Supercharger – Broken Hearts And Fallaparts (2014)

I Supercharger sono 6, danesi, alla terza uscita ufficiale e fanno un rock and roll rivestito di metallo. Se provate a cercarli su google vi appariranno quasi solo link su quel cazzo di album dei Machine Head, ma entro un anno le cose cambieranno, perché questo nuovo album spacca e diffonderà il nome della band come un virus intestinale a gennaio. Tra di loro immancabile ce n’è uno con la barba. Sfogliando l’ultimo Rock Hard ho potuto constatare che nel susseguirsi di gruppetti, gruppotti e grupponi pubblicizzati, non manca mai il barbone. La cosa inizia a infastidirmi perché a distanza di anni si ripetono sempre le stesse dinamiche idiote. Uno mette la camicia di flanella di suo zio e dopo un paio d’anni tutti si fanno fotografare con le camicie di flanella. È la moda. Beh, la moda è una cosa idiota e vaffanculo. Anche nel mondo del metal ce ne sono di mode. Addirittura l’heavy metal stesso un tempo ormai lontano e da qualcuno persino rimpianto, fu una moda.

Insomma questi Supercharger sono un concentrato di energia contaminata di molte sozzerie deliziose. Abbiamo il punk rock, l’hair metal, il rock and roll tronfio e strafatto degli anni 70, scampoli di folk americano e qualche digressioncina moderna. C’è il piglio svaccato e irriverente del vest metal e la prevedibilità ammiccosa dei motlicru, la goliardia furba degli Offspring (Suzi The Uzi è un aborto tra Pretty Fly For A White Guy e un pezzo a caso di Bite Down Hard dei Britny Fox). Poi c’è la Detroit Rock City di Five Hours Of Nothing, tra Alice Cooper e Kiss e un omaggio ai Cult di Sonic Temple nella splendida Blood Red Lips.

Si respira un’aria muffa da america rurale, tra tautoatori alcolizzati che non riescono più a tener ferme le mani e spogliarelliste dal grilletto facile (in tutti i sensi); qualche ritornello giovinetto che mostra il culo alle classifiche (Get What You Deserve) e una ballata finale alla vecchio zio Joe con le bretelle sporche di tabacco da masticare e i Tesla che suonano per vostra sorella e il suo amichetto in Five Man Acoustical Jam. Se vogliamo fare un appunto, l’unico limite dell’album è la scrittura abbastanza prevedibile e aggrappata a percorsi armonici già noti e stravisitati, ma il lavoro produttivo dello svedese Tobias Lindell (Mustasch, Europe) e la virulenza incazzosa e davvero fuori dal comune di questi ragazzuoli mi spingono tranquillamente a dire che Broken Hearts And Fallaparts prenda a calci nelle gengive un qualsiasi disco dei Crashdiet.

(Emanuele Bianamea)