310779 06: ***EXCLUSIVE*** Author Anne Rice poses for portraits October 19, 1992 in Louisiana. (Photo by Bryce Lankard/Liaison)

Anne Rice e i suoi vampiri fighi ma tormentati

Una volta ho provato a leggere Intervista col vampiro, ma verso la metà mi sono incagliato e non ce l’ho fatta a proseguire. Sia chiaro, io sono un lettore tenace e non mi rassegno facilmente. Ho letto tutta la Recherche di Proust, Ulisse di Joyce, Le illusioni perdute di Balzac e molti altri classici da cui gli appassionati di Anne Rice si guarderebbero dall’avvicinarsi, quanto i loro adorati vampiri dall’esporsi alla luce del sole. Eppure, a un certo punto di quel primo, imprescindibile capitolo della saga di Lestat, Armand e tutti gli altri succhia-succhia, non ce l’ho fatta più a proseguire e mi sono arreso, dicendomi che un domani ci avrei riprovato (ceeeeerto). La prima parte di Intervista… è irresistibile. Mi rendo conto del perché abbia avuto tanto successo, quel libro. Negli anni 70, in un periodo di grandi rinnovamenti nell’ambito della letteratura horror commerciale, partire con quello spunto fu rivoluzionario per l’intero genere. Eppure, niente, a metà volume ho lasciato perdere.

Non è mia abitudine iniziare un secondo capitolo se non ho finito il primo, ma in via eccezionale, mi sono messo a leggere Scelti dalle tenebre. Si tratta di uno dei dieci romanzi preferiti da Stephen King e uno dei tre che ancora non conoscevo. E così ho cominciato provando anche qui un gran coinvolgimento nella prima parte e l’impressione di infilarmi in una palude senza uscita nella seconda. Stavolta sono giunto al termine però, dopo due fottutissimi mesi, e posso dirlo: Anne Rice è molto brava, ha capacità di scrittura superiori a tanti altri autori di best-seller orrorifici; inoltre è capace di spingere il discorso dei vampiri, la vita ultraterrena, la storia delle religioni, a livelli di grande finezza spirituale. C’è sangue per i denti di tutti, non solo per chi ha i canini a cannuccia. Ma…

Ma dei suoi bambini a me non frega un cazzo.

Ho faticato molto e in un romanzo narrativo, se è dura andare avanti, è perché in fondo non ci importa di quello che sta accadendo ai protagonisti. Non ho altre spiegazioni. Cosa vi spinge a finire romanzoni di ottocento pagine, se non la necessità di vedere come si concludono, cosa succede in fondo? Ecco. a me non veniva nessuna domanda sull’epilogo. Dove stava andando Lestat? Cosa pendeva sulla sua testa? Niente.

Ok, va detto che Lestat mi è antipatico. I vampiri della Rice non mi ispirano simpatia, anche se alcuni di loro hanno a cuore la razza umana, sanno fare battute intelligenti e spiritose, sono combattuti e pieni d’amore, personalmente non li ho mai amati; nessuno, da Armand a Marius, dal tormentatissimo Niki a Gabrielle, ex madre di Lestat.

Non mi sono chiesto cosa ne sarebbe stato di loro perché tanto sono tutti immortali, quindi so che non sarebbero morti. Non c’era un vero antagonista da temere. In Dracula il mostro doveva vedersela con Van Helsing e aveva l’obiettivo di spargere in Europa la peste, carpire Mina e molte altre donzelle e divertirsi a spese della razza umana. Ce l’avrebbero fatta a fermarlo? Avrebbe vinto lui?

Attenzione perché il Dracula di Stoker non è una figura tragica. Furono i film e le rivisitazioni ad aggiungere questo aspetto triste e solitario, da condannato e infelice per la figura del conte. Nel libro originale, a me pare che lui svolgesse una funzione precisa senza compiangersi. Era l’istinto che vinceva sulle buone maniere; il tabù del sesso che travolgeva le fragili barriere della società repressa. La sfida non a caso avveniva nel cuore della società civile e culturale più censoria di allora: l’Inghilterra vittoriana.

Sebbene Lestat e gli altri in Scelti dalle tenebre, attraversino diverse epoche, secoli e secoli di costumi, guerre, violenze, censure e persecuzioni, a parte osservarne le incongruenze e adeguarsi ai cambiamenti, per mimetizzarsi tra gli uomini e cibarsi di loro, non c’è altro. Si tira a campare, nella vita mortale come nell’eternità.

Poi, è vero, ci sono conflitti tra vampiri. Lestat è un temerario che manda in aria le regole dei vampiri, si espone, gioca pericolosamente tra i vivi e morti, subendo l’odio e l’invidia dei suoi simili, ma nessuno lo mette davvero in difficoltà, perché lui è il più fico, il più coraggioso, il più forte e il più cacacazzi di tutti.

L’idea di farlo risorgere come rockstar, negli anni ottanta, vale a dire quelli del post-punk, dei Bauhaus e di MTV, la cultura goth e tutto il resto, è un altro colpo di genio, ma è solo la cornice, come l’idea dell’intervista nel primo, per contenere l’ennesima tirata di fatti e fattucci attraverso i secoli di gente tanti Dorian Grey più o meno esaltati dalla parte. D’accordo, la storia di un vampiro è rappresentata in modo molto complesso, originale, intrigante. Tutto quello che è venuto dopo è stato influenzato dai romanzi della Rice, ma non c’è un traino, un cazzo di gancio in Scelti dalle tenebre o in Intervista col vampiro, a parte l’affetto, la fascinazione per questi mostri e il loro avanzare nel nulla del futuro.

E io non l’ho provata, questa fascinazione, forse perché ho un’età che mi rende meno sensibile a figure così anticonformiste.

La cosa che mi è più piaciuto di tutto il libro? Il momento in cui Lestat inizia a sentire la vicinanza di colui che lo contagerà e lo renderà un non morto. Ecco, lì Anne Rice scrive una delle pagine più originali e suggestive della narrativa orrorifica. Non c’è niente di simile in tutta la letteratura sui vampiri. Il ragazzo recita su un palco e all’angolo estremo della sua visuale e della sua sfera sensibile, registra, a posteriori e quindi nel ricordo, una presenza, un volto che lo osserva tra la folla e sorride. Ecco cosa mi è piaciuto davvero, in tutto Scelti dalle tenebre.