Atomic Blonde, il postpunk e l’estate di merda

In questi torridi meriggi inesorabili, ascoltare metal è una tortura. Aggiunge un tasso calorifico insopportabile, un carico di elettricità che riscalda troppo, quindi, per rinfrescarsi la mente, ci vuole ben altro. Ecco che, come sempre, viene in soccorso l’alveo musicale ampio, enorme, che regala un ghiacciolone sonoro tipo Calippo cerebrale. Mi ritrovo a mettere in loop roba postpunk, ethereal, dark, spaziando dai Fontaines D.C ai Lycia, dai Bauhaus ai Soror Dolorosa, e la mente si congela all’istante. Poi, per caso, becco un pezzo recente che sta spopolando, utilizzato purtroppo negli shor di Tik Tok e Instagram, tra cheerleader coreane di baseball in shorts, indiani che imprigionano tarantole nella foresta, maghi lituani che fanno sparire lattine di birra nei sacchetti del fast food. Svilito, sminuzzato nei trenta secondi come sottofondo, sembra fungere solo da cornice ai soliti video del cazzo, ma poi, la mia curiosità mi ha spinto ad ascoltarlo tutto per intero e caspita, che signora canzone! Si tratta di I Like The Way You Kiss Me di Artemas. Andatevelo a cercare, come sempre, la rete vi aiuterà. Il mood del pezzo è presto detto: postpunk, gotico, dark wave, roba che si balla nei club, e che mi riporta alla mia gioventù in cui il sabato sera spesso con gli amici si bazzicava il Black Hole, lo Shelter o l’Alcatrazz  di Milano City. Ma l’associazione più diretta che mi viene in mente, quando lo metto su per l’ascolto, è quanto avrebbe funzionato bene, anzi benissimo, nella soundtrack del film Atomic Blonde di David Leitch, con una strepitosa Charlize Theron.

Il binomio sarebbe incredibile mi dico, tanto che proprio per sbandierarlo al mondo, ho costruito un articolo su questo concetto. La canzone è molto bella, almeno per me, tanto che ascoltarla tre o quattro volte di fila non mi disturba. Io che, di regola, non faccio un ascolto consequenziale di oltre due volte al massimo per qualsivoglia album o canzone. L’estate di merda, per motivi esclusivamente climatici e di caldo, nonché una stagione che detesto per la disumanità dell’essere umano che sfodera il peggio di sé, almeno viene mitigata da queste mie strambe elucubrazioni, che ovviamente Sdangher accoglie a zampe aperte. Con l’autunno il metal, timidamente o prepotentemente, si vedrà, tornerà nei miei pensieri. Per ora e a lungo, sopravviviamo, aborrendo sandali da frate, infradito, canottiere e pantaloni corti. Noblesse oblige.

(Marco Grosso)