Ed eccoci agli Ulcerate, eccellenza del moderno death metal. Settimo album e non sentirli nominare fino a oggi. Eppure sono stato attento o almeno credevo di esserlo. Ho seguito la scena per diversi anni e puf, ora mi ritrovo questi giganti dell’estremo, con una nutrita discografia alle spalle, rappresentata sulle webzines come un’ascesa evolutiva encomiabile di voti altissimi, assolutamente senza pari; almeno secondo i recensori entusiasti. Sono tutti d’accordo, eh? Quindi è dura esprimere giudizi opposti, si rischia di fare la figura degli ignoranti e degli incompetenti. Ma come, non senti la verace possenza di questi nuovi dei della morte? Ehm, no…Anche adesso che è uscito Cutting The Throat Of God, ci sono ragazzi che battono furiosi sulla tastiera le proprie apocalittiche visioni, guidati dal sound polverizzante degli Ulcerate. La più frequente visione associata alla loro musica è un deserto nucleare in cui quel che resta dell’uomo racconta la tragicità e l’idiozia di questa specie assurda. Monito divino (ma Dio è morto sgozzato) per la futura razza di insettoni antropomorfi che prenderanno possesso della cloaca terrestre nei futuri abissi della storia e si domanderanno, chi cazzo era l’uomo?
C’è una specie di compiacimento, tra gli scrittori heavy, nel descrivere i paesaggi nucleari. Per un critico di settore, la cosa più fica da dire è che un gruppo sembra simularne la potenza, la devastazione, il disastro. C’è una fascinazione per Hiroshima e Nagasaki, anche se chi si esalta davanti a simili paesaggi immaginati grazie al sound estremo di un gruppo, pensa più a robe innocue come Mad Max e Ken Shiro, anziché al più tremendo crimine, in ordine cronologico, compiuto dalla specie umana ai danni di se stessa.
Immaginate che un recensore, descriva Reign In Blood usando un campo di concentramento come equivalente visivo della violenza e la crudeltà di quel suono, descrivendo il disco come un sublime scenario di tristezza e di brutalità degna di Treblinka. Scatterebbero le manette. Ma parlare dell’atomica e paragonare il suono di una band death metal particolarmente forsennata, alla purga nucleare subita dai popoli giapponesi, quello va più che bene. Tanto pensate a Ken, mica a Oppenheimer e al presidente Truman.
Paradossi della cultura di cui faccio parte.
In ogni caso, il nuovo degli Ulcerate a me annoia. Sparatemi, ma non ci trovo davvero niente di speciale. Mi rendo conto che, valutandolo nell’ambito del genere, sia un ottimo album, un cicinino originale rispetto alle cose più recenti, ma secondo me i grandi album, se davvero lo sono, dovrebbero travalicare i confini logici dei generi e, anzi, farli saltare.
Il death di oggi è come un filtro del cesso che non si cambia dal 1992, ed è talmente intasato che i suoi vicendevoli esponenti, come idraulici ottusi e ossequiosi dell’intaso, anziché provare a liberare il filtro, ci spingono dentro la loro cacca perché è sempre stato così e sempre deve essere, godendosi un momento di encomio collettivo dal popolo dei coleotteri fecali, appena questi idraulici di ultima generazione dimostrino che sì, spingendo e imprecando, ancora qualcosa nel filtro ci entra eccome. Non è finita, ecco a voi gli Ulcerate!
Il death dei vecchi tempi (perdonatemi, sono un nostalgico che ha vissuto quegli anni) era meno incasinato e soprattutto più intelligente rispetto a quello di oggi. Oggi al più è cervellotico, al meno è burino e un po’ scemo; oscilla tra queste due estremità.
Il vecchio death era un gran casino. Lo stavano forgiando i ragazzi semplici degli Obituary, i piccoli teppistelli degli Entombed, i satanassi inquietanti dei Morbid Angel e gli intellettuali come Atheist e Pestilence. Sì, anche Chuck, anche Chuck…
Ma nonostante fosse roba molto pesante, già ai limiti della saturazione otallica, c’era un punto delle canzoni in cui arrivava la parte veramente fica, quella che faceva rifiatare e che aiutava l’intero pubblico a condividere e trovarsi, in quella bolgia di riff e di rutti. Di solito era nel mezzo o verso la fine e consisteva in uno stupido riffone thrash rallentato due tonalità più sotto, che offriva a tutti quanti, lo sfogo orgasmico dello scapoccio assoluto, cosa che il resto del death, sempre a mille, con tutti quei giri e rigiri intricati e incomprensibili, finiva per estraniare e annoiare un uditore su due. Era come un gran polverone, ma la gente sapeva dove si sarebbe ritrovata alla fine. “Ci vediamo tra un po’ sotto la torre dell’orologio”, vale a dire dove c’è il riff grosso e pesante che fa giun giun giu giu giun e via felici come fanciulli del demonio con i capelli sforforanti.
Oggi nel death sono quasi tutti pelati e davanti agli Ulcerate si ritrovano come in mezzo a una tormenta di sabbia nel deserto, altro che torre dell’orologio. Non fai che vagare e vagare, mangiare polvere, sputarne e ingurgitarne ancora a occhi chiusi, senza sapere dove cazzo tu sia finito. Se li ascolto io, dopo il primo e il secondo pezzo, tutto diventa un gigantesco, roboante amplesso di rullatone, filler scatenati di tom e borbottii gutturali assolutamente mediocri che salgono in goppa a degli arpeggi disarmonici ed erratici, che riecheggiano certe vecchie sonorità anni 80 new wave, già riprese dai Tiamat e oggi super-abusate dalla comunità post metallara.
Sempre tornando al vecchio death metal, era anche intelligente perché aveva capito una cosa fondamentale. La rabbia e la violenza, senza la melodia diventavano un piattume tritacoglioni. Ecco perché i Carcass univano le solenni nenie degli Iron Maiden alle crudissime e maceranti ritmiche del grind. I Morbid Angel farcivano il cingolato macina ossa di melodie folli e dementi, interpretando la sintesi assoluta dell’apocalisse secondo Lovecraft; ovvero quando biechi e disgustosi rituali sprigionano canti musicalmente impossibili come benvenuto allo zio Chtulhu.
Gli Ulcerate provano anche a usare la melodia, ma non è granché. Non si tratta di qualcosa che potresti fischiettare, è più un barbaglio circolare arpeggiato che i pattern bonbardosi di Marat trascinano in una corrente di mota, risucchiandoli nel gorgo vocale di Paul Kelland. Non c’è speranza, la vita fa schifo, dio è morto, quindi giù a brutallare. Ma che due palle!
Rispetto gli Ulcerate, ma mi aspettavo di essere avvinto e scombussolato come al tempo in cui mi presentarono Nile e Behemoth quali novità capaci di infondere nuove direzioni al death metal e aprire nuove prospettive mentali anche in ambito estremo. Non mi sembra di aver vissuto una simile esperienza di esaltazione e terrore con Cutting The Throat Of God. Ripeto, per me è solo una gran noia. Tirassero fuori le palle e ci cantassero una bella melodia da buttar giù i muri del sonno, cazzo!

