Squadra che vince non si cambia. Quante volte l’avete sentito dire? Suona bene, no? Sembra una cosa sensata. Eppure ricordo che fin dalla prima volta in cui lessi questo motto sulla Gazzetta dello Sport, nell’estate del 1989, qualcosa dentro non mi suonò giusta. Era l’anno del tredicesimo scudetto dell’Inter, quello conosciuto anche come “lo scudetto dei record”. Io ero un interista sfegatato, avevo undici anni e quel giorno sfogliavo con una certa preoccupazione, in spiaggia, il giornale sportivo. Si erano rinforzati tutti quanti. Il Milan e la Juve compravano gente nuova. L’inter no. Perché appunto “squadra che vince non si cambia”.
Quel campionato non riuscimmo a ripeterci, ma non fu una sorpresa per me. Da lì, ogni volta che ho risentito quella frase, ho pensato che fosse una cazzata. Squadra che vince si deve cambiare, perché non è solo una questione di squadra, c’è tutto un contorno che si evolve e ridimensiona la potenza di quella squadra. Lo penso anche ascoltando Bump Ahead dei Mr. Big.
Nei primi anni 90, quel gruppo era una cosa incredibile. Quattro musicisti superlativi che scrivevano hits da alta classifica. Dopo l’exploit di Lean Into Eat nessuno aveva dubbi su chi fossero i nuovi signori dell’heavy melodico americano. E così, due anni più tardi, la stessa band, attorniata dal medesimo produttore (il grande Kevin Elson), tentò di ripetere il successo di quel disco meraviglioso.
La ricetta era: partire con un bel boogie pompato pieno di svise e un ritornello accattivante? Fatto: Colorado Bulldog; infilare un bel mid-tempo con fraseggi un po’ mielosi e un ritornello irresistibile, possibilmente su una storia d’amore in difficoltà? Fatto: Promise Her The Moon; realizzare un brano acustico trascinante e contagioso? Fatto: Ain’t Seen Love Like That.
Già che c’erano, per non rischiare decisero pure di fare una nuova versione di un classicone rock del passato dal risultato certo: Wild World di Cat Stevens. Con questi tre tasselli, gli stessi che nella fattispecie di 1 – Daddy, Brother, Lover, Little Boy (The Electric Drill Song); 2 – Green-Tinted Sixties Mind e 3) To Be With You, avevano reso Lean Into It un best-seller grandioso, i Mr. Big si apprestavano fiduciosi a scalare di nuovo le classifiche.
Ma non ci riuscirono.
Le cause sono molteplici e probabilmente imperscrutabili. Certo, il drastico cambio di scenario nelle tendenze da prima posizione, dall’heavy rock alla Whitesnake e Bon Jovi alla ruvidezza un po’ sghemba dei Nirvana, qualcosa volle dire. Il pubblico mostrò di non averne più voglia di quelle ballate sdolcinate, quegli inni che incoraggiavano il divertimento tutta la notte. Non stiamo qui a raccontare qualcosa che tutti già sapete bene.
Il problema di Bump Ahead però era proprio il fatto che somigliava sistematicamente a Lean Into It e non ne possedeva la magia assoluta. C’era la classe, la maestria di grandi compositori (Nothing But Love ha un ritornello geniale); c’erano la potenza e l’energia (What’s It Gonna Be) ma mancava di una sua identità. Era cucito addosso a qualcosa che già era tanto piaciuto alla gente. Quale gente? Quella che ora si era stufata dei Mr. Big e preferiva gli Alice In Chains o i Pearl Jam, e glielo fece capire nel modo più crudele, ignorandoli.
Io amo Bump Ahead (Promise Her The Moon, pur datata, mi spezza ancora il cuore quando l’ascolto). Potrei con i SE restituire virtualmente a questo disco una vita migliore di quella che ha conosciuto, ma non voglio farvi perdere tempo e lascio stare. Lean Into It era come un gol incredibile da mezzo campo in rovesciata, uno di quei gol che riesci a farli grazie alla tua tecnica, al tuo talento e al culo o come vogliate chiamare quell’elemento decisivo, misteriosissimo e incontrollabile. Infatti, se ci riprovi cento volte, un gol così non ti riesce più.
La stessa imponderabilità alla base del successo di Lean Into It schizzando una pera di serotonina nei cuori del sistema capitalistico occidentale, confondendo una sbarazzina dichiarazione d’amore con un barattolo di Coca-cola, riconfermarono la fortuna dei Mr.Big solo in Giappone. E lì le cose continuarono ad andare in quel modo per molti anni. I Giappi adorano tutt’ora i Mr.Big.
Per quel mondo che li aveva amati grazie a To Be With You, restano una delle tante meteore anni 80, pure se uscirono con quel brano nel ’91 e pure se noi rockettari decrepiti sappiamo quanto fossero in gamba e che discografia notevole produssero fino al nuovo millennio e oltre.