I Lubricant – Non ha mai detto bene al death ‘n’ Roll

Sarebbe interessante recuperare un po’ il discorso death ‘n’ roll. Per quel che mi riguardo ho sempre pensato che gli unici a praticarlo siano stati anche quelli che l’hanno ideato, vale a dire gli Entombed. Non mi è mai parso un fenomeno diffuso, con altri esponenti ed epigoni. Ogni tanto si giudica un certo riff come “death ‘n’ roll”, ma a renderlo tale era la presenza della voce cavernosa e il suono in tonalità più bassa, altrimenti un riff death ‘n’ roll è solo un riff hard rock, tolto da quel contesto d’insieme e infilato in due mortifere fette di pane.

Eppure ci sono state altre band intenzionate a esplorare quella direzione più diretta e leggera del death metal. Per esempio conoscete i Lubricant? Io per niente, li ho scoperti da poco. Sono finlandesi, o almeno spero lo siano ancora, avevano buone capacità di scrittura, sapevano suonare davvero. Se riascoltate le loro cose nei primi anni 90, vi sembreranno ancora molto cazzute e pimpanti, e in fondo parliamo di qualche demo ed EP, non hanno mai realizzato un disco completo, quindi è tutta una prospettiva di ciò che avrebbero potuto e “dovuto” essere, capite?

Però erano davvero in gamba e oggi, dopo anni e anni in cui il death ‘n’ roll si è infilato in così tanti pertugi da diventare tutto e niente, possiamo goderci le loro cose senza preoccuparci di quell’ennesima tendenza snaturante battezzata dagli Entombed con Wolverine Blues e paventata come molte altre succursali alternative che assediavano il sacro verbo tra il 1992 e il 1997.

Io ho sempre apprezzato molto questo snellirsi del vecchio death intorno a un paio di riff, sfruttati come si deve, invece di affastellare idee su idee, spalmandoci sopra la solita coltre di gutturalia e primitivismo cimiteriale. Mi piaceva l’idea di usare tutto ciò che si voleva e renderlo death. Almeno come ambizione mi suggestionava assai. Almeno ero contento che il genere, come esprimeva la dicitura “roll”, diventasse più ferale e slanciato, un tantino cazzone e ballerino. Ho solo visto male l’allontanamento, nel caso degli Entombed dalle tematiche horror ed esistenziali per qualcosa di più generalistico.

Nel caso dei Lubricant le liriche sono in stile Carcass. Penso sia il solo difetto che riscontro nelle loro cose. Sapete, questa tendenza a scippare dai manuali di anatomia descrizioni tecniche e farle diventare canzoni l’ho trovata sempre una cosa geniale, ma così specifica e legata a un gruppo particolare che la accetto solo in chi l’ha ideata. Altri gruppi che si sono limitati a copiarla senza aggiungere nulla, si sono dati la zappa sui piedi, secondo me.

A parte i testi su enfisemi polmonari, polpectomie e incisioni varie di purulami anatomici, Swallow the Symmetric Swab e soprattutto Nookleptia, usciti rispettivamente nel 1991 e nel 1992, (e poi entrambi ripubblicati in un solo album nel 2017, dal titolo Swallow This), sono ancora decisamente piacevoli da ascoltare. Sorprende che il gruppo sia andato a puttane poco dopo l’EP. Su Metal Shock Massignani parlò bene di loro ma annunciò che la pausa momentanea dovuta al servizio militare avrebbe potuto pesare sul loro futuro e così fu.

Anche quando il gruppo si è rimesso a far cose nel 2017, in occasione della pubblicazione di Swallow This, non è riuscito a dare un seguito alla propria discografia. Forse la band si è resa conto che ormai è tardi per riprendere creativamente quel discorso. Alla fine non ebbero il tempo di maturare un proprio discorso, almeno nei contenuti, anche se mostrarono da subito un bel potenziale.

La cosa mi ha fatto un po’ riflettere sul death metal in generale. Di tutti i generi musicali, ho sempre pensato che fosse il più scemo. Lo dico con affetto, sia chiaro. Ricordo che al tempo della sua esplosione era talmente al limite delle possibilità fisiche da suscitare più di un dubbio sul proprio futuro. Molti gruppi iniziarono pensando che non sarebbero durati più di due anni e che in fondo fosse solo una specie di scherzo. Era impossibile cantare in quel modo per dei tour veri senza farsi esplodere il cervello dagli occhi. Era disumano suonare il blast-beat per ore e ore ogni sera e non rischiare di non camminare più già a trent’anni, come un vecchio calciatore. Ci si sbagliava su questo. Suonare death metal ha raggiunto tali livelli di estremismo sportivo da far sembrare quei primi esempi come qualcosa di tranquillo, praticabile fino alla pensione.

Oggi pensiamo a un gruppo come i Lubricant e ci chiediamo come mai non abbiano trasformato quel loro bell’incipit in una carriera, senza accorgerci di quanto sia stato naturale proprio non farlo.

Il death metal, come tutto il rock, è sempre stato un tentativo di ribellione al mondo degli adulti. C’è chi l’ha fatto per prendere un po’ di tempo e chi l’ha voluto per tutta la vita. Ci sono un sacco di musicisti, anche estremi, che dopo qualche album e concerto, si sono messi a studiare, mollando la musica. Altri, come per esempio i Malevolent Creation, hanno reso questa loro vacanza dal mondo delle responsabilità e della ragionevolezza, una specie di eterno presente in cui alcuni di loro sono riusciti a far convivere i doveri genitoriali e le fughe intercontinentali sui palchi di mezzo mondo e altri hanno continuato a stonarsi d’erba, scrivere di accoltellamenti multipli, vivere di sussidi, di grandi antichi e vomitare le corde vocali dalla bocca fino a farsi venire un ictus, pur di non imboccare la via indicata dai propri genitori.

Tutto molto bello, ma anche un po’ triste. Immaginate un Peter Pan con la panza e la pappagorgia, che non entra più nella sua tutina e a fatica svolazza nel cielo. Immaginate Capitan Uncino, ormai mummificato, che fissa il vuoto dalle orbite nere, paralizzato come l’albero maestro sul pontile della nave piratesca, mentre l’eterno folletto lo implora di combattere. Io direi che il metal stia attraversando un po’ una fase così. L’aspetto dei nostri piccoli pan è deteriorato a livelli imbarazzanti, data l’età e la pessima alimentazione. Se si ascolta con attenzione, anche la musica che suonano sembra grassa e pelata, per lo più.