Elegy – Persi nei labirinti del sogno

Negli anni 90 gli Elegy erano diventati “qualcosa”. Ricordo che avvevo un paio di lavori del gruppo nella mia collezione ma non me ne ricordo una nota. Non riuscivo a capire già allora se mi piacessero, ma questo è un problema che ho avuto con tanti altri gruppi: validi, intriganti e che però non facevano scattare mai davvero qualcosa dentro di me.

La storia di questo gruppo olandese, celebre per aver avviato, almeno secondo qualche esperto della rete, il filone power-progressive metal, è davvero una diaspora continua di musicisti. A ogni passo della loro strada discografica perdevano i pezzi. Labyrinth Of Dreams, il debutto, che è uscito nel 1992 ma arrivato in Italia almeno un anno più tardi, vedeva già la band in pezzi e in procinto di annettere nuovi ricambi con cui seguitare a far girare la ruota di Conan. Nell’andirivieni di musicisti è passato anche il batterista Ed Warby; poi nei Gorefest e coinvolto nel progettone Ayeron.

Labyrinth Of Dreams è un buon album d’esordio, anche se è invecchiato parecchio e oggi può interessare giusto i collezionisti e i completisti appassionati di certi sottogeneri del metallone tradizionale. Il mistume di progressive metal, power tedesco e un po’ di class all’americana, vanno giù bene, ma non lasciano presagire granché su ciò che gli Elegy sarebbero diventati solo un paio d’anni più tardi. A me piace il lavoro delle chitarre (Henk van de Laars e Arno Van Brussel sono davvero in gamba) e le ritmiche talvolta davvero stordenti di Warby. Adoro la marea di freseggioni, fraseggetti e fraseggiucoli doppiati in controcanto di cui sono zeppe le canzoni, specie nelle parti introduttive.

Ci sono pure delle buone melodie, cantate ottimamente da Eduard Hovinga, ma gran parte delle linee del cantato sono cose che i Fates Warning e Queensryche avevano già fritto e rifritto nella padella del genere. I’m No Fool tiene bene nonostante il passare degli anni, (siamo sopra i trent’anni, cazzo), così come cose un po’ più dirette come Powergames e di maggior respiro e ricercatezza, tipo la title-track.

Però dai, il disco è nettamente in ritardo rispetto a quello che stava accadendo, non dico negli Stati Uniti, ma pure nella scena europea all’inizio degli anni 90 e se proprio vogliamo dirlo, il progressive e il power metal li avevano già sposati da almeno otto anni prima i Fates Warning.