Absu – The Texas Black Metal Massacre

Chi li ama ci tiene a specificare che erano l’eccezione e non la regola, a quei tempi. Nella scena black metal americana, loro sì che sapevano competere con le band europee, ma erano gli unici o quasi a riuscirci, da quelle parti. E non è che la situazione sia tanto migliorata nel corso degli anni. Gli Absu restano un nome di riferimento per gli appassionati più durelli e uno di quei gruppi che non si discutono tra gente che tendenzialmente non ama discutere. Hanno sviluppato nel tempo una formula molto personale, assemblando death metal tradizionale con il black, il thrash e il progressive atmosferico.

Una cosa tra Kreator/Slayer, Morbid Angel e Soft Machine, almeno secondo le ambizioni del suo leader e unico superstite, Proscriptor. Il loro primo album, Barahtrum: V.I.T.R.I.O.L. io non l’avevo mai sentito fino a oggi. Ci sono arrivato dopo più di trent’anni dall’uscita e non posso pretendere di calarmici dentro come avrebbe fatto un adolescente del 1993; ammaliato dai rigurgiti del profondo underground di allora in combutta con la sua renella ormonale.

Certo, mi accorgo che, nonostante sia passato tanto tempo, il disco mantiene le sue verminose vibrazioni, soprattutto nelle tracce meno dirette e “in cerca di qualcos’altro”, come An Involution Of Thorns, dove il vocalist (non so quale dei due) alterna urla bercianti in classico stile black a linee melodiche più lagnose in una perfetta imitazione di “King Diamond quando è molto preoccupato e frustrato e nessuno lo sta davvero a sentire”. Pure la chiusa An Evolution of Horns è una roba a metà tra canzone e “segmento strum per gonfiare la durata dell’album”. Epperò attenti, le due tracce fanno cornice ma si reggono in piedi da sole. E Proscriptor invece di inveire, dopo un po’ passa a invocare qualcuno dal basso del tempo.

Ho il sospetto che sia soprattutto qui che ha potuto sfogare le proprie ambizioni, tanto per cominciare. Quando si unì agli altri Absu, il gruppo era votato al death buro e duro, quindi immagino che lui abbia cercato di tendere il più possibile la maglia stilistica, aggiungendo elementi estranei al genere (voce femminile, tastiere) e inserendo dove possibile, delle componenti più di ricerca, di attesa. Non solo brutallame gozzoviglione fatto di blast-beat e gongolanti urla dalla malvagia terra degli gnomi, per capirci.

Infinite and Profane Thrones comincia con una specie di loop alla Hellraiser, sfocia in un’accelerazione sinfonica che anticipa un po’ gli Imperial Triumphant e dopo va a fondo con una sfraganata alla Autopsy + tastiere, quindi tirate veloci e rallentamenti a bordo del precipizio dell’inferno.

La cosa che mi è più rimasta impressa nel corso degli anni, a proposito degli Absu, è quella fotografia, poi divenuta per certi motivi anche la copertina nell’edizione Osmose, con Proscriptor McGovern pittato in stile Teatro No + camicia shakespeariana con la posa aperta tipo i bulgari di Aldo, Giovanni e Giacomo; c’è pure una versione con la scritta rossa e sbudellata del monicker, che pare un’esplosione di schizzi e tagli dal suo stesso ventre, cause sacrificio impellente.

Mi ricorda Jaz Coleman dei Killing Joke. Pure illo, per un certo periodo andò in giro con un look simile, ma credo l’abbia fatto negli anni 2000. Anche il serial killer di Poughkeepsie Tapes era un po’ come Proscriptor in quella foto/Cover. Quel travestimento scenico era davvero potente, in grado di dare alla parola Absu una relazione mentale precisa, inconfondibile, una inseparabile istantanea tra musica e quel volto da mimo-sacerdote psicopanico.

Fuzz se ne invaghì al punto, che nel 1995, per uno speciale un po’ pretestuoso sul death metal, utilizzò l’immagine del leader degli Absu, estrapolandolo dalla foto di gruppo, per la copertina e l’immagine del servizio/inchiesta di Metal Shock che oggi fa un po’ tenerezza.