Non so se succede anche a voi, ma quando vengo a sapere che il tal gruppo ha fatto la cover del tal altro gruppo, la cosa mi suscita quasi sempre un certo interesse. Se una band è famosa e si cimenta nella reinterpretazione di un classico o di un brano misconosciuto di altri, non so, mi si arrapano subito le meningi. Raramente però, e temo sia scontato dirlo, una cover mi piace più di un pezzo originale; ancora meno mi capita di veder soddisfatta la mia curiosità iniziale. Possono essere gli Iron Maiden che fanno i Jethro Tull o i Metallica che suonano un pezzo dei Misfits; può essere Tori Amos che rifà gli Slayer o i Duran Duran che suonano i Led Zeppelin, e sto facendo esempi grandiosi di questo specifico contesto del “tributo a”, ma finisco per provare un senso di delusione pure in questi casi. Delle volte mi sembra di entrare in una sfera privata. Non so come spiegare. Una sfera che forse la band non avrebbe dovuto mai condividere con il proprio pubblico.
Anche i dischi interamente fatti di cover mi producono una buona disposizione d’animo iniziale, sulla carta. Non resisto, voglio ascoltare come la band X se la cava a omaggiare i gruppi che più l’hanno influenzata e hanno determinato lo stile che l’ha resa celebre; difficilmente la cosa poi mi produce un vero godimento.
Ci sono gruppi che riescono a fare grandi cover e altri che non sono un granché come cover band in generale. Del secondo gruppo per esempio fanno parte gli Slayer. Non li ho mai trovati intriganti quando provano a rifare le cose di qualcun altro. Non gli importa. sono stati costretti da Rick Rubin, ma non gli è mai venuto fuori qualcosa di comparabile, per forza e genialità, con ciò che fanno di originale.
E come gli Slayer quasi tutte le grandi band sono pessime interpreti. Alcune non hanno mai realizzato una cover in tutta la loro discografia. Altre ci si sono incrociate la carriera: vedi i Guns N Roses e l’incidente degli spaghetti. Poi ci sono quelle band che umilmente e forse con un po’ di furbizia, hanno imbottito i propri dischi di omaggi e adattamenti, fino quasi a perdervi se stesse: Six Feet Under, Steel Prophet, Atrocity, per dire.
Alcuni nomi però mi hanno davvero spiazzato e avvinto quando si sono messe a rifare i pezzi di altri. Penso ai Children Of Bodom, agli Helloween, persino Ozzy. Avete mai sentito il suo disco Under Cover con Jerry Cantrell alla chitarra? Non ci crederete ma è molto interessante e gustoso, per quanto anch’esso mi abbia lasciato al fondo un senso di inutilità, come tutti gli altri.
The Acid Eaters dei Ramones è tra gli album di cover più riusciti. E loro sono tra i gruppi capaci di far propria qualsiasi canzone. Hanno escogitato una formula artistica degna degli ultracorpi. Potevano, perché ormai non si può più parlare di loro al presente, ma potevano prendere qualsiasi cosa e piallarla secondo il proprio stile, rilanciandola con un’energia e un’intensità che l’originale magari non aveva mai espresso.
Prendete per dire Have You Ever Seen The Rain? dei Creedence Clearwater Revival. Per me la versione migliore di quella canzone non è del gruppo che l’ha creata, ma di Bonnie Tyler; però i Ramones ci fanno ciò che vogliono e le danno una stura inimmaginabile, a sentirla così com’è.
Anche My Back Pages di Bob Dylan è trasfigurata in un assalto frontale. Esplode tra le vostre orecchie come non avrebbe mai potuto fare dal suo autore originale, nel pieno della fase folk. Via via, quasi tutti i pezzi scelti dal gruppo per The Acid Eaters sprigionano una potenza che era lì: i Ramones sono solo il tramute giusto per esprimerla a fondo.
Nella vulgata stile Virgin Radio, se si pensa a una loro cover, a parte la vecchia Surfin’ Bird in Rocket To Russia, viene in mente solo What A Wonderful World, che non è neanche del gruppo, ma solo di Joey, realizzata per il suo disco solista, Don’t Worry About Me del 2002, dopo che la band era ormai sciolta sei anni.
Ma come mai i Ramones si sciolsero? Negli anni 90 tutti li tributavano, mentre loro pensarono di tributare i propri maestri. Non so cosa si aspettassero da Acid Eaters; probabilmente nulla. La delusione era arrivata con Mondo Bizzarro, che adoro ma le cui vendite non furono degne di un gruppo tra i più nominati nelle interviste ai Soundgarden, Metallica, Alice In Chains e Nirvana in quei primi anni 90. Le band di Seattle e quelle alternative di tutto l’occidente li citavano e omaggiavano, ma nessuno comprava più i loro dischi, questa era la triste verità. Avevano chiuso. Anche negli anni 80 avevano chiuso, ma allora non si erano dati per vinti e piano piano erano riusciti a riconquistare la credibilità della critica e la fiducia del pubblico. Ora erano stanchi per riprovarci. Lanciarono diversi segnali, inascoltati dal pubblico anni 90. E così fecero il loro tributo ai maestri, ringraziarono per il bel viaggio compiuto fino a lì e poi conclusero con un album, anch’esso poco venduto, dal titolo esplicito: !Adios Amigos!
Ma tornando ad Acid Eaters, come tanti album in cui un grande gruppo tributa omaggi a chi l’ha preceduto, è utile a scoprire e riscoprire qualche ottima canzone dimenticata. Per esempio nel caso, ho adorato le originali di Journey To The Center Of The Mind (Amboy Dukes) o When I Was Young (Animals).
Poi ci sono ospiti di riguardo. Pete Townshend suona in Sobstitute dei suoi The Who e Sebastian Bach fa i cori in Out Of Time degli Stones, ma se non ve lo dicessi, di sicuro non ve ne accorgereste neanche. Vero? Io l’ho scoperto due anni dopo. E non credo che lo ascolterò.
Ormai mi sembra non si facciano più dischi così, nel senso di “cover o tribute album”. Se ne registra la fase più intensa in termini di numeri, in un crescendo cospicuo dalla prima metà degli anni 90 fino alla prima metà del 2000 dove, come tipologie di lavori sono calati fino a sparire. I gruppi hanno smesso con i tribute album. L’ultimo salutato con un certo interesse generale è stato Garage Inc. dei fottuti Metallica nella fase schifiltosamente metal. L’ultimo episodio un po’ audace e intrigante è stato Bob Dylan che canta Sinatra, gran disco se me lo chiedete. Poi è finita. Dai, quando è uscito Danzig che canta Elvis non se ne è parlato per niente.
Forse perché è un tipo di lavoro interlocutorio che non ha mai davvero conquistato l’interesse del pubblico. O magari, dopo gli omaggi dovuti dai nuovi grandi, è iniziato il fatidico tempo di morire, per il Rock. Purtroppo ora che se ne è andato, non se ne è andato del tutto. Sa di essere defunto ma continua a uscire dalla fossa; uno zombie redivivo degli anni 90 che, confuso e affamato, va al supermercato in cerca di vinili, cartine geografiche e lettori DVD. Dai, scherzo.