una grande esplosione; o diventi una ridondante finta-esplosione che alla lunga guadagna quel livello di rassicurante consuetudine piatta e un po’ stantia del cannone che tuona a mezzogiorno su un nastro registrato e diffuso dai grossi altoparlanti comunali di una ridente cittadina qualsiasi, tipo Landshut.

Il progressive invece, quello storicamente riconosciuto, aveva fatto il giro evoluzionistico nell’arco di dieci anni circa, nel tentativo di portare il rock oltre la plebaglia commerciale e mantenerlo puro nelle alte sfere ossigenanti della musica classica e del jazz, condendolo di rimandi tematici altamente culturali, mitologici, fantasiosi, allegorici e persino politici; insomma un pacchetto troppo in alto per le manacce pelose delle scimmie.

Dopo gli Yes, gli Area o i King Crimson, era difficile diluire il rock oltre quelle raffinate sfaccettature. E il bello era che a fine anni 80, il Progressive era di fatto imbalsamato e finito come qualsiasi altro genere prima di esso.

Solo la commistione con i nuovi sottogeneri nati dopo il 1980, tipo l’heavy metal, lo hanno rivitalizzato per un altro po’ (Dream Theater, Tool, Meshuggah, per dirne tre a caso).

E calando la matrice progressiva, intesa non solo come lunghezza e complicazione, ma anche come ricerca ed evoluzione, nella dimensione massificata del death, ecco che il bisogno di muoversi del primo, salvava il secondo da una “non morte” purulenta e sempre più folcloristica.

Ovviamente il progressismo del death metal si è mostrato soprattutto nell’elevazione tecnica e nell’aumento della pulizia produttiva, nell’inserimento del basso fretless e in sezioni ritmiche jazz e fusion.

Se gente come gli Entombed o i Repulsion portarono da subito la brutalità al limite, gli Atheist e Death, presero quella violenza e la disciplinarono in un’arte marziale sempre più sofisticata. C’era la forza ma anche il controllo.

Ancora oggi Steffen, a proposito dell’attitudine poco professionale di un suo ex collaboratore (Jeroen Paul Thesseling) parla di una preparazione al concerto degli Obscura che inizia molto prima dell’esibizione. Una disciplina ferrea, sia mentale, alimentare che fisica durante le giornate del tour, permette ai musicisti, in quell’ora di esibizione, di dare il massimo stando molto concentrati e suonando al meglio delle proprie possibilità.

Altro che sesso, droga e rock n roool. Non si tratta di imbracciare lo strumento e fare casino, spaccare culi eccetera, ma di eseguire una intricata, sbalorditiva danza di morte, una serie di spericolate discese e risalite lungo il manico degli strumenti, sorvolando su tutti quei tamburi e piatti e diavolerie percussive, coordinando alla perfezione i movimenti della testa e del bacino, del growl e delle dita.

Era questo che la scuola norvegese di Oslo odiava del death metal, il fatto che fosse diventato un genere così atletico, freddo, quasi uno sport olimpionico da rimirare e applaudire compostamente dagli spalti. Cosa aveva a che fare questa sfilata di abilità bulgare con l’armageddon? E giù a bruciare chiese, uccidere gay ed ex- amici e suonare volutamente di merda.

COSMOGENESIS

Nel 2007 iniziò quello che poi sarebbe diventato un momento fisso nella storia degli Obscura, vale a dire la sostituzione da parte di Steffen Kummerer di tutti gli altri elementi, tranne lui. Ci torneremo, per ora limitiamoci a registrare l’arrivo di due ex Necrophagist (il batterista Hannes Grossmann e il chitarrista Christian Muenzner, più il fenomenale bassista ex Pestilence, Jerome come si chiama, già nei Pestilence di Spheres).

Kummerer aveva già registrato alcuni pezzi di Cosmogenesis con la vecchia formazione, ma ripassati dalle mani di questi nuovi musicisti, con sua grande sorpresa, diventarono “molto meglio”. L’episodio gli diede conferma che non è solo ciò che componi, ma chi chiami a suonarlo, a fare la differenza.

Quel pugno di canzoni, (Anticosmic Overload, Incarnated e Choir of Spirits) convinse la Relapse a mettere sotto contratto gli Obscura. Il disco uscì e cambiò tutto. Cosmogenesis è ancora oggi considerato il loro album più rappresentativo; anche se per Steffen non è assolutamente così, ma chi gli dà retta?

Sebbene tenda a suddividere i vari dischi degli Obscura in cicli, per lui ogni titolo è una tappa in più in un viaggio d’esperienza. Lo scopo di Kummerer è l’applicazione in chiave artistica del motto dell’oracolo di Delfi: “conosci te stesso”. Tradotto in termini musicali si potrebbe dire: scopri il tuo suono e capirai cosa sei davvero, se tech death o qualcosa di molto diverso che ora non riusciresti nemmeno a immaginare.

Per quanto Cosmogenesis, Diluvium o Akreòs rappresentino dei lavori tecnicamente mostruosi e interessanti, sono ancora lontani dall’obiettivo di Steffen, secondo me. Non riconosco gli Obscura ascoltandone le prime note. Lo faccio con Human dei Death e con Focus dei Cynic.  Capisco di che genere si tratti, quando parte Vortex Ovlivium e potrei buttar lì il nome giusto, ma già la successiva Ocean Gateways, nello stesso album, io direi Morbid Angel, non Obscura.

Avere un suono significa che puoi fare quel che ti pare, ma sembrerai sempre tu. Prendete gli Iron Maiden di Wasted Years. Si tratta di un brano molto vicino all’hard rock americano di metà anni 80, eppure sono loro, è innegabile. Anche per i Priest è lo stesso. Turbo è pieno di synth e ha una ritmica alla Billy Idol, ma sono i Judas Priest, ci si arriva subito.

Per questo sono sicuro che A Sonication, l’ultimo album degli Obscura, semplificando parecchio le composizioni verso la vera e propria forma canzone, con diversi ritornelli, ripetuti e accattivanti, lungo tutta la struttura delle varie tracce, rappresenti un doveroso passo avanti nella scoperta del proprio suono. Non dico che siamo arrivato al punto di dire, ecco, non possono che essere loro, non se c’è chi paragona Evenfall alle cose degli In Flames più commerciali, con intento dispregiativo, ma è un passo di lato in un cammino che minacciava di non deviare mai dal tragitto infilato con Cosmogenesis.

LA TETRALOGIA

Bach è il solo di quei compositori di cui Steffen riconosce ancora un’influenza, dai tempi della scuola per ragazzi dotati in cui lo studiò a fondo, resta al suo fianco. Le composizioni di Bach gli piacevano perché erano a detta di lui “logiche”. Uhm… Musica logica? Sì, risponde in un’intervista: “per dire, Mozart, ad esempio, è più legato al sentimento mentre Bach è rigoroso, razionale, matematico. Parla a Dio nel suo medesimo linguaggio”.

E penso che questo spunto sia l’ideale per avviare il discorso più difficile di tutto questo pippone sugli Obscura. La tetralogia sull’Universo. Ma diamo ancora la parola a Steffen:

Scrivere i testi per un album non è facile: la maggior parte degli argomenti è già stata trattata, altri non fanno per me. Preferisco scrivere qualcosa di valido piuttosto che riempire di rime senza spessore alcuni pattern ritmici. Alla maggior parte dei nostri fan non interessano i testi e preferiscono badare alla musicalità… e per me va benissimo. Questo mi dà più libertà di scrivere su argomenti che mi interessano.

Non so quanto la cosa abbia risuonato nella malebolgia metallara quando il gruppo lo disse, ma la decisione di basare i testi sulla filosofia di Frederich Schelling suscita ancora una certa sorpresa in me. Per quanto i Cynic in Focus abbiano introdotto per primi certi temi metafisici e nel black metal ci sia un sacco di Nietzsche mal digerito, la filosofia nel metal estremo è sembrata per tanto tempo una specie di scherzo provocatorio, come infilare un quartetto d’archi in mezzo al caos di chitarre e batteria brutali. Oggi forse c’è qualche speranza in più che il pubblico sia pronto a recepire questo salto in alto tematico verso l’iperuranio.

Al tempo dei primi album death metal, era impensabile che qualcuno usasse il growling per sciorinare una serie di meditazioni filosofiche (e infatti i Cynic usarono il Vocoder). È pur vero che il vocione perentorio e raccapricciante della piccola Reagan McNeill (L’esorcista, 1973) e dei demoni Candariani (La Casa, 1980) fossero usati in quei film, sia per dire cose oscene e imperdonabili sul sacro e la morale, sia per istigare audaci riflessioni sulla morte, l’uomo e dio. La bimba posseduta mise in crisi il già claudicante gesuita nel film di Friedkin e i mostri di Raimi sbriciolarono in poche battute la storia d’amore tra Ash e Linda e i precari legami d’amicizia dei cinque protagonisti.

Certo, non è facile staccare l’idealismo tedesco o la cosiddetta Romantische Naturphilosophie e calarlo in un contesto brutale e criptico come quello degli Obscura, però è da lì che ha deciso di partire Steffen Kummerer e in fondo gli è andata bene: nessuno l’ha menato per questo.

Cosmogenesis non è consapevolmente la prima parte di una tetralogia. Sono quasi certo che l’idea sia venuta successivamente, ma già in quel disco si parla di creazione partendo da un paio di temi preso da Goethe.

Il successivo album Omnivium invece è tutto incentrato su Schelling (anche se Ocean Gateways è fottutissimo Lovecraft, per quel che credo io).

Akroasis usa le precedenti fonti d’ispirazione per sviluppare qualcosa di più personale. In aggiunta c’è un libro di Hans Kayser intitolato proprio Akroasis, che parla dell’armonia del mondo, ma non nel senso che ci vogliamo tutti bene e andiamo d’accordo, si tratta di un concetto che parte dall’armonia musicale e si estende al tutto concatenato in una grande rete di note, numeri o quel che volete.

Il concetto è ripreso da Pitagora, il quale sosteneva che il creato fosse fatto di numeri e che la musica era la prova di questo. Ed ecco il ritorno a Bach e le sue composizioni logiche, il linguaggio divino che è matematico, di cui si parlava sopra.

Steffen ha provato autentici momenti di giubilo quando ha scoperto che pure Schelling e Goethe avevano scritto componimenti poetici sugli stessi argomenti di armonia e mondo. (Il brano lunghissimo Weltseele viene dall’opera di Schelling “von der Weltseele” e anche da una poesia di Goethe poco nota).

In pratica Steffen combina in questi quattro dischi tech death medl,  l’idea di Armonia Mundi di Kayser con Anima Mundi del duo Schelling/Geothe. La cosa è grossa se spostata in un ateneo di filosofia, ma nel villaggio metallaro, pensano tutti di aver sentito i soliti rimbrotti catarrosi alla Morbid Angel e un sacco di scale velocissime.

I quattro dischi rappresentano i vari passaggi evolutivi. Cosmogenesis è dal nulla al Big Bang. Omnivium racconta come il pensiero sia diventato più complesso via via che è passato da quello di una scimmia a quello umano.

“Akroasis” racconta lo sviluppo della coscienza su tre diversi piani identitari: astrofisico, filosofico e religioso.

Diluvium invece è una meditazione sulla fine. Non importa se sei un ateo, una persona religiosa o una persona filosofica, moriremo tutti.

Tutto questo itinerario dalla creazione al nulla e via di nuovo da capo, tornando all’idea di Schelling, è per Kummerer, successivo alla coscienza. In pratica è nato prima l’uovo e non la gallina. Un gigantesco uovo che tutti ci contiene e che ci fa vivere in mezzo alle galline e le uova che loro tirano fuori dal culo tutte le mattine.

Per finire la tetralogia a Steffen sono occorsi dodici anni. E sebbene non sia riuscito in tutto questo tempo a mantenere la stessa formazione, ce l’ha fatta a incidere i quattro dischi in un solo studio (per lo più il Woodshed Studios), con lo stesso produttore (V. Santura), una fissa dimora discografica (Relapse) e Orion Landau come disegnatore di tutte le copertine.

LA TRILOGIA

“Valediction” si può tradurre come l’atto di “addio” o “dire addio”. Secondo Steffen è l’inizio di una nuova, “duratura” serie di concept album. Mammamia che palle. Lui parla di una trilogia ma su cosa con esattezza non sono riuscito a capirlo? All’uscita del primo album, in base alle sue dichiarazioni è tutto nebuloso.

Certo, dopo un decennio appresso a Schelling e l’armonia del mondo, avviene una separazione su tutta la linea, quindi A Valediction chiude su un periodo ed esprime lo stacco. Nuovo produttore (il celebre Fredrik Nordström per evitare i livelli di rifinitezza dei dischi passati), nuovo copertinista (Eliran Kantor, che usa la pittura a olio) e nuovi studi di registrazione (Fredman Studios in Svezia, ovviamente).

Non parliamo dell’ennesima line-up, con i ritorni di Thesseling e Münzner e un nuovo batterista, l’austriaco David Diepold (e i successivi rimpiazzi).

L’album estende il concetto di separazione definitiva, non solo al piano lavorativo, ma a tutti gli aspetti dell’esistenza, quindi parenti, amici – Steffen ne ha persi un paio di importanti, tra cui il bassista del suo progetto parallelo Thulchandra, Christian Kratzer.

Musicalmente nell’album c’è di tutto, e nonostante l’apparente complessità, A Valediction è sovente più diretto dei predecessori. Le canzoni sono state pensate per il live, i testi sono meno complicati da capire. Almeno nelle intenzioni, si vuole dare una bella scossa.

Per la verità A Valediction si rivela prolisso e in fin dei conti tra i lavori più faticosi da apprezzare, forse per l’eccessiva lunghezza.

IL PROBLEMA DEGLI OBSCURA

Per come sono percepiti dai più, sembra che gli Obscura abbiano un problema e che questo sia legato al carattere di Steffen Kummerer. Prova del suo presunto dispotismo e di una condotta non sempre leale, è il via vai di musicisti che hanno contribuito alla storia della band.

In oltre vent’anni di carriera la formazione è stata di fatto sostituita per tre quarti in quattro diverse occasioni: nel 2007, nel 2014, nel 2021 e nel 2025.

In tutti i casi, tranne per il primo, dove il confronto tra i nuovi innesti e i vecchi portò al salto qualitativo di Cosmogenesis, le successive rivoluzioni sono accompagnate da polemiche degli uscenti e faticose ripartenze degli Obscura, dati ripetutamente come morti prima dell’ennesimo album di rilancio.

Va detto che il licenziamento di Fountainhead (al secolo Tom Geldschläger) coinvolto nel disco Akroasis e la successiva gestione della cosa da parte di etichetta e di Steffen hanno fatto più “rumors” e suscitato più riserve e imbarazzi di tutti gli altri cambi di formazione messi assieme.

A quanto pare Steffen Kummerer lascia solitamente spazio agli altri per le composizioni e si concentra su un numero limitato dei brani, pensa lui a tutti testi, ai concept completi e alle copertine. Probabilmente ha l’ultima parola su tutto.

Forse però, specie in passato, il bisogno di essere a capo di un gruppo motivato e non di un manipolo di turnisti, lo ha portato in più di un’occasione a mandare messaggi contraddittori agli altri elementi coinvolti. Se no non si spiegherebbe come mai, la seconda volta che uscì dagli Obscura, Münzner abbia detto di esserci rimasto male a sentire Kummerer definirlo semplicemente “un turnista” e non un membro della band.

Io non penso che Zappa avesse questo genere di strascichi con i musicisti che stipendiava perché nel suo caso, tutti sapevano esattamente che tipo di rapporto di lavoro fosse a collaborare con lui, suonando le sue partiture e partecipando alle incisioni dei suoi dischi con il relativo tour e tutto il resto.

Anche la questione economica deve aver pesato non poco all’interno delle varie formazioni. Gli Obscura sono un gruppo technical death metal di un certo successo, tra i più ammirati d’Europa, ma in un mercato di settorializzazioni esasperate, le possibilità economiche raggiunte restano comunque modeste.

Inoltre la musica degli Obscura richiede tempo, energie e dedizione assoluta, cose molto complicate da garantire, se non si riceve uno stipendio soddisfacente. Se i musicisti avviavano altre collaborazioni o progetti solisti per arrotondare e questi impegni finiscono per contrastare con l’agenda degli Obscura, Kummerer non la prende mai sportivamente e li taglia fuori. Per tale motivo fu allontanato la prima volta Jeroen Thesseling.

La recente questione dell’uso di melodie e riff appartenenti agli ex membri e usati nonostante previ accordi che glielo vietavano, mostra come Steffen chieda più di quanto sia disposto a dare agli altri membri del gruppo e che non si tratti tanto della situazione in sé, ma del modo in cui lui decida di gestire spazi, ricavi e poteri decisionali in confronto agli altri, chiunque di loro, a generare queste situazioni del cazzo.

Per tirare avanti con gli Obscura avrà sempre bisogno di gente molto preparata e di gran classe tecnica (la cosa costa) a cui forse sarà ancora costretto a promettere cose che non è in grado di mantenere, firmando persino ancora dei contratti di garanzia che non riuscirà a rispettare lui per primo. Alla resa dei conti, non puoi essere “una band” se tu solo hai un potere decisionale superiore a quello di tutti gli altri messi assieme. Tanto vale che metti subito le cose in chiaro. Poi però bisogna vedere chi ti darà retta oltre i canonici 24 mesi di sopportazione.