CHAPEL OF DISEASE – NON FIDARTI DELL’OROLOGIO DI UN MORTO

I Chapel Of Disease esordiscono nel 2012, al tempo della profezia Maya. Il loro nome nasce dalla fusione di due titoli di canzoni dei Morbid Angel (Chapel Of Ghouls e Angel Of Disease) e inizialmente, allo stesso modo dei Morbus Chron, erano intenzionati a immolare la propria esistenza creativa sul ceppo eterno di Trey Azagtoth e Dave Vincent. Ho scritto ceppo, non ceppa.Sono di Colonia, Germania. Se vi domandate cosa ci sia di bello e interessante in un posto chiamato come un profumo, vi basti sapere che vi si erge una delle più temute e inquietanti cattedrali gotiche del pianeta. C’è chi ha mosso un paragone tra l’architettura funesta della musica dei Chapel Of Disease e le guglie di quella gigantesca eruzione demoniaca, ma la band non ha reagito con il facile e sinistro entusiasmo che ci si sarebbe aspettati.

Il gruppo è formato dagli stessi elementi sin dall’inizio. Per la verità uno di loro se n’è andato proprio nel 2022, per ragioni ancora non ben chiarite. Si tratta del poco avvenente e pingue bassista Stephen Krieger, fedele alla causa dei Fratelli Teubl ma in fase di evoluzione spirituale o economica, a quanto sembra.

Dalle sue parole, prima di proseguire, ci facciamo dire qualcosa sulla scena metallara di Colonia e su di lui. A te, Stephen.

“Non ero quello che si definirebbe un grande amico della scena di Colonia, almeno quando si tratta di metal. Colonia è sempre stata una roccaforte musicale e non sono mai mancati i grandi musicisti. Il problema che ho avuto con la maggior parte delle band di qui è la grandissima carenza di ambizione generale. Nel corso degli anni vedi le stesse mediocri cagate groove-thrash ogni due fine settimana, negli stessi centri giovanili o club. Dal momento che al “renano” piace fare festa, gli è sempre sembrata una scena vitale e attiva, ma lo è finché resti dentro questa bolla. Dall’esterno o in retrospettiva, non si celebrava nient’altro che una stagnazione auto-indulgente. Quindi, annoiato da questo, mi sono tirato fuori a metà degli anni zero e ho fatto le mie cose con i Chapel, anche perché i miei gusti musicali sono cambiati molto durante quel periodo”.

Chi sono i Fratelli Teubl? Rispettivamente Cedric Teubl, chitarra, e Laurent Teubl, voce e chitarra. A oggi solo il secondo risulta ancora membro attivo dei Chapel Of Disease, infatti sia l’altro consanguineo che il batterista David Dankert hanno mollato la baracca e tutti i burattini nel 2023.

Ma torniamo ai tempi dell’esordio, quando Krieger era felice di far parte di uno scampolo parecchio olezzante della nuova progenie identificata come “New Wave Of Old Death Metal” Europea. Parlando di grandi ambizioni, non è che all’inizio i Chapel ne avessero molte.

Le prime cose prodotte, fino al disco d’esordio Summoning Black Gods del 2012, uscito per Vàn Records, furono un tentativo di rievocare vecchie zitelle decrepite sepolte o scuoiate vive nei boschi svedesi, intonando qualche ricetta mortifera raccomandata dal maghetto Trey Azagtoth.

Siamo a un buon livello musicale, sia chiaro, ma a oggi l’esordio dei Chapel Of Disease serve più che altro a dare la misura dell’incredibile cammino intrapreso poi dalla band; non tanto un rimpianto per l’ortodossia rinnegata negli anni.

Perché è chiaro che non possiamo parlare di tradimento. Se un gruppo riesce a scavare sotto al naso delle guardie del purismo retrivo, una via d’uscita personale nel cuore delle asfittiche mura carcerarie del death metal classico, bisogna almeno riconoscergli lo spessore di una tale impresa e concedergli di andarsene con tutte le benedizioni mortali che si vogliano blaterare.

Summoning Black Gods è stato festeggiato nell’underground come buon esempio di tradizionalismo e nelle interviste, i Teubl sembravano starci bene, almeno se non si leggeva tra le righe, soprattutto oggi che sappiamo come sarebbe andata dopo.

Laurent: Se non credi che il tuo ultimo lavoro possa venire meglio di come è venuto, temo che la tua carriera musicale con quel progetto sia compiuta e quindi finita. Certo, siamo davvero contenti dell’esito del nostro debutto, altrimenti non l’avremmo mai realizzato e pubblicato. Un album testimonia il punto in cui una band si trova in quel momento. Per me è un disco molto impulsivo, crudo e diretto. Rende omaggio agli antichi “Dei del Metal” che più ammiriamo, ma come band sentiamo che dovremmo migliorare da un disco all’altro. Ciò non significa che inizieremo a fare una sorta di “Death Metal Ambient” nel nostro prossimo disco, ma non significa nemmeno che siamo il tipo di ragazzi che si accontenteranno di sfornare altri sei Summoning Black Gods prima di andare a spararsi nei boschi dietro casa.

Cedric: La nuova ondata Death Metal darà molto ad alcune persone, mentre altre lo eviteranno e saranno più che contente di rimanere sui classici. Personalmente, non mi interessa finché si adatta ai miei gusti. Certo, c’è molto riciclo di vecchie idee nel nuovo movimento, ma questo è sempre stato il piano. Non capirò mai perché le persone si lamentano del fatto che la maggior parte delle nuove band suoni nella vena dei classici. Questo è sempre stato il piano, giusto? Noi, come band, non facciamo eccezione.

Nonostante le parole di Cedric, il secondo lavoro dei Chapel Of Disease ha mostrato un gruppo distante dalle celebrazioni “paciose”; è più immerso in una strana inquietudine compositiva. Il titolo scelto graffia la schiena a molti conservatori illusi di trovarsi davanti a un’altra scampagnata “media” nelle fole di un passato ideale: “The Mysterious Ways Of Repetitive Art”.

Sono passati tre anni da Summoning Black Gods e le untuose pacche sulle spalle ricevute da flaccidi deathsters occhialuti con la maglietta dei Dismember, sono andate. Nonostante il titolo sia inquietante sì, ma non necessariamente polemico nei confronti dell’andazzo ripetitivo e ossequioso di un movimento artistico (così l’ha definito Cedric) incapace di rompere con la tradizione, l’album compie uno scatto imprevisto.

“The Mysterious Ways…” non è l’ennesimo lubrificante ossequioso dei vecchi ingranaggi mortiferi da volo Florida-Stoccolma; non è nemmeno un tradimento verso certi principi nel tentativo di allargare il pubblico o cavalcare qualche mistica nuova ondata commerciale. Cazzo, dati i tempi di totale frammentazione del mercato musicale, è praticamente impossibile.

Cedric: Ricordo che io e mio fratello abbiamo detto quasi insieme: “È stato bello, ma ora dobbiamo aprire nuove strade”. E non lo intendo in modo denigratorio verso il nostro debutto, perché lo amo ancora e apprezzo tutto ciò che c’è in esso. Ma dopo quello non volevamo ripeterci. Probabilmente è da lì che provengono la serenità e la suspense di “The Mysterious Ways…”

Ascoltando il disco si possono pensare molte cose, ma di sicuro è innegabile che si tratti sempre di death metal. I suoni, i riff, le ritmiche mantengono un saldo legame col passato, ma le maglie purulente si intridono di un certo goticismo irrequieto, come nell’iniziale title-track. Potrebbe trattarsi di un caso, dato che è un’introduzione strumentale ma una certa mancanza di disciplina emerge in ogni brano, le strutture si allargano, i pezzi paiono protendersi come rami stregati verso i vetri della cameretta di Denis Bonetti.

Laurent: Il nuovo disco è molto giocoso. Se dovessi descrivere il nuovo materiale, direi che da un lato suona più maturo e più complesso. D’altra parte sono del parere che non abbiamo perso di vista l’essenziale, nonostante la varietà e le divagazioni all’interno dei brani.

Il pregio di “The Mysterious Ways…” (e del suo più prodigioso successore) è questa capacità dei Teubl di sfarfallare in giro per vari decenni di cultura rock, perdendosi in fantasticherie sognanti e de-costruendo senza paura, che so, un riff degli Entombed come se l’avesse pensato Andrew Aldrich dei Sisters Of Mercy.

C’è comunque un senso di integrità e di unità dietro ogni brano, per quanto spaesante possa risultare. Le traversate nel gelo notturno di Lord Of All Death o nelle polverose mansarde del doom anni 80 di Realms esprimono incessantemente la stessa volontà di esplorazione e scoperta.

Cedric: Sono sempre meno entusiasta delle cose basate sui riff, in cui a volte hai la sensazione che nient’altro sia sulla lista delle priorità che suonare abilmente come le vecchie band. Non vogliamo più farlo e vogliamo offrirci di più, motivo per cui ci affidiamo a suoni diversi. Non sto dicendo che stiamo creando qualcosa di completamente nuovo, perché sarebbe semplicemente sciocco. Tuttavia, non vogliamo rimanere sullo stesso livello, ma scoprire il nostro suono vario e personale.

Dal 2015 non è successo granché nelle vite dei Teubl. Una nuova sala prove, più grande e senza topi; Laurent ha deciso di affittare pure la stanza accanto e allestirci uno studio di registrazione; E poi matrimoni, traslochi, le tipiche movenze della vita; ed ecco un nuovo album dal titolo parecchio strano. “And as We Have Seen the Storm, We Have Embraced the Eye”: che potremmo tradurre in modo più sintetico con “La diga si è rotta”.

Cedric: Esatto, la diga si è rotta, ma non con il terzo lavoro. È successo prima, almeno nelle nostre teste. Laurent è l’autore delle canzoni del nuovo album. Voglio dire che tutto è partito da lui e poi noialtri le abbiamo elaborate insieme con lui. E dato che negli ultimi anni è diventato sempre più coinvolto con il vecchio blues rock e il rock classico, non sorprende che queste influenze si riflettano nella nostra musica. Allo stesso modo c’è ancora la durezza, l’estremo.

La cosa davvero geniale del nuovo album dei Chapel Of Disease è l’uso disinvolto di vecchi riff anni 70 in un contesto in blast-beat cruento e quasi al limite del black metal. Te ne stai lì a sentire la solita trafila di urla e fraseggi funesti e poi ecco che la band ti sventola sotto il naso un cazzotto sonoro in stile Grand Funk Railroad.

Questo però non interrompe minimamente il flusso virulento di pezzi come Void Of Words e quando ci si ritrova in un laghetto glaciale a consolare la spigolosa e sussultante schiena dello smarrito Johan Edlund, è come nei sogni, in cui si ha appena il tempo di domandarsi come si sia finiti in un luogo simile, che già è tempo di smarrirsi ancora in un assolto degno dei Lynyrd Skynyrd nel cuore della turbolenza definitiva.

Laurent: abbiamo iniziato come band death metal, ovviamente, e abbiamo ancora radici lì, come nel genere metal più estremo ma ora siamo arrivati al punto in cui ci sentiamo così sicuri di quello che stiamo facendo. Abbiamo ulteriormente perfezionato il nostro suono. Non voglio dire se l’abbiamo trovato, solo il tempo lo dirà. Sento però che continuiamo a muoverci nell’area del metal estremo e sicuramente continueremo a farlo.

Echoes Of Light è uscito a febbraio di quest’anno. Non ho idea di come sia, non l’ho ancora sentito. In formazione, almeno per lo studio, risultano ancora entrambi i fratelli Teubl e il solito batterista, Dankert. Sono felice che non abbiano ancora mollato.