Non perdetevi il nuovo dei Crypt Sermon

I Crypt Sermon farebbero doom epic metal con tematiche genericamente bibliche. Questo è il loro identikit su Encyclopedia Metallum. Non è una christian metal band come Barren Cross e Stryper. Diciamo che affrontano la questione divina senza che farne una sorta di bandiera filosofica che li trasformi in una macchietta. L’esempio virtuoso in tal senso sono i Trouble. E nominandoli siamo nel doom più doom, giusto?

Beh, sbagliato, perché secondo me, quando una band realizza un grande album, le etichette non hanno più senso. Se una cosa è bella, lo è al di là dei gusti, dei parametri e delle chiacchiere da nerd metal su cosa sia Vicking e cosa sia Neo-power-class metal. The Stygian Rose è semplicemente un grande album che tutto il pubblico amante del metallo potrebbe gradire e amare.

Qui non si tratta di rifare il verso a qualcosa che già esiste. D’accordo, la sintassi usata da questi sei bamboccioni di Philadelphia. è principalmente il metal classico; ma in brani come Heavy Is The Crown Of Bone o Down In The Hollow potete scorgere baluginii black nordico e slayerismi puri, in certi fraseggi messi come sinistri sigilli a tener fermi i demoni. The Stygian Rose offre questo tipo di atmosfera. Sembra di camminare accanto a qualcosa di enorme, pericolosissimo e che non si è ancora accorto di noi. La musica ci protegge da esso, cullandolo in un sonno che è meglio non interrompere.

Ripeto, questo disco non è doom ma heavy metal, con tutte le sfaccettature che il genere riesce a esprimere: una minaccia cosmica dietro la normalità di quattro accordi, il terrore annunciato in un coro lascivo che cresce da lontano, la solennità e il dolore inneggiato in parafrasi melodiche inquiete. Brocke Wilson cerca tutto il tempo di evadere dalle metriche dei soliti Candlemass e Solitude Aeternus (gruppo sempre più citato dalle fresche band orientate al doom e all’epic metal della nuova ondata traditional).

Peccato per la produzione.

Sì, perché Arthur Rizk, al quale voglio bene e che stimo, ormai è super-richiesto da un po’ tutta la scena e penso inizi a risentire del troppo lavoro. Forse dovrei dare la colpa ad Aidan Elias, ingegnere del suono dell’album, ma sarebbe un errore. Lui è all’inizio. C’è Rizk dietro tutto quanto. E io percepisco la stessa frustrante patina antiquaria da vinile del 1986 che ho sentito in altri lavori coadiuvati da lui. Pure nell’ultimo dei Kreator.

I Crypt Sermon in questo album ci mettono di tutto e raggiungono il primo dei loro, si spera, picchi. In altre mani il suono della band si sarebbe esteso oltre i limiti del classico tugurio metal. Secondo me è ciò che manca più di tutto alle produzioni moderne: sono dominate da un feticismo per gli anni 80, per il convenzionale e per il gracchiante soffritto vinilico, al punto da chiudere in un barattolo di conserva composizioni visionarie come queste. Sentite la title track e ditemi se in mano a Andy Sneap, per citare uno che mi piace, non avremmo potuto recuperare i livelli di Dead Heart In A Dead World dei Nevermore. Che fine ha fatto quella potente ariosità? Sono stufo di crogiolarmi nella bellezza del vecchio metallo. Questa corazza va spaccata come il tuorlo di un uovo atavico e lasciato uscire il serpentone, cazzo. The Stygian Rose poteva essere qualcosa in grado di far saltare in aria ogni steccato della specialistica metallara e invece è contenuto nel solito, rassicurante, vintagesco immaginario di ritorno.