Quando si parla di metal italiano, si tende a generalizzare in negativo: testi scemi e derivativi, Inglese da scuola elementare, produzioni mediocri, chitarre mosce, estetica da balera, attitudine permalosissima e pelosissima, mancanza di vere origini. Se però parliamo degli Asgard e il loro album Imago Mundi, niente di tutto questo è vero. Certo, non è una band puramente metal, Sono progressive rock, richiamano i Genesis con Gabriel, gli Yes, i Kansas e i Rush, hanno un tocco delicato, anche nelle parti più pesanti, cosa che mi ricorda certo prog rock nostrano, soprattutto il Banco e i Goblin del Bagarozzo Mark. I testi sono di qualità; il concept è molto audace e ricollegabile sempre alla scuola progressiva italiana. La bravura dei musicisti è indiscutibile. La personalità dei frontman di allora, Francesco Grosso, anche. Il lavoro tastieristico di Albert Ambrosi non tende a invadere gli altri campi. Si avverte che è totale, strutturale, padrone, ma non compromette mai l’equilibrio con le chitarre.
Certo, potrete dire che gli Asgard non sono davvero heavy metal e avete ragione; Imago Mundi però risente un po’ dell’influenza dei Dream Theater. Basti prendere il brano d’apertura Transmigration (On a Blow of Immense) per accorgersene. Poi non ci vuole molto a trovare il metal: ascoltatevi Disharmony – Land Of Chasms e ditemi se non ci siamo con tutte e due le scarpe.
Il vero errore che l’Italia ha commesso fin dall’inizio con il metal di casa, è stato poggiare le fondamenta sulla New Wave Of British Heavy Metal, anziché ripartire dalla musica cantautoriale italiana per i contenuti e dalle strutture complesse e potenti di gente come New Trolls e PFM, creando un ponte con Maiden e Saxon. Gli Asgard hanno fatto proprio questo. I testi sono in Inglese, realizzati in modo eccellente, ma avrebbero potuto reggere pure in Italiano, proprio perché la metrica generale, si si sarebbe adattata alla grande su una base prog. C’è una lunga scuola che ce l’ha insegnato da decenni.
Questo è il motivo per cui, nell’insieme non ho trovato un solo elemento imbarazzante nel disco Imago Mundi. Non c’è quella sensazione sfigata che attanaglia molti dei nostri gruppi storici. Quella degli Asgard, e di altre band prog metal uscite fuori nei primi anni 90, era ed è sempre stata la sola via da percorrere seriamente. Non a caso, furono proprio i Rhapsody, che nel progressive sinfonico dei Trolls e di certi Goblin fecero subito leva, a raggiungere il successo internazionale ed essere considerati di livello.
Come mai scopro gli Asgard dopo più di trentacinque anni dalla loro nascita, questo credo dipenda da molti fattori. Su tutti un mercato che non ha mai teso una mano a gruppi come questo; e soprattutto la mia diffidenza. Quando ne parlò benissimo Gianni Della Cioppa, pensai: band italiana + Della Cioppa entusiasta = lascia perdere. Non so perché, mi veniva di reagire così. Nel 1993 cercavo la violenza, la figosità, il dannatismo, e non c’era niente di più lontano da queste forme immaginifiche di metal negli Asgard.
Due cose mi hanno fatto invaghire di Imago Mundi, dopo molti anni. La prima è la sfacciata voglia di attingere al lavoro di Bill Conti. Basti sentire Courage – Land Of Dark Wood. La seconda è la capacità di gestire un ingrediente che nel prog rock e soprattutto nel metal è completamente assente: la dolcezza, disseminata in tutte e tredici le tracce. Non parlo di leziosità e ruffianeria AOR, il sentimento infuso dagli Asgard nella propria musica è come il respiro lieve di un innamorato sul collo del proprio amante addormentato.
Peccato si chiamassero come decine di altre band. Pure questo non credo gli abbia fatto bene in termini di successo. Ma vanno recuperati.
So che la data di pubblicazione di Imago Mundi è il 1993, ma le riviste recensirono l’album nei primi mesi del 1994, quindi per me siamo ancora nell’ambito del trentennale. Abubah!