L’Angoscia e il genio horror di Bigas Luna

L’Angoscia di Bigas Luna è uno dei migliori horror europei degli anni 80, anche se è girato negli Stati Uniti e almeno da noi in Italia, è giunto in homevideo non prima del 1990. Film che meriterebbe molta considerazione e che il pubblico di appassionati conosce poco. Stanno per farne un remake ma nella migliore delle ipotesi, anche riuscito, non condurrà il pubblico a ritroso verso l’originale, che per me è sempre e comunque imbattibile.

Bigas Luna è famoso per i suoi film erotici un po’ troll e fastidiosi. Prosciutto prosciutto, Uova d’oro e il detestatissimo Bambola, che per me non è semplicemente un brutto film, ma è un film che fa ridere e incazzare, inorridire e riflettere e magari ne riparleremo. Questi film spinti avevano il pregio di essere tutti disturbanti perché ponevano davanti allo spettatore la più terribile delle verità inaccettabili. L’istinto vince sulle convenzioni sociali, sulle promesse d’amore eterno e sulle scelte morali. Punto. Ed è sconvolgente per l’uomo moderno, constatare quanto i meccanismi della natura siano potenti e talvolta inarrestabili, se non a carissimo prezzo.

Pensare che Luna, eterno provocatore e tra i più sottovalutati autori spagnoli (io lo adoro) giocò a mettere in crisi anche il pubblico tifoso degli horror e ci riuscì, beccandosi pure lì, l’accusa di reazionario. Eh sì, perché L’Angoscia, partendo da uno spunto a metà tra La rosa purpurea del Cairo di Woody Allen e Demoni di Lamberto Bava, sembra dar ragione a tutti quei moralisti della domenica (del Corriere) che negli anni 80, cominciarono a puntare il dito contro il cinema violento in quanto altamente pericoloso perché in grado di traviare l’innocenza dei bambini e di influenzare i pazzoidi in giro, ispirarne le gesta sanguinarie e bla bla bla. Un po’ come il metal, esatto.

Quando si entrava a casa di un serial killer o di uno stragista, subito i giornalisti correvano a guardare che libri, VHS o dischi ci fossero sugli scaffali. Gli psicologi in mala fede sfruttavano la situazione e quelli in buona fede si facevano sfruttare. Luna con L’Angoscia non mostra che le cose non stiano così e che la colpa sia della società, e non dell’horror.

A imbastire simili lezioncine ci hanno pensato Stephen King, Wes Craven e molti altri esponenti del genere stesso. Il regista spagnolo invece mette in pratica la fantasia che c’è dietro quest’accusa da benpensanti qualunquisti sempre pronti a scaricare sulla cultura di consumo, le proprie colpe di genitori, amanti, figli e via così.

Bigas Luna crea quindi un film nel film, che si intitola The Mammy e che apparentemente è un horror becero su una mamma megera e un figlio psicopatico. Per la verità non è un filmaccio qualsiasi, ma come si allerta nei titoli di testa, si tratta di un lavoro sperimentale in cui sono inserite nella messa in scena, delle vere e proprie pratiche d’ipnosi capaci di avere una tangibile influenza sul pubblico.

Ovviamente si parla non della vera ipnosi, che produce una dimensione leggermente fuori fuoco nel paziente che la subisce da un vero professionista in grado di praticarla, ma quella specie di passività zombesca spacciata per vera dal mondo dello spettacolo e su cui il cinema se la ride da decenni, senza spiegare poi al pubblico che l’ipnosi reale è “nantra cosa”.

Va beh, “La mamma”, interpretata dalla piccola medium di Poltergeist, Zelda Rubinstein, istiga il figlio diabetico, imbranato e border (il bravissimo attore bamboccione e paffuto Michael Lerner) a vendicarsi di chi ha causato il suo licenziamento per via della sua progressiva cecità dovuta appunto al diabete. Lo fa praticandogli l’ipnosi. L’uomo va a casa della cliente che si è lamentata con il primario dell’ospedale in cui lui lavorava come infermiere e le cava gli occhi (citazione Bunuel, sì) e poi prosegue la sua mattanza sul marito di lei e via tagliando e sbulbando.

A un certo punto, dopo venti minuti buoni, Luna ci rivela che che The Mammy è solo un film nel “vero” film e che siamo in un cinema dove è proiettato. In platea, diverse persone lo stanno guardando, mangiando pop-corn e sbadigliando. Tra di loro ci sono due giovani amiche. Delle due ragazze, molto carine e degne di uno slasher con Freddy Kreuger, ce n’è una che segue avidamente il film, esaltandosi per le scene più truci; mentre l’altra, molto sensibile, si ritrova presto a subire una sorta di sofferto attacco di panico scaturito dalla pratica ipnotica che la mamma pazza rivolge al figlio e che il film infligge al pubblico, passando l’immagine a spirale che lui fissa, in una soggettiva che gli spettatori stessi sono costretti a guardare, mentre la voce della mamma, piano piano influisce su qualcuno di loro.

Insieme alla poveretta, c’è un altra persona che subisce la medesima ipnosi: qualcuno che inizia a sparare all’impazzata ai presenti.

Mentre nel film che” i protagonisti del film vero” stanno guardando, il giovane bamboccione ipnotizzato, entra in un cinema e ammazza uno per uno gli spettatori che vi trova, cavando loro gli occhi, nel cinema “vero”, lo psicopatico mass-murder fa fuori i presenti secondo il moderno stile retributivo-narcisista della moderna America e mormorando “mamma, dove sei?”.

Il gioco delle scatole cinesi però non finisce qui, ma non vi dico altro.

Sappiate solo che la peggiore fantasia delle mamme in fissa col parental control prende forma: gli horror spingono la gente a uccidere altra gente, praticando spudoratamente quell’ipnosi assurda che, secondo gli esperti psicologi, i film più spinti potevano subliminalmente esercitare su spettatori particolarmente fragili e sensibili, trasformandoli in macchine da guerra o in mine vaganti. In questo caso, usare in modo così grottesco e surreale la pratica ipnotica è una strizzata d’occhio agli appassionati più intelligenti e una pacca sulla spalla ai retrivi moralisti in cerca di streghe da cacciare nel buio di una sala.

L’Angoscia è un film molto intelligente e seduce anche a distanza di oltre 30 anni, offrendo inoltre parecchi spunti di riflessione sul discorso meta-filmico e sulla ricca stratificazione tra ciò che è percepito e ciò che è reale. Vale la pena riscoprirlo, se non lo conoscete.  Altrimenti bella per voi e per me.