Ho scoperto che, dove abito io, una valle montana in cima al Ticino, lo spazio che intercorre tra bere una birra durante una serata estiva e l’eviscerare un cadavere è estremamente sottile. L’altra sera la mia dolce cagnolina ha ceduto al suo istinto cacciatore, è scappata dal giardino e ha spezzato il collo a una delle galline del mio vicino. Dopo avergli fatto le mie scuse (che cazzo perché mi devo scusare io?) mi ha detto di tenere la gallina morta, in quanto non aveva nessuna voglia di sbarazzarsene. La cacciagione è parte integrante della nostra cultura e l’idea di buttare via la carcassa era inconcepibile, quindi malgrado la mancanza di voglia, eccomi lì a spennare, tagliare e rimuovere interiora, circondato dal disgusto generale (nel piatto non fa schifo a nessuno però).Beh, mentre tagliavo e sventravo, discutevo con il Padrecavallo riguardo al disco che avrei voluto recensire, e grazie anche ai suoi spunti, la situazione mi ha fatto riflettere sulla musica, la speranza, la morte e quelle cazzate lì. Ascolto musica per il 90% del mio tempo da sveglio (nel 10% restante, o sto cagando io o mia figlia) e mi piace l’idea di descrivere i dischi che ascolto attraverso paragoni o aneddoti che mi capitano nell’arco delle giornate, e questo disco che ho nelle orecchie da settimane è stata la colonna sonore perfetta per uno sporco, anche giusto, ma triste lavoro.
L’album in questione è Redemption dei CIEŃ (si, 15 min per trovare l’accento sulla N), uscito nel 2021; è il loro terzo. Sono attivi dal 2009, vengono dalla Polonia, dicono di suonare black metal e non avevo idea di chi fossero prima di sentire quest’ultima uscita.
Li ho scoperti cazzeggiando su bandcamp, cosa che faccio giornalmente, come una dipendenza, non alla ricerca della botta da oppiacei, ma della scarica di dopamina rilasciata col ritrovamento di un album che mi regali emozioni.
E le emozioni più intense per quanto mi riguarda sono quelle negative. La malinconia, la tristezza, la rabbia sono tra le emozioni che cerco nella musica e più sono forti, più le esorcizzo nella vita reale; il più delle volte non funziona, ma cazzo, è bello lo stesso, chiamatemi masochista se volete.
Ammetto di essere prevenuto quando leggo un tag che dice “Black Metal Polacco”, infatti ascoltata la prima traccia ciò che ho pensato è stato circa “porco il vescovo, ancora questi cazzo di Behemoth”… sapete cosa intendo: black metal poco, death tanto, suono grasso e pulito, growl da caverna (ma con tavolini di vetro e musica lounge) e via dicendo.
Ho controllato l’impulso di staccare e passare ad altro, ho concesso tempo alla traccia successiva, e… ne è valsa la pena. Tanto che ho comprato l’album e me lo sono sparato più volte negli ultimi giorni.
Con gli ascolti ripetuti ho capito che l’elemento che mi ha impedito di dimenticarmi di Redemption 2 minuti dopo l’ascolto della prima traccia è stato: la sofferenza. Questo album ne è pervaso. È un viaggio nella malinconia che diventa disperazione, poi rabbia, tristezza e ancora disperazione.
Mi direte: ok, niente di originale, esattamente come altre duemila uscite black metal. E avreste anche ragione, se non che: innanzitutto, che cazzo, dove vedete l’originalità, di questi tempi? Inoltre questo disco mi ha fatto riflettere. La sua gran forza, la stessa che durante l’ascolto mi faceva sentire 4 metri sottoterra a spaccarmi le unghie infilzate in pareti di legno, deriva dal fatto che Redemption non è un tappeto costante di aggressività, ma intercala parti violente e disperate con altre melodiche di un epica tristezza: vi si intravede la luce, ma questa ci viene subito strappata dalle mani per rispedirci nell’abisso con un calcio nella palle.
La vera disperazione non ci affranca dal bisogno di un appiglio: il desiderio di continuare a esistere, nonostante la montagna che ci sta seppellendo, è una molla che non smette di spingerci verso la luce, fino a quando il nostro corpo non cessa di essere.
Togliere la speranza dalle mani di un vivo, è quasi impossibile. Avere una mira così crudele è imperdonabile.
È stato così per quella gallina. Proprio il giorno prima l’avevo vista combattere e scampare all’attacco di un falco, ne girano parecchi di quegli stronzi. Era convinta di essere al sicuro, magari camminava impettita, piena di stima e fiducia in se stessa e nel mondo circostante (quanto può essere fiduciosa e ottimista una gallina) finendo all’improvviso con il collo spezzato dai denti del mio cane e poco dopo con la pancia aperta.
E voi pensate che per noi sia diverso?
CIEŃ vuol dire “ombra” in polacco (se frega qualcosa a qualcuno)
(Ste)