I Gatecreeper e il nuovo che indietreggia

Da qualche giorno scrivo di band nuove. Non sono recensioni, sia chiaro. Ne pesco alcune dal cestone dei voti più alti di Angry Metal Guy o di Metal Sucks e vedo se sono davvero delle cose meravigliose, come dicono quegli illuminati. Non dico se il disco è bello rispetto al precedente e se il gruppo è “sugli scudi” e “non lascia prigionieri”, capite? Voglio solo esaminare un campione qualità e vedere come stiamo messi, con l’orecchio di chi non passa tutto il giorno a sentire nuove leve del death metal o terzomondisti del black. Non vivo nelle miniere dello sludge metal e non mi faccio di power. Io vado dove mi porta il bisogno di trottare. Sono un cavallo e preferisco le praterie ai recinti e i box.

Ho analizzato i Vredehammer e poi… poi quelli, come si chiamano? Eh, già non me li ricordo più, gli altri. Ecco, forse il punto è già qui. Magari ho già detto tutto quello che volevo dire. Non mi ricordo, a distanza di pochi giorni dalla pubblicazione degli articoli che li riguardano, i dischi e le band di cui ho scritto e che ho ascoltato con molta attenzione, per un’intera mattinata.

Sono di quelli che sostengono di non buttarsi solo nel passato. C’è tanta roba meravigliosa da riscoprire, siamo d’accordo, ma ne esce di notevole anche oggi (vedi il nuovo Ulcerate), però io capisco chi non segue le band più giovani. Se si ritrovano davanti un disco dei Gatecreeper, mettiamo l’ultimo che sta girando nelle mie orecchie da quando mi sono svegliato e si intitola, Dark Superstition, il minimo che possano fare è sbadigliare e tornarsene agli oggetti smarriti del 1992. Hanno lo stesso suono dei Dismember, usano una riffistica stile Amon Amarth e parlano delle solite cose: morte, Chtulhu, violenza, morte e ancora morte.

Tranne l’ultimo brano, Tears Fall From The Sky, lentona e massiccia, melodica e disperata, il resto sembra un disco minore dei Dismember, uno di quelli che hanno realizzato tanto per timbrare il cartellino e dire, “ci siamo anche noi, eccoci!”. E invece è il titolo clou di una nuova carriera, capite? L’album della consacrazione. Ma de che?

Non vorrei fare i conti in tasca ai Gatecreeper, ma mi domando che ritorno economico abbiano. Secondo me è poca roba. Non riesco a immaginare migliaia di persone ai loro concerti, pile di CD e vinili che se ne vanno con l’acceleratore visivo. Non riesco. Più probabile che a malapena ce la facciano a sostenere il loro progetto.

Questo dipende anche dal mercato di oggi, con i suoi gravi problemi, ma pure da loro. Che senso ha comprare un gruppo che non aggiunge niente di personale, ruba la voce e i costumi di un grande vecchio e ci si sprofonda dentro, in una specie di rispetto per la tradizione che è solo mancanza di idee?

Trent’anni fa molti gruppi metal faticarono a rimanere a galla e dovettero sciogliersi. Prendete i Gorguts, secondo la Roadrunner furono un errore. Monte Conner ha detto ad Albert Mudrian che non avrebbero mai dovuto metterli sotto contratto perché il mercato era già in  saturazione e aggiungendo altra roba death a un’offerta troppo ripetitiva, contribuirono a uccidere il desiderio del pubblico per questo sotto-genere allora così eccitante e innovativo. Poi i Gorguts tornarono e ormai galleggiano come tutti gli altri, facendo la parte dei grandi padri, ma allora la verità era che, sul piano commerciale, quel gruppo era un errore. Si stava messi così, capite? Dovevi essere qualcosa di più dei Gorguts di Considered Death, per sopravvivere. Era un eccesso che uccise tante band di qualità, ma è una delle ragioni che oggi ci fanno dire quante cose fiche uscivano nel… e metteteci l’anno che vi pare dal 1979 al 1999.

Questi problemi di selezione commerciale non ci sono più ma, se da una parte un gruppo ha tutto il tempo che vuole per crescere, compiere errori e arrivare alla propria maturazione creativa, dall’altra ci sono centinaia di gruppi dozzinali con discografie sterminate, e non accennano a fermare la loro produzione mediocre. Questo perché pur non guadagnando abbastanza da farne un lavoro e pagare tutte le spese dei tour e delle registrazioni, questi buontemponi tirano avanti comunque. Altrimenti non si spiegherebbe la vistosa divergenza tra la discografia incessante e la scarsa affluenza del pubblico ai loro tour. Sì, ok, la gente spinge like e poi non compra/assiste/supporta, ma la ragione di questo comportamento non è solo che “la gente è una merda”.

Le nuove band dovrebbero piangere di meno ed essere più critiche verso se stesse. Porgersi domande tipo “Sto dicendo qualcosa di personale? Sto rischiando di scatenare un’apocalisse?” Se le risposte sono negative, allora fare dischi diventa come andare a giocare a calcetto, suonare con la banda del paese o iscriversi a un torneo di pesca.

Se prima l’acquisto di un disco decretava la sopravvivenza di un gruppo, e quindi un corrispettivo “reale” di interesse per l’esistenza di quel gruppo, oggi non c’è più nessuna verifica, per quanto discutibile come il mercato. Oggi chi esce con un disco non sa se è piaciuto, finché non si presenta davanti a un palco e non vede molta gente che là sotto canta le nuove canzoni. Ovviamente se questo avviene (e non capita quasi mai) non è dato saperlo attraverso le vendite. Si tratta di un salto nel buio per gruppi come i Trivium e gli In Flames, non solo per band minori e assolutamente irrilevanti come i Gatecreeper.

Irrilevanti e contente di esserlo. Sembrano come quelle webzines e quei blog (la maggioranza, inclusi noi) che pur non guadagnando un cazzo, continuano a produrre contenuti come se ce ne fosse una effettiva richiesta. Questo cosa porta? Una valanga di band inutili che annacquano l’offerta e rendono difficile l’emergere di quei quattro o cinque nomi davvero interessanti. E qui si avverte l’incapacità delle etichette di fare il proprio lavoro. Non solo filtrare e testimoniare una scelta di qualità, ma sostenerla e imporla all’attenzione del pubblico rispetto al gruppo di Giggetto e i suoi pari sotto casa. Che un gruppo esca con la Nuclear Blast o con la Rise Above, è sempre meno evidente, non vi pare?

Tanto vale buttarsi sul passato, direte voi. Almeno lì c’è musica di qualità, roba che data l’abbondanza dei periodi storici, al tempo non emerse e che oggi è una manna. Un disco dei The God Machine, che negli anni 90 non ottenne grandi consensi di pubblico, ora ha tempo e modo di farsi apprezzare in tutta la sua grandezza. E giganteggia in mezzo alla marmaglia di Gatecreeper e Vedrehammer, che il pubblico evidentemente trova pallosissimi.