The Vision Bleak e la tradizionale fuffa della Prophecy

The Vision Bleak mi hanno incuriosito appena vidi una copertina di Metal Shock con loro sopra. Era la gestione Mancusi e al temerario bisogna riconoscerlo: assegnava lo spazio più ambito, quello delle cover, con una certa audacia. A un certo punto sembrava allargare il raggio d’azione della rivista fino alle rive del rock puzzonasista di Rockerilla e ai meandri del becero-raffinatesco di Ritual, andava dalle ultime tendenze fuzziane di Psycho!, fino al truismo di Flesh! Ma quanti punti esclamativi questi monicker, eh? Insomma, Aldo Luigi Mancusi tentava di inglobare più musica (e pubblico) possibile, nei suoi anni di Metal Shock! Su un numero, in copertina poteva esserci David Bowie con il caschetto alla Caselli e il numero dopo c’erano i Prophilax; un numero ancora i sempiterni i Maiden e il successivo ecco i P.O.D.Questo spazialismo mi piaceva, devo dire. Rimettevo a posto il numero sullo scaffale dell’edicola con un certo compiacimento. Poi acquistavo Metal Hammer. Talvolta Mancusi scommetteva su qualcuno di nuovo ed eccitante (per lui). Ecco quindi i Vision Bleak. Quel Metal Shock lì lo comprai. Mi colpì vedere quei cristi dall’aria esoterica in una nube color scorreggia di drago. Nessun altro ha mai dedicato, credo, una copertina a loro. Lessi che erano un duo tedesco, polistrumentista e oscillante tra goth, doom, metal classico e thrash-black. I ragazzi di Metal Shock li adoravano. Ancora oggi, i superstiti di quella redazione, Metal Skunk, ricordano con affetto i Vision Bleak.

Così tanto entusiasmo che ovviamente non andai di corsa a comprarli. Se ammiravo il coraggio di Mancusi, non avevo molta fiducia nelle sue competenze e nei suoi gusti, quindi misi in un angolo della mia testa il nome Vision Bleak e seguitai con la mia vita e con i miei ascolti. Nemmeno in questi anni, con l’internet che ti offre tutto ciò che vuoi da ascoltare, vedere ed eventualmente tirartici una sega, mi sono deciso mai a dare una possibilità al vecchio pallino mancusiano. Chissà se gli piacciono ancora. Io non ci parlo più con lui, ma se avete occasione e siete in rapporti, domandateglielo.

Magari vi risponderà: “chi???”

E quest’anno è uscito il nuovo album dei Vision Bleak. Si intitola Weird Tales ed è il settimo parto di una discografia costante nel tempo ma non troppo fornita. Esce a otto anni di distanza dal precedente, The Unknown. Otto anni per fare il settimo e beccarsi un sei. Questa potrebbe essere la cabala riassuntiva.

E così finalmente li ho ascoltati, partendo dalla fine della loro opera, come mi capita con certi romanzi, qualche volta. L’avete mai fatto? Leggerli cominciando dall’ultima pagina e andando a ritroso fino alla prima? No? Provateci. Vi assicuro che ci sono libri incomprensibili sia in un verso che in un altro di lettura. E così ci sono alcune discografie che dove le prendi le prendi, sei sempre allo stesso punto.

The Vision Bleak non so cosa abbiano fatto prima di questo e non voglio dire che non si siano mai mossi da questo loro mistone di vari sottogeneri del metal. L’ho trovato gradevole, tutto sommato. Mi ha deluso la componente atmosferica, questo devo dirlo. Se ti definisci horror metal, quantomeno dovresti provare a spaventarmi. I Cradle Of Filth degli anni migliori ci riuscivano.

Sì, in Weird Tales ci sono le tastiere con i suoni sottili alla “Esorcista nella casa sperduta nel bosco”, però non ho mai provato alcuna tensione. E vi assicuro che ho ascoltato l’album alle cinque di mattina, da solo, a piedi in una strada buia e piena di cani giganteschi che sbavavano e abbaiavano da dietro le sbarre di cancelletti troppo bassi e precari, per i miei gusti.

Le canzoni mi sono piaciute. In particolare segnalo Mother Of Toads, con quella melodia perversa e sognante insieme, tipo Dimmu Borgir vs Lovecraft. Poi ho apprezzato The Witch With Eyes Of Amber, per via del riffone in palm-mute che mi ha ricordato certe cose di King Diamond tra Conspiracy e The Eye, e poi ho gradito più o meno quasi tutto, via.

Mi è sembrato che la prima parte sia più tra il goth dei Tiamat di Judas Christ (Once I Was A Flower) e le vecchie ubbie più strascicate dei Paradise Lost tra One Second e l’omonimo (In Gardens Red, Satanical) mentre nella seconda metà tutto diventa più pesante e cattivone (The Undying One è decisamente fica), ma non è che abbia  avvertito una sorte di autorevole creatività aleggiante sopra tutto questo papiro di canzone che somigliano tutte a qualcosa inventata da altri.

Weird Tales infatti è divisa in tracce (capitoli) ma si tratta di una sola canzone lunga quaranta e passa minuti. Niente di nuovo anche qui, per carità. Tanto più che non ho sempre apprezzato il passaggio da un capitolo all’altro. Sembra che alcuni momenti non siano così scorrevoli. Si crea un effetto zapping, lungo la tracklist. C’è sicuramente qualità, ma non riesco a immaginare da qui, come mai il Mancusi abbia avuto una tale euforia nel promuoverli. Forse nel 2000 era tutto talmente pieno di Nu Metal che davanti a un prodotto in parte tradizionale e in parte randomico, si poteva pure credere di assistere alla nascita di un fiore diverso in mezzo a tanto bitume commerciale. Mah.

Quello dei Vision Bleak di Weird Tales è metal spazioso, melodico, tutto sommato ricco di melodie ispirate ma sostanzialmente di grana grossa.

E qui, parlandone con Marco Grosso, lui mi ha detto che è tipico della Prophecy Records, etichetta presso cui stanno da una vita anche i The Vision Bleak, puntare su gruppi interessanti ma che poi, stringi stringi, ti ritrovi poco tra le mani.

Io sono andato a spulciarmi l’elenco dei gruppi della Prophecy e ho visto nomi di tutto rispetto: Arcturus, Alcest, Botanist, Dordeduh, Empyrium, Fen, Falkenbach, Negura Bunget, Sono sicuramente prodotti interessanti, intriganti, ma certo, se dovessi accostarli a Kreator, Helloween, Mayhem, non penso possano reggere simili paragoni, nessuno di loro.

Sì, credo che gli Alcest e gli Arcturus abbiano realizzato dischi importanti nel corso della loro carriera, ma va beh.

I Vision Bleak non mi sembrano male. Sicuramente mi ascolterò i dischi precedenti. Per ora questo nuovo mi tiene compagnia da ore ed è molto garbato, composto, discreto, non trascendente, ma sono di un umore troppo sensibile oggi per vedermela con i profeti, i folli e i geni dannati della musica più fottuta che ci sia.