Sì, esatto, il riferimento del titolo di questo pezzo è al bruttissimo e penoso film di Alberto Sordi, Nestore ultima corsa e non perché l’album Teenage Rebel, sia come il film dell’attore e regista romano, anzi. Se vi piace l’AOR anni 80, sarà probabilmente un gran disco per voi. Nel mio caso resto un po’ freddo davanti a delle operazioni così intrise di nostalgia. Riconosco la bravura dei Nestor, la capacità di ricreare in modo davvero prodigioso uno spaccato temporale e tirarci dentro tutto quanto, come un risucchio dimensionale che vi cattura e precipita indietro nel tempo sul sedile della Delorean volante in compagnia di Michael J. Fox. Eh, bei tempi, anche se c’erano dittature, stragi di piazza, attentati, serial killer, politici ultra-corrotti e la TV mandava in pappa le menti delle nuove generazioni, però erano bei tempi, vero Stefano Quaranta? Doc McFly nell’85 però scorrazzava negli anni 50 (perché negli anni 80 era quella l’età dell’oro) mentre oggi in un ipotetico remake, tornerebbe indietro negli anni 80, a salvare il padre imbranato. E la musica dei Nestor sarebbe perfetta per accompagnare il tutto.
Ascoltando Teenage Rebel, personalmente non mi è scattato nulla. Ho riconosciuto certi pattern che negli anni 80 erano già abusati. Un disco così, nel 1989, se fosse uscito in quel tempo, non credo che avrebbe avuto la capacità di imporsi su un mercato che probabilmente era già al collasso per certi suoni. Per dire, a fine 80 Jeff Paris non vendeva milioni di copie e nemmeno gli Autograph. ma loro e centinaia di altre band realizzavano queste canzoni molto orecchiabili, con gli assoli virtuosistici e le voci robuste da adulti orientanti, con tematiche non da palestra o da party, ma più romantiche o concrete. Non devo spiegarvi io di cosa stiamo parlando. Se leggete questo pezzo, se vi trovate su questo blog, sapete già tutto della musica a cui fanno riferimento i Nestor.
Ci ho trovato delle citazioni spudorate: Tubural Bells nel brano d’apertura We Came Alive; Last To Know è la solita mistura tra Every Breath You Take e Hysteria; 21 nel ritornello è Miles Away dei Winger accelerata; Unchain My Heart è Youth Gone Wild degli Skid Row e via così. In ogni pezzo potete trovare il riff o la melodia che avete già sentito e non ricordate dove. Probabilmente in un sacco di canzoni, perché si tratta di modi melodici stabili su cui ancora si guadagnano milioni facendoli cantare a Lady Gaga o Dua Lipa o Pink o Gwen Stefani.
Ma non è tutto qui, sia chiaro. I Nestor, che sono attivi proprio dal 1989, svedesi come gli Eclipse (che invece mi fanno impazzire) e che solo nel 2022 sono riusciti, almeno questa è la storia che ci hanno venduto, a incidere il primo album ufficiale, loro sanno infilare qualche buona melodia e arrangiarla da paura.
Victorious per esempio è decisamente coinvolgente e riescono a mettermelo al culo con una ballad tipicamente anni 80, ma dalla tematica un po’ meno scontata del solito. Anziché parlare di una donna che non ricambia, che se ne è andata, che si è risposata e che di notte sogna ancora chi canta (e lui lo sa), il brano Daughter parla appunto di una figlia e il vocalist Tobias Gustavsson le dice ciò che anche io, come padre, in più di un’occasione ho sentito il desiderio di dire alla mia bambina. E il finale è credibile.
Ora vi spiego meglio.
Un papà guarda la propria bimba e, anche se lei è cresciuta, è abbastanza grande da affrontare il mondo da sola, lui continua ad avere davanti il faccino di un tempo, a sentire quella straziante tenerezza per lei, a riconoscere nelle espressioni e nel portamento, la geniale ingenuità e la vulnerabilità irresistibili che un genitore avverte quando vede il proprio figlio attraversare da solo, anche un metro di strada.
Sembra di vedere negli occhi di nostra figlia la paura e il dolore della solitudine. Sono così fragili e sguarniti contro le avversità del mondo, ma è una proiezione del genitore. E così Tobias, quando le ripete col suo impeccabile vocione calante, nell’ennesimo ritornello spremi agrumi negli occhi di chi ascolta e sa, le dice che lui sarà al suo fianco e che vorrebbe lei si vedesse come lui la vede, per non sentirsi mai perduta e in crisi eccetera eccetera, ecco che il brano sfuma ed emerge una voce femminile che ridacchia e dice: “che imbarazzo, papà. That’s cringe, dad! Ma guarda che io so quanto valgo, stai pure tranquillo!”
Questo siparietto è molto significativo per me e racconta bene la divergenza tra ciò che noi adulti vediamo nei nostri figli, come li vediamo male, nonostante gli anni che passano, e la loro considerazione di se stessi, per fortuna molto meno disastrosa, rispetto a quello che un papà, con tutte le sue incertezze di genitore, riversa sugli occhi luminosi e fiduciosi di un figlio. “Non sai cosa ti aspetta” pensa il padre. “Ma va là” dice l’altro. Scansati e fammi vivere la mia vita. E i Nestor, nonostante gli anni, si fanno la propria corsa indietro nel tempo e così distanti da un presente fatto di figli indipendenti e genitori imbolsiti e ancora aggrappati a vecchi sogni losangelini.