“I RPLA sono famosissimi, peccato che non li conosce nessuno!” Così iniziava la recensione del Fuzz Pascoletti su un Metal Shock di inizio ’94. Scriveva del disco d’esordio di un gruppo mai sentito, certo, ma con una storia davvero molto interessante. Il loro nome probabilmente era un acronimo e stava per Red Patent Leather Angel, ma qualcuno si affrettò a smentirlo.
La faccenda intorno a questa nuova, eccitante e sconosciutissima band inglese cominciava prima ancora di iniziare davvero. Copertina di Kerrang nel 1991: questi cinque mister nessuno con il look glamster metal, cuoio e rossetto, un tocco di vampirismo, fissavano l’obiettivo con l’espressione navigata delle grandi rockstar. Non lo erano mica, ma chi ci si sente già di natura non ha bisogno di diventarlo, ok?
E loro si sentivano dei big o almeno erano molto bravi a farlo credere al mondo, sprigionando un’attitudine smargiassa e disincantata.
La rivista titolava: RPLA The Excting New Face Of British Rock! (Would We Lie To You?) e l’attenzione del mondo dell’hard rock, per un microsecondo, fu tutta per loro. Il portavoce del gruppo, tale Ian Atsb, lo diceva chiaramente: erano un giocattolo in mano alla EMI e non sapevano nulla su ciò che ne sarebbe stato di loro.
Nel dichiarare ciò al giornalista di Kerrang, non esprimeva né curiosità, né frustrazione. Era così e basta. E andava bene. A riprova di tutto c’era un dato chiaro: al tempo della cover su Kerrang, il gruppo non aveva niente da promuovere, neanche un singolo. Non c’era niente, capite? Niente.
E stavano sulla copertina di una delle riviste metal più rispettate d’Europa. Che altro avrebbero potuto combinare dopo un inizio così? Praticamente avevano cominciato al contrario.
Senza neanche fare un concerto, il gruppo aveva solo scritto dei pezzi, inciso un demo spedito alla grossa etichetta. Qualcuno della EMI se ne era innamorato e aveva deciso di puntare fortissimo, acquistando la copertina del magazine inglese. Boom!
I singoli arrivarono qualche mese dopo, quando tutto era già stato dimenticato. I clip andarono moderatamente in rotazione in TV: prima quello di un brano intitolato Unnatural Woman e poi un altro dal titolo City Of Angels. Il mondo non fece una piega.
L’album vero e proprio la EMI lo pubblicò, quasi tre anni più tardi. E non vendette una ceppa.
Fine della storia? Sì e no. In fondo se sono qui a scriverne dopo tre decenni, qualcosa ancora respira, no?
Guardiamo la copertina distribuita inizialmente all’uscita del disco. Era senza dubbio imbarazzante. Oggi si direbbe cringe. Il gruppo da cinque, sulla cover di Kerrang, era sceso a quattro e aveva un look molto diverso. Sembravano più dei cugini di George Michael nella fase birichina degli anni 90. Non facevano più pensare a una love metal band di L.A. Ma come mai una mutazione così drastica, nel mentre di un percorso promozionale di tre anni incentrato sul medesimo album?
Quella copertina infelice però spiegava meglio la situazione RPLA. Il frontman del gruppo indossava dei tacchi a spillo alti così; come Marc Bolan negli anni 70. Nel 1994 non era una cosa tanto diffusa e si faceva notare. Gli altri tre commilitoni, tenevano delle posture sado-sexy. Il batterista addirittura si strizzava il pacco con l’espressione da limone in bocca. Tutti e quattro i tipi avevano qualcosa di disagiato e disagevole, come i Rammstein qualche anno più tardi sarebbero tornati a esprimere meglio.
Gli RPLA su quella copertina, non sembravano tanto dei minacciosi dominatori; uomini peccaminosi pronti a scatenarsi sull’universo femminile delle casalinghe rock. A guardarli bene erano comunque piuttosto inquietanti. Almeno per un giovane eterosessuale come il Fuzz.
La copertina infelice fu poi sostituita da un’altra, più sobria, con una foto di Ian Atsb e il chitarrista che si schermiscono dalle potenti luci della polizia. Pure in questo caso, qualcosa non torna. Cosa illumina i due? Dove si trovano? Perché vorrebbero nascondersi? Un controllo della statale in una piazzetta di sosta? Iniziamo a capire meglio la situazione, eh?
C’è qualcosa che l’intera stampa metal non seppe interpretare nella giusta maniera, nei tre anni dall’annuncio all’uscita del disco degli RPLA. Non fu però tanto colpa dei giornalisti, imboccati male dalla strategia promozionale. Questa controversa gestione fu fatale per il gruppo ma spiegherebbe come mai la EMI, in un primo momento, fosse impazzita per gli RPLA. Cosa cacchio ci aveva trovato? A vedere i video e ascoltando le canzoni, sembravano una versione un po’ più pacchiana dei Cult; musicalmente erano tra Love ed Electric ed esprimevano un’attitudine superata tra vecchi Bon Jovi e Firehouse.
Quando uscì il terzo videoclip, a supporto del nuovo singolo The Absolute Queen Of Pop, il gruppo era ormai passato attraverso quel cambio drastico, ma vedere Ian con i capelli corti e un pastrano da sacerdote esuberante che parla di Queen qualcosa e ammicca alla camera, era già molto più eloquente.
E ad aiutare la stampa sul senso di tutta la faccenda, ci pensò la band stessa con una dichiarazione programmatica, un comunicato che spiegava a tutti come gli RPLA fossero “omo-rockers con la missione di far crollare i muri di incomprensione…” Fuzz liquidò la frase e l’intera faccenda come un pasticcio della EMI. Concluse la recensione salvando la musica e stendendo un velo pietoso su tutto il resto. Ma era da lì che bisognava cominciare, invece, da quel comunicato. Peccato che ormai fosse troppo tardi e a poco valsero ulteriori esplicitazioni visive del gruppo. Tipo questa.
Il mondo non era certo pronto per gli RPLA, e probabilmente non lo sarebbe neanche oggi. Non mi viene in mente, nel corso di questi ultimi trent’anni, un gruppo hard rock che abbia giocato direttamente con l’omosessualità. Loro era questo, secondo me, che stavano cercando di fare, fin dall’inizio. E la EMI ci credette subito.
Poi sapete come vanno certe cose, chi si entusiasmò sparì dagli uffici dell’etichetta, sostituito da un altro e poi da un altro e chi arrivava, tentava di rimodificare la questione, nella speranza di far funzionare un concept che forse era un tantino eccessivo per il conservatore pubblico hard rock di allora. La Emi arrivò a incasinare l’idea iniziale e rivendere la band come l’ennesimo tentativo dell’Inghilterra di ridefinire e riconquistare il trono del glam, ormai piantato a Los Angeles a prendere polvere da un paio d’anni, causa Grunge.
Ian Astb per la verità si chiamava James Maker. Oggi è ricordato sia per essere stato il cantante di una cult punk-rock band di nome Raymonde, ma soprattutto perché è un grande amico d’infanzia di Paul Morrissey e in Inghilterra questa cosa è sufficiente a garantirgli un posto d’onore nei salotti del pomeriggio.
Qualche anno fa pubblicò una biografia, piuttosto apprezzata in Gran Bretagna, dal titolo geniale: Autofellatio. E nel libro lui parlava anche degli RPLA, definendoli la prima drag metal band della storia.
Ecco la conferma di quanto stavo scrivendo sopra. Peccato che le cose siano state pasticciate in quel modo, soprattutto perché questa discontinua e strascicata promozione del disco, che a proposito, si intitola Metal Queen Hijack, creò un’aspettativa così esagerata verso il suo contenuto da suscitare una quasi inevitabile delusione.
Le canzoni c’erano e anche oggi, a risentirle, suscitano un discreto coinvolgimento. Eliminando tutta la confettura “omo-erockers vs the conservatory gay world of metal”, il disco è senza dubbio molto buono. Usciva davvero di peggio in quei primi anni 90; il genere street-sleazy-glam-hair-heavy era decisamente bollito e gli RPLA avrebbero meritato più attenzione dagli appassionati di questo filone, ieri e ancora oggi. I singoli sono fichissimi. A distanza di anni, alzate il volume dell’auto-radio e partite verso le incendiate highways veronesi di Gianni Della Cioppa.
La produzione è sporca, goliardica e chiassosa. City Of Angels e Vagabond Sister sprofondano in una decadenza sorniona, un po’ parodistica. I suoni dei soli di chitarra mi hanno ricordato molto quello un po’ balneare di Warren DeMartini in Detonator. Forse complessivamente gli RPLA ricordano un po’ troppo i Cult, non sempre però e di sicuro non è una questione di copiare. Si tratta di una famigliarità usata in altri modi e in grado di suscitare piacere in chi ama la band di Astbury e Duff. Ian Astb/James Maker ha una gran voce, secondo me e penso che il brano Last Night A Drag Queen Saved Your Life poteva essere l’inizio di una nuova era per l’hair metal.