Coffinworm – IV.I.VIII (Profound Lore) – I Carboidrati della merda

Il metal per me è il carboidrato della mia alimentazione nervosa, ok? Se rimango senza per troppi giorni divento irascibile e scontroso. Quando ne metto ne prendo in dosi eccessive mi si appanna la vista e ho solo voglia di dormire. I Coffinworm sono un misto ben amalgamato di death, sledge e black, che è come un piatto di pasta, pizza e patate. La mia mente lì per lì gode ma scivola sempre più in un torpore privo di immagini, spunti, stimoli. Il disco è buono, tutto sommato. Piacerà a chi ama i carboidrati, ma inizio a essere stufo di album così privi di ambizioni. Cosa ci propongono i Coffinworm? Morte, distruzione, nuvole soniche di smog, parossismi asmatici di pura disperazione e che mi prenda un colpo se c’è del vero coraggio in tutto questo.

Una copertina plumbea per un sound plumbeo per canzoni dalle strutture plumbee con tematiche plumbee cantate da una voce a dir poco plumbea. I tipi sono cazzuti ma si rifugiano in una coltre di estremismo stilizzato, brevettato e omogeneizzato in una produzione impermeabile a qualsiasi raggio di luce… ma non c’è un solo fischio, rutto o bestemmione satanico che non sia già stato ampiamente brevettato da qualcun altro. Troppo facile cavarsela così. Finisci l’album e non ti rimane impresso quasi niente, se non che alla seconda canzone, che si intitola Black Tears  c’è un momento in quattro quarti che ricorda i Bathory e più in là un jack fa contatto diverse volte e si sente ‘sto biiiiip che non centra assolutamente un cazzo ma va a tempo che è una bellezza con i ruggiti, le rullate, le rollate, le rallate e le ronbate giuggiose. Ci sono degli arpeggi sinistri annaffiati nel burbero ringhiare di chitarre downtuniche tipo tigri dopate allo zoo de Roma… anzi al bioparco de Roma.

Non pretendo che ogni disco metal sia un qualcosa di rivoluzionario e mai sentito prima, però deve emozionarmi almeno un po’, sorprendermi dico un paio di secondi in 38 e rutti e rotti minuti e soprattutto ho bisogno di nuove visioni con cui baloccare la mia mente suggestionabile… se no di che cazzo scrivo? Qual è il mio compito? Solo fare su e giù con la chepa e ogni tanto agitare il pugno sul cruscotto della mia macchina? Per tutto il disco dei Coffinworm vedo un lento corteo di esseri informi, che sembrano tanti uomini nudi di pongo grigio/verde i quali sfilano in un sentiero di tombe dimesse sotto una fitta pioggia che li squaglia piano piano. Non c’è altro, il mio cervello vaga in questa immagine desolata e degradata. Se è tutta qui l’utopia artistica di costoro ok ma io mi annoio e rimango perplesso. Tutto questo radikult smodato e senza qualsiasi conflitto interiore inizia davvero a rompere i coglioni. Chi l’ha detto che un disco death sledge black non mi debba far muovere il culo? Cosa siamo, larve che strisciano in attesa che qualcuno le calpesti? Siamo sul serio dei viscidi vermi della merda che mangiano sterco e defecano altro sterco? Mi sembra che queste band facciano album senza porsi alcuna domanda, senza avere una visione ma che seguano il diffuso teorema underground per l’underground, un guazzabuglio concettuale di sottogeneri spenti e arrivati al capolinea. Sembra di sentire un topo delle fogne che spiega ai vermi cosa sia il Paradiso. Chi dovrebbe osare più di un gruppo che si fa chiamare Coffinworm? Chi ha il diritto di far schifo più di loro? Ma facendo schifo si può avere il privilegio di toccare luoghi nuovi che altri, per la paura di far schifo, non hanno mai raggiunto. Oltre la barriera dello sterco potrebbe esserci un altro cielo per quanto ne sappiamo… ma i Coffinworm e tante altre banducole piccine picciò preferiscono sguazzare nella merda e morirci.

(Francesco Merda)