Ho sempre confidato in Valeria Sgarella. Stravedo per lei fin dall’uscita del suo primo libro su Andy Wood. Ho avuto conferma del suo talento nel successivo volume dedicato alla Sub Pop. Non conosco la sua guida alla città di Seattle, ma quando è uscita, durante il Covid, ho pensato che fosse il tassello perfetto per chiudere una trilogia. Poi ho scoperto che avrebbe pubblicato un libro sui Soundgarden per Tsunami e non sapevo bene cosa aspettarmi. Di sicuro Valeria sarebbe tornata a Seattle, come ogni volta che decide di scrivere un altro capitolo sul grunge; è da lì che riparte e fa bene. Tutto il grunge si riconduce a quella madre generosa.
Niente specchi in camerino, La storia dei Soundgarden non è “la storia dei Soundgarden” e basta. Intanto è una summa dei precedenti libri della Sgarella; anzi, quei tre titoli sono serviti per farle guadagnare il fiato e la muscolatura sufficienti a una grande impresa come questa qui.
Perché il suo nuovo libro è un’impresa ed è riuscita, secondo me. Con esso l’autrice compie lo scatto definitivo per essere una grande autrice, anche se lei non ci crede e pensa di dover mangiare “ancora tanti cereali sottomarca” prima di raggiungere il proprio massimo potenziale. “Non hai finito, Valeria, ma goditi questo risultato”.
Basterà che lo leggiate e vi accorgerete di lei, ne sentirete la voce, la percepirete al vostro fianco. Sarà una indiscreta guida dantesca nell’inferno, il purgatorio e il paradiso dei Soundgarden, attraversati non necessariamente in questo ordine.
A me personalmente, come ho detto anche a lei, non interessano i Soundgarden. Non sono un fan sfegatato della band. Li ho seguiti fino a Badmotorfinger. Comprai Superunknown ma lo passai a mia sorella dopo qualche ascolto. Quella cassetta la consumò lei, non io. Vidi in TV Black Hole Sun e me ne invaghii, ma questo non mi ricondusse al disco. Li lasciai andare, come quasi tutte le band nate come grunge, a partire dal 1994.
Non ho mai neanche sentito Down On The Upside e nemmeno King Animal, il disco della reunion. Eppure questo libro l’ho divorato in tre giorni. Se è successo è perché è scritto benissimo, in un preciso equilibrio che mette sullo stesso piano le vicende riguardanti il gruppo e tutto ciò che, vita, morte e (alcuni) miracoli, accadono intorno a esso. Se l’ho mangiato così avidamente è perché questo libro riguarda anche me.
Non sprofonda dentro alcuni aspetti, magari salienti, non si lascia risucchiare nalla tragica e misteriosa personalità di Cornell, non diventa il libro confessione di Kim Thayil, definito il filosofo della band, il quale insieme al batterista Matt Cameron, si è concesso generosamente per la realizzazione del volume.
Non si perde nel mistero dei testi, nei segni premonitori, nelle enigmatiche parole di Cornell biascicate dagli ultimi palchi anni prima del salto e non costruisce un’inchiesta rivelatrice piena di dietrologie da Quarto grado del rock. Tiene saldo il timone in quell’oceano di fatti, suggestioni, interpretazioni, tira dritto fino alla fine del tour 1996, quando la band arrivò a un tale livello di sbroccaggio, che fu impensabile tenerla ancora insieme per un altro disco.
Non solo, Valeria Sgarella ha fatto leva su Seattle per l’ispirazione, ma creando lei stessa un ponte culturale fino al paese a cui appartiene, vale a dire l’Italia, appoggiandosi su una rassegna stampa divertente e interessante su ciò che le “nostre” riviste scrivevano sui Soundgarden durante gli anni della loro ascesa, sia rievocando ogni loro concerto nella penisola, dimostrando così che tra la band e noi italiani, c’è sempre stato un rapporto particolare e a tratti persino fatale.
Le ho detto che quando leggo i suoi libri, ho l’impressione che lei racconti gli altri, ma stia raccontando anche se stessa. Qui non è un saggio storico, una inutile agiografia sulla band; per quello ci sono altri libri già pubblicati. Io sento che qui si parte fin dalle prime pagine, all’inseguimento di qualcosa.
C’è una tensione che cresce e cresce, è una corsa attraverso vecchi camerini, squat abbandonati, aerei in prima classe e alberghi silenziosi nelle foreste di Washington. Tutto questo spinge avanti il lettore come se stesse per precipitare verso una sorpresa, qualcosa che lo aspetta da così tanti anni. Una roba che al tempo in cui successe, lui poteva immaginare solo da una lontana provincia. Questo libro di Valeria è un saldarsi di due realtà lontane: quella dei luoghi e delle persone che vissero certi fatti e conobbero certe persone e quella dei ragazzi di allora che la sognarono soltanto. Lei è il medium tra passato e passato, tra presente e presente, tra cronaca e onirica.