Solstice – Lamentations e le oscure vie degli eroi

Tornare indietro e ascoltare quello che per vari motivi, al tempo, non mi è stato possibile sentire, conoscere, approfondire… Ecco cosa mi piace più di tutto, oggi. Rileggo vecchie riviste metal, scorro le recensioni e vedo un sacco di roba segnalata con quattro coltelli, martelli, teschi o quel che era. Top Album di gruppi che non ho mai sentito nominare, stroncature di quelli che sarebbero diventati dei classici… mi diverto un mondo a riandare sulle pagine deperite di Metal Shock, Metal Hammer, e sogghignare, sorprendermi e soprattutto scoprire tanta musica interessante.

Per dire, io i Solstice non me li ero mai filati. Oggi li sento citare dalle band traditional metal, assieme ai Solitude Aeternus come modelli di riferimento per la musica di questi sbarbi-talli e la cosa mi sorprende. Non dicono Maiden, Metallica o Saxon, ma Manilla Road, Cirith Ungol, Coroner e Solstice.

I Solstice negli anni 90 uscirono con i loro grandi lavori e furono ignorati. Avevano però qualcosa da dire e il messaggio sembra aver attecchito, alla fine. La verità prima o poi arriva a destinazione di chi la cerca. Chi cerca il vero, non deve mai smettere di attendere.

In effetti Lamentations, primo album della band, dopo quattro demo, di cui il uno con lo stesso titolo, è un lavoro da recuperare e mettere accanto a tutti gli album di un potenziale canone. La versione epica e doom dei Solstice, è musicalmente affine ai Paradise Lost e gli Anathema, ma in una direzione gagliarda, fiera e tragica insieme. Le sonorità sono quelle dei gruppi della Peaceville di quel periodo, e non è un caso che il produttore, Robert Magoolagan detto Mags, sia lo stesso che ha messo mano, sempre nei primi anni 90, ai lavori dei Bal-Sagoth e degli Anathema, gli esordi dei Cradle Of Filth ed Ebonylake (grandi, dategli un ascolto).

Mi si apre un mondo perché per me, l’Inghilterra degli anni 90 è sempre stata solo Paradise Lost/Anathema/My Dying Bride, qualche cosa dei Bolt Thrower (ma senza impazzire), Cradle Of Filth e Cathedral. Invece ce n’era di musica interessante, credetemi. Per dire, avete mai provato i Cerebral Fix? Il secondo album, Tower Of Spit è notevole.

I Solstice forse oggi sono inseriti in qualche top dei dischi doom di tutti i tempi, ma Lamentations non ottenne grandi riscontri nel 1994, il gruppo aveva una situazione travagliata, con cambi di formazione che li costrinsero a perdere quattro anni, prima di dare un seguito all’esordio, e con tutti gli elementi cambiati, tranne il leader Richard M. Walker alla chitarra. Su New Dark Age, che è bellissimo, sia chiaro, c’è quindi un cantante diverso, Morris Ingram, che è bravo ma più prevedibile rispetto al tizio che c’era prima, ovvero, Simon Matravers.

Simon Matravers, aveva uno stile unico, diverso dagli altri cantanti degli anni 90. Aggiungeva alle giungionate doom dei Solstice un afflato (che vuol dire soffio) di sofferente dignità, come se a intonare quelle melodie fosse un re ferito, lasciato solo e indebolito dalla sua ultima battaglia. Sanguina e intona orgogliosamente le proprie gesta e quelle dei suoi padri (Only The Strong), in attesa che i nemici, dopo essersi stancati di ascoltarlo, lo facciano a pezzi e spargano il corpo in qualche latrina.

Il mondo dei Solstice tinteggiato nei brani di Lamentations è fatto di brughiere insanguinate, castelli coperti di viscidume fluorescente, spade gloriose dimenticate su un cumulo di ossa e una pioggia che non smette mai di cadere e marcire tutto quanto. Devono molto ai Candlemass, come tutti i gruppi doom inglesi di inizio anni 90, per quanto qui affiori qualche innegabile rimando ai Black Sabbath, influenza che, a parte i Cathedral, al tempo in Inghilterra era rifuggita da tutti gli altri gruppi come fosse l’HIV dello stile.

The Man Who Lost The Sun è la mia preferita. Specie quando Matravers, con un effetto abbassa-tono stile Cradle Of Filth, dice cose degne delle misantropiche liriche del Libro di Giada di Park Barnitz, già ispiratore di Forest Of Equilibrium dei Cathedral. E poi c’è il ritornello che mi commuove:

Quando arrivò l’oscurità
Io non correvo
Io sono l’uomo che ha perduto il sole

Mi fa pensare a una filosofica rinuncia di ciò che è sotto gli occhi di tutti per addentrarsi in una palude di oscurità, mani gelide e antiche pronte a ghermire il cuore di chi non è davvero onesto con se stesso. Solo l’onestà può affrontare il buio e non farvi perdere la strada, ricordatevelo, equinidi!