King’s X – Intelligenti, spirituali, incazzati da morire!

Ho sempre sentito parlar molto bene dei King’s X. Così bene che mi sono guardato dal sentirli per molti anni. C’era qualcosa nelle osservazioni invitanti che leggevo sulle riviste, che mi spingeva a diffidare. Non so spiegarlo. C’è un che di attraente o di respingente in una band, al di là di quello che ci dicono di essa. A vederli in foto non mi scattava niente. Intanto erano un trio e da adolescente preferivo quartetti o quintetti: Metallica o Maiden. Se erano sestetti mi parevano troppi e scartavo anche quelli. Non sono cresciuto con i Motorhead o i Rush. Li ho recuperati dopo i vent’anni. Inoltre, l’aspetto del cantante, mezzo moicano e mezzo nero, non mi seduceva. Io a quindici anni ero conquistato da altri colori e fattezze. Avevo tutti i Ghostbusters tranne quello che pensate voi. Però amavo Eddie Murphy, quindi credo non sia per la pelle. Insomma, con i King’s X non si tratta di razzismo o di pregiudizi. Ora che sento i loro vecchi dischi posso dirvi che sì, capisco il gran bene che si diceva di loro negli anni 90, erano grandiosi, cazzo. Ma! Ma so per certo che al me pischello non sarebbero piaciuti perché erano troppo sofisticati e vari per i miei gusti di allora. Quindi avevo ragione a non spendere soldi per dischi come Gretchen Goes to Nebraska. Si diceva che erano spirituali, addirittura christian metal. definizione da cui saggiamente gli stessi King’s X presero le distanze con decisione. E poi non so, si diceva che erano il “metal intelligente, si parlava di melodie raffinatamente beatlesiane… oh cazzo, ma cosa volete che gliene fregasse a un teen-ager del 1991, di musica intelligente? Io volevo il male, la violenza, la ciccia purulenta, Satana e le motociclette…

Oggi mi godo i King’s X e rileggendo le cronache a cavallo tra l’uscita dell’omonimo e Dogman, me la rido sulle ambizioni della Atlantic di farli diventare un gruppo di successo. Non ce la fecero e non ce l’avrebbero mai fatta. La loro era davvero una proposta troppo ricercata, in anticipo sulle tendenze nate con Seattle, di cui furono nominati tra i precursori da Pearl Jam e Alice In Chains, e assolutamente non in linea con il metallo glam e ruffiano della decade precedente. Insomma, di caso Rush ne capita uno ogni secolo e il mistero ancora non si è riusciti a svelarlo.

Praticamente i Rush arrivarono a vendere milioni di copie senza scandali, puntando sulla complessità, fregandosene di ogni legge commerciale vigente. Non erano belli. Avevano un nome così, così… ma sono e saranno sempre i Rush, cazzo.

E i King’s X non sarebbero da meno dei Rush. Nei loro album c’è musica prelibata, coinvolgente, che spazia ovunque in cerca di buone melodie. Sanno suonare, non sono mai stati appariscenti e non hanno mai combinato casini. Il solo momento movimentato della loro carriera fu proprio a ridosso di Dogman, quando decisero di separarsi, in modo non proprio sereno, dall’uomo che li aveva portati fino al contratto con la Atlantic; colui che gli aveva fatto cambiare il nome Sam Taylor; il primo disco lo fecero chiamandosi Sneak Preview.

Dogman è pesante, cupo, molto più concreto e ruvido delle uscite precedenti e probabilmente l’album che mi piace di più della fase classica. Siamo nel 1994 e la tendenza generale è questa per tutti, sia chiaro. Tutti i gruppi ridanciani avevano abbondato di tetraggini e cruente invettive i nuovi dischi di metà anni 90. Persino i Kiss tentarono di fare “i tristi” senza riuscirci troppo.

I King’s X entrarono in studio con uno che avrebbe cambiato le regole per il rock e il metal tra gli anni 90 e gli anni 2000: Brendan O’Brien. Con lui l’album non diventò semplicemente più d’impatto e fedele all’approccio live del trio. Mostrò una caratura più spessa, più pesa e plumbea, anche nei momenti meno incarogniti (Sunshine Rain)

Il mio brano preferito è Fool You. Quando l’ho sentita per la prima volta mi si è fermata la macchina e ho atteso che finisse il ritornello prima di provare a farla ripartire. Non ce l’ho fatta. C’era un problema di semiasse, cinghia di distribuzione e batteria insieme. Ho speso seicento euro. Ora quel brano mi parla anche dei miei problemi economici, ma lo adoro ugualmente.

I King’s X fecero un altro grande album con Dogman. Si tratta di un lavoro meraviglioso. Erano così bravi che mi risultavano proprio noiosi da ragazzino. Ah, i eccoli qui che escono con un altro disco, e si prendono ancora il massimo. Ma che due palle!

Dogman ha lo stesso tiro cupo e serrato di Pull dei Winger ma al contrario di quello, la Atlantic provò a spingere l’album davvero, almeno all’inizio. Dato che non presentò singoli di successo e le vendite non schizzarono in alto da subito, a poco a poco la major smise di scommetterci e il disco si appoggiò su numeri di vendita considerevoli, ma non da far sorridere un colosso come l’etichettona che ci aveva investito.

Peccato, ma non ci voleva molto a capire che i King’s X erano già in fase calante in termini di popolarità e che non sarebbero mai diventati né i Bon Jovi e né i Soundgarden e assolutamente no, i Rush. Negli anni successivi, continuarono a fare grandi album, ma come diciamo spesso qui a Sdangher, non bastano i dischi sublimi a vendere milioni di copie.