Ci voleva, ragazzi. Un’intervista bella comoda e a ritroso sul cammino degli Alligator. Magari non ho chiesto tutto quello che avreste voluto sapere, cari lettori, ma ho chiesto davvero tante cose e sia Gianluca che Killa mi hanno risposto con pazienza. Si è parlato degli anni 90, la scena di Milano, l’Italia metallara del 1993, la Last Scream Records, cosa voleva dire far thrash a Vigevano e dintorni a ridosso di Mani Pulite, la morte di Tiziano Colombi, i Kaoslord, la possibilità o meno di una reunion e molto, molto ancora. Non è vero, ma di solito alla fine del menù contenutistico si chiude con “molto, molto ancora”. Nella prima parte si affronta la storia del gruppo sul piano umano e musicale, si parla dei dischi, dei concerti e fatti vari. Nella seconda, resta in scena solo Gianluca per un ragionamento a ritroso sui testi, la storia compositiva di alcune canzoni e sul canto metal in Inglese negli anni 90. Godetevi l’intervista. Godetevi gli Alligator!
1 – Quando vi siete formati esisteva una vera e propria “scena” nel milanese o eravate tanti gruppi slegati, ognuno per la propria strada? Eravate in buoni rapporti con band tipo gli Extrema o i Bulldozer, vi aiutavate, eravate competitivi, vi ignoravate? Che ricordi hai di quegli anni lì e di quella Lombardia lì?
K – Noi arrivavamo da Vigevano e come tutte le realtà di provincia abbiamo dovuto faticare ancora di più rispetto ai gruppi che provenivano dalle grandi città, la scena di Milano poi è sempre stata molto selettiva da questo punto di vista: o eri dentro o eri fuori. Noi eravamo fuori ma nonostante tutto riuscivamo a suonare e a dire la nostra. Abbiamo comunque suonato e condiviso palchi con tutti i gruppi della scena di quegli anni, dai più conosciuti a quelli meno.
2 – Levami una curiosità, il nome del gruppo lo prendeste da un vecchio film horror anni 80 intitolato Alligator? Ve lo chiedo perché da bambino era uno dei miei film preferiti…
G – Ti devo purtroppo deludere, la scelta del nome è stata frutto di un piccolo conciliabolo tra una birra e l’altra tra di noi. Dovevamo prima o poi dare un nome alla band ma non volevamo allinearci con la moltitudine di nomi macabri allora in circolazione. In quel periodo ci piacevano gruppi crossover come S.O.D. e la botta di novità che gli Anthrax avevano dato allo stile musicale di metà degli anni ’80 con i loro ritmi hickup ed il loro apparire “leggero” sul palco. Non conoscendo ancora perfettamente quale sarebbe stato l’indirizzo dei nostri testi e delle nostre canzoni abbiamo preferito legare il nome a un animale “rude” ma anche simpatico e che si prestasse a diventare una mascotte nel caso. Ed ecco l’Alligatore (la prima nostra maglietta raffigurò infatti un alligatore con i bermuda intento a suonare una Flying V, cosa ti viene in mente? Scott Ian?)
3 – Capisco. No, figuratevi, non sono deluso. Mi rendo conto del genere di ispirazioni si potessero avere al momento. Dopo due anni, come quartetto, incideste e pubblicaste (immagino a vostre spese) il demo Bog Of Horror. Mi raccontate un po’ come andarono le cose?
K – Dopo due anni di sala prove incidemmo, ovviamente a nostre spese, il demo Bog of Horror. Ci credevamo tantissimo e devo dire che ottenne un grande successo. Mi ricordo che lo presentai in un intervista radiofonica con Marco Garavelli e quando finii avevamo ricevuto solo telefonicamente quasi settanta ordini (l’intervista durò venti minuti ). All’epoca non c’erano internet e i cellulari e i fans ordinavano il merch tramite posta tradizionale; spesso ci chiamavano sul fisso di casa, anche dall’estero. Il demo ottenne ottime recensioni e vendette circa 800 copie.
4 – Bog Of Horror per molti dei vostri ammiratori è ancora considerato quasi alla stregua dei tre album che lo seguirono. Come ti rapporti con quel nastro? Lo riascolti ogni tanto? Talvolta nei demo capita di catturare qualcosa che nei dischi non si ritrova più. Credi sia il caso del vostro demo?
K- Quando abbiamo registrato il demo io avevo diciassette anni. Al tempo si registrava su bobina e se la parte non veniva bene dovevi rifarla un sacco di volte, non abbiamo mai usato il clik. Ti dico questo perché si sentono ovviamente un sacco di imprecisioni e di “errori “. Tutto sommato, però, se lo riascoltassi oggi non andrei a nascondermi. Alcuni brani del demo, quelli venuti meglio, sono poi stati inseriti anche in Immortal Entity dopo essere stati remixati .
5 – Ecco, questa cosa risolve un mio dubbio. Pensavo le aveste reincise, quelle canzoni. Invece sono riprese dal demo e inserite nel disco con un differente mix. Bog Of Horror ha sorpreso parecchio le riviste, così come il vostro secondo album “Cerebral Implosion”. A dire il vero non avete smesso di sorprendere in bene il pubblico, fin da subito. E questo mi fa pensare che le aspettative generali, nei confronti di una band italiana che provava a darsi da fare con il thrash metal, tra la fine degli anni 80 e l’inizio degli anni 90, fossero molto basse, senza nulla togliere alle vostre indiscutibili qualità.
G – Diciamo che dare opinioni, a così grande distanza dalla pubblicazione, su un demo è molto difficile. Ormai siamo semplicemente fuori contesto. Vivevamo quegli anni in cui la musica metal era praticamente solo di importazione. In Italia vedevamo band come Strana Officina come inarrivabili. Il nostro principale obiettivo era quello di riuscire a dire “Ci siamo anche noi, ci proviamo”. Tecnicamente eravamo acerbi ma la voglia di esserci era davvero tanta e questo credo si sia percepito da subito.
6 – Parliamo del primo album, Immortal Entity. Qui la formazione è ancora a quattro. Nei crediti risulta Marco Boncristiano al mix e alle registrazioni. Non c’era un produttore, quindi. Faceste tutto da soli?
G – Beh, Immortal Entity è stato il nostro sogno che si avverava. Eravamo finalmente su vinile, incredibile. Ogni volta che lo riascolto torno indietro appunto di trent’anni e ricordo perfettamente la sera del primo ascolto insieme a tutti; non riuscivamo a parlare. Francesco in particolare aveva fatto un lavoro enorme su tutti i riff, anche quelli di basso. Sentite come lo picchia in sala di incisione! E nel disco venivano fuori tali a quel che volevamo. Il mio cantato era ancora molto immaturo, un po’ mi fa tenerezza oggi, ma tutto sommato vedevo che dal vivo impressionava positivamente. Gli assoli del Tiz erano stati un vero e proprio parto in sala di incisione maè stato troppo bello vedere la sua faccia compiaciuta nel riascoltarsi. Andrea poi era un metronomo, suonava di tutto allora, ma adorava il Metal e si sente.
7 – La Last Scream Records è stata l’etichetta che vi ha accompagnato lungo il vostro cammino in tre atti. Che rapporti avevate con loro? Al tempo misero sotto contratto diversi gruppi molto validi sul territorio italiano (Braindamage, Kaos Lord, voi). Eravate in buoni rapporti con le altre band della scuderia LSR?
G – Michele Bonasegla, fondatore della LSR è amico di una vita. Fu lui a iniziarmi al metal da ragazzini, è sempre stato appassionato di musica. Appena è balenata l’idea di buttarci nella produzione di un disco, Michele si è subito acceso e da lì è iniziato tutto, sia per noi che per LSR.
Sai comunque che, da sempre le indie devono lottare, sudare e perdere soldi, in genere, prima di portare a casa qualcosa, ma a Michele non è mai interessata la parte economica dell’avventura. Con le altre band siamo sempre stati in buoni rapporti e abbiamo condiviso concerti, talvolta anche le idee.
8 – Nel 1993 c’era il personaggio di Lorenzo il metallaro su Rai 3; gli In.Si.Dia firmavano un contratto con l’etichetta in cui stavano pure i Timoria; i Litfiba realizzarono il loro disco più “metal” e tra il Monsters Of Rock di Reggio Emilia e Sonoria, passando per un Concertone del Primo Maggio con gli Iron Maiden, era chiaro che l’Italia aveva ancora un sacco di metallari in giro. Andando indietro con i ricordi, all’inizio degli anni 90, cosa speravate di fare con gli Alligator? Di sfondare, andare all’estero? Ripensa a quei tempi: c’è stato un momento focalizzato nella tua memoria, in cui ci hai creduto sul serio?
G – Beh, il sogno c’era ma eravamo tutti ben ancorati per terra. Ci sarebbero stati comunque problemi di altro tipo (io lavoravo già, gli altri studiavano) e non credo che una carriera vera e propria potesse iniziare allora. Ti dico solo che un mini tour in Sardegna si arenò perchè nessuno di noi poteva assentarsi per due settimane da casa. Immagina un po’…
9 – Prima dell’uscita di Cerebral Implosion passa un po’ di tempo. Due anni che potrebbero essere una pausa troppo lunga per una band che vuol crescere e affermarsi, ma considerato che siamo in un territorio allora piuttosto complicato per le band metal, è già incredibile che siano usciti tre album in sei anni. Cosa successe tra il primo e il secondo disco? Servizio militare? Tour infiniti?
K – Semplicemente un sacco di prove, pezzi provinati e scartati, riarrangiati e perfezionati oltre all’attività live. Considera che tutti noi avevamo un altro lavoro, tranne me che studiavo ancora, e quindi per forza di cose bisognava incastrare la musica con la vita di tutti i giorni .
10 – Cerebral Implosion ha la formazione a cinque elementi. Perché sentiste il bisogno di liberare le mani al vostro vocalist?
G – Perché ero scarso al basso 😊.
11 – Ah, ok… L’album è praticamente il vostro definitivo capolavoro, quello che parecchi metallari di allora ricordano con profondo rispetto e suggestione. Le critiche raggiunsero livelli da montarsi la testa, ma come furono le vendite? Cambiò effettivamente qualcosa nella vostra vita di musicisti dopo il buon successo di quel disco?
G – Le vendite furono ottime ma pur sempre a livelli di etichette indipendenti. Col tempo LSR ha ottenuto le ristampe da alcuni indie/distributori stranieri ma di fatto mai, dico mai, siamo riusciti a pensare di campare con le vendite dei nostri dischi. Le critiche ricevute ci davano solamente grande fiducia e ci facevano capire che qualcosa potevamo dire con la nostra musica. Ci spingevano ad alzare l’asticella e proporre sempre qualcosa di più pensato, articolato.
11 – Nelle recensioni di Cerebral Implosion si fecero paragoni con i Sepultura e i Pantera, non solo per le influenze, ma anche per la qualità del prodotto in sé, considerata finalmente competitiva a livello internazionale. Vi aspettavate tutto questo tripudio di gente come Signorelli, Massignani?
K- Sinceramente ci speravamo. Eravamo consapevoli di aver realizzato un gran disco anche se con pochi mezzi e non ci sentivamo secondi a nessuno anche se rispettavamo tutti. A quel punto della nostra carriera avremmo forse potuto fare il salto ma ci sarebbe voluto qualcuno di più grosso dietro di noi, un po’ di coraggio e forse un pizzico di fortuna in più.
12 – L’album è ancora oggi molto potente, ma secondo me, paragonarlo a Pantera, Machine Head e Sepultura, toglie qualcosa al suo effettivo valore. Immagino di sfondare una porta aperta dicendovi così, sarete fieri di quel disco, però io penso che ci abbiate davvero messo del vostro, in senso che c’è una personalità ben definita e si sente, lì dentro. Ci sono intermezzi acustici con le tastiere e momenti più transitori, più difficili da inquadrare. Inoltre non c’è una cesura con il thrash anni 80. Non è un disco che guarda solo avanti.
K – Quando scrivi un album, se sei onesto con te stesso, attingi dagli ascolti che ti influenzano maggiormente in quel periodo cercando di dare coerenza alla cifra stilistica della band. Così facemmo noi. Se avessimo fatto un disco dopo Rules sarebbe stato un disco Stoner o giù di lì; il riff alla fine del disco (See Ya Later) sarebbe dovuto proprio essere un riff di un pezzo da inserire nel lavoro successivo.
13 – Quindi non pensavate assolutamente di finirla lì… Comunque, in Italia le cose iniziavano a girare per gli Extrema, i Sadist… Nel 1994-95 però il thrash americano e tedesco erano in crisi. Non avevate timore di essere penalizzati a prescindere da questo cambio di tendenze in quanto appartenenti al vecchio thrash, nonostante foste molto giovani e influenzati dalle nuove tendenze groove…
G – Bellissima domanda, mi mandi indietro di tanti anni. Ti dico questo. Francesco e io abbiamo mantenuto in piedi per anni Mariposa e Contempo Records proprio cercando di trovare i gruppettini, agli inizi come noi, all’interno di un mercato che proponeva davvero di tutto ma molto spesso “trash” e non Thrash.
Ma questo lavoro di ricerca ci ha fatto capire che non potevamo stare fermi su un cliché anni ’80 , dovevamo osare con qualcosa di “strano”.
Tutto ciò che non era riffone. strofa e ritornello, chorus e outro non era degno di essere etichettato Thrash in Italia.
Ebbene, chissenefrega, mettiamoci dei cambi, cantiamo con doppie voci, proviamo parti melodiche, facciamo una cosa riconoscibile ma nostra.
E così è stato ed ancora oggi è: alcuni nostri pezzi sembrano scritti poche settimane fa.
Stagnazione del Metal o nostra peculiarità? Questo lo devi dire tu 😊
14 – Rules del 1996, da quello che leggo oggi sul libro di Vitolo “Subterra”, non fu accolto benissimo. La vicinanza stilistica con i Pantera, molto più accentuata ma in parte frutto di una evoluzione naturale, vi condusse a livelli di aggressività più intensi rispetto agli inizi. Questo non piacque a pubblico e critica. Il paragone che Eduardo fa è con The Positive Preassure degli Extrema; anche quello attaccato per motivi simili. C’è però chi su voi scrisse che eravate addirittura finiti. Nel mentre voi due avevate avviato un altro progetto, i Septic Project.
K – I Septic Project erano unicamente un side project e soprattutto uno studio project, non si è mai parlato di fare dei live. Il disco è stato scritto da me e da Alberto Stagnoli, un grandissimo musicista/violinista Vigevanese; Gianluca si è occupato di registrare le voci.
Per quanto riguarda Rules invece, risente di influenze molto diverse rispetto al lavoro precedente. Quando ho scritto le prime cose che fecero parte di Bog Of Hero giovanissimo e ascoltavo quasi solo metal. In breve tempo però ho iniziato ad allargare i miei orizzonti musicali e quindi le composizioni di chitarra ne risentono già dal secondo album. Al tempo di Rules, gruppi come Biohazard, Corrosion of Conformity, Kyuss, Korn e Jesus Lizard erano (solo per citarne alcuni) i miei principali ascolti. Ricordo che in studio si lavorò molto bene ma ormai era evidente che io avevo altre necessità rispetto al resto del gruppo. Ero molto più giovane di loro e per me la musica era la priorità. Un giorno ne parlai con Gianluca e fu proprio lui a consigliarmi di creare un nuovo progetto in cui tutte le persone coinvolte fossero in sintonia da quel punto di vista. Invece gli Alligator, dopo circa un anno da Rules, si sciolsero. Avevo 21 anni. Ora ne ho 51, faccio ancora il musicista a tempo pieno e di lavori come chitarrista e autore ne ho pubblicati circa venti. Fu la scelta più onesta , per noi e per chi ci seguiva.
15 – So che Tiziano Colombi non c’è più. Me lo confermi? Su Encyclopedia Metallum non risulta. Me l’ha scritto un lettore di Sdangher come commento sotto a un articolo dedicato agli Alligator.
K – Purtroppo Tiziano è morto tragicamente qualche mese fa. La notizia, anche se non lo vedevo da diversi anni, mi ha scosso tantissimo. Lo ricordo come un ragazzo molto riservato e timido. Gli volevamo tutti molto bene. Faccio veramente fatica a parlarne.
16 – Immagino abbiate pensato di tornare in scena, di tanto in tanto. L’andazzo generale ormai è questo da diversi anni, al punto che le band che non si sono riunite sono meno di quelle che si sono riformate.
K – Onestamente non ho mai preso seriamente in considerazione la cosa. Dal mio punto di vista potrebbe essere una bella sfida ma sarebbe veramente come scalare una montagna in ciabatte. Una reunion avrebbe senso a mio parere solo se ci fosse del materiale nuovo su cui lavorare e la possibilità e volontà di fare delle date dal vivo. Personalmente sono sempre preso da altri progetti musicali e non credo che avrei l’energia e la coerenza artistica per scrivere un disco degli Alligator.
17 – Domanda spinosa. Ma è vero che i Kaoslord parteciparono al festival Foundation’s Forum a Los Angeles insieme a Sepultura e Machine Head? Essendo nella stessa casa discografica, non vi è un po’ “roduta” la cosa?
G – Sai che non me lo ricordavo nemmeno? Grandi loro! Non si può recriminare sulle abilità degli altri. Semplicemente erano molto bravi e hanno avuto la possibilità di saltare su quel carro.
18 – Che fine hanno fatto gli altri Alligator? Siete più in contatto?
K- Io e Gianluca siamo cugini di primo grado. Con gli altri i contatti si sono sfilacciati, l’affetto ovviamente no. Onestamente non so nemmeno cosa facciano di preciso in questo momento.
19 – Se un gruppo non esce più con un disco, non torna a fare qualche concerto, per la rete quasi non esiste. Non credete che la vostra eredità meriti una gestione diversa? In fondo quei quattro album sono ancora molto amati e ammirati. Il gruppo non è neanche sulle piattaforme streaming. Avete pensato di fare qualcosa a riguardo o dati i miseri guadagni delle band su Spotify, preferite che sia così?
G – Come detto prima, i guadagni non sono mai stati qualcosa di considerato, giuro. E oggi, con i numeri che il mercato offre, sarebbe solo un esercizio per dire “ci siamo anche noi”.
Mi piace più pensare che il progetto Alligator resti qualcosa di definito e puro come eravamo noi quando lo portavammo avanti. Cinque amici che suonavano insieme, nessun’altra pretesa se non far piacere a chi ascoltava. Davvero, il segreto è sempre stato tutti lì: la nostra semplicità, a volte quasi imbarazzante. Il fatto che ancora se ne parli, dopo trent’anni, vuol dire che qualcuno ha ricevuto il messaggio e ci guarda con un po’ di malinconia… come noi stessi del resto. (Gianluca Melino)
Appendice: Alligator – pensieri e parole
1 – Siamo sul finire degli anni 80, siamo italiani e vogliamo fare heavy metal. Thrash metal, nello specifico. I riff escono senza troppe difficoltà, abbiamo materiale fichissimo e suoniamo alla grande. Il problema però rimane uno: cosa dire? Come dirlo? In quale lingua? Tu Gianluca a chi ti sei ispirato? Scrivevi in italiano e poi facevi tradurre a un prof di Inglese in pensione? Improvvisavi alle prove in Inglese alla Lorenz e poi usavi le assonanze come ispirazione per le parole da inserire nei punti salienti delle melodie? Quale era il tuo metodo, insomma?
Non saprei dire precisamente il perché, forse è sempre legato al fatto che il metal arrivava quasi esclusivamente in inglese (anche se ho consumato Prefabriques dei Trust in francese in quegli anni!), ma io ho sempre pensato che i testi dovessero essere in Inglese e così è stato. E poi ci hai preso assolutamente: l’inglese alla Sordi era l’approccio. Se la metrica e il suono entravano nei riff, allora mi dedicavo a trovare le frasi concrete.
A volte se mi piaceva cosi tanto la frase “sordiana” o alla Lorenz che dir si voglia, chiedevo a Killa di cambiare il riff 😊
2 – Immortal Entity parla di un uomo che accoglie Satana nel proprio corpo ed è fiero di questa scelta. Non so perché mi avete fatto pensare al racconto Rawhead Rex di Clive Barker. Lo conosci? Secondo me quel brano è apparentemente un inno al demonio. Intanto Satana è inteso generalmente nel metal come la via dell’individualismo, della libertà di pensiero e del coraggio che ci vuole a percorrere le vie rifuggite da chi vive di preconcetti, ma la chiusa di quel brano sembra ammettere una specie di pentimento. Quando canti: Voglio solo chiudere gli occhi, voglio piangere…
Affronti una tematica difficile e “pericolosa” perché non è così facile oggi spiegare alcuni passaggi di quei testi a chi non comprende le tematiche Metal in genere. Quello che dici è senz’altro vero, nessuno di noi era satanista nel senso stretto del termine ma il male (bene?) e il nero sono presenti sempre nelle vite di ciascuno. Lo vuoi chiamare Satana, lo vuoi chiamare Dio, lo vuoi chiamare come preferisci in base alla tua coscienza. L’altra strada esiste sempre, in qualsiasi campo e aspetto della vita. Il testo specifico fu scritto da Killa e ricordo perfettamente che stava divorando parecchi libri di Stephen King e altri autori, quindi sì, direi che ci hai preso al 99,999%
Come del resto Dimagra era basato sull’ “Occhio del Male” (cit… un vecchio zingaro dal volto deturpato dal cancro tocca William mormorando Dimagra….)
3 – Cosa significa l’acronimo S.O.Y.F.A.S.?
Aahahah, finalmente! Nessuno ce l’ha mai chiesto in un’intervista ma i fan più curiosi conoscono già la risposta. Era il momento dei S.O.D, dei M.O.D. Quindi gli acronimi erano molto cool e quindi perché non scrivere un testo di sfanculamento universale e intitolarlo SIT ON YOUR FINGER AND SPIN?!
4 – Grandioso. A proposito di titoli, Lullaby For The Unborn come titolo mi piace tantissimo. A leggere il testo sembra una canzone contro l’aborto… Avevate una posizione così forte sul piano etico o è solo un racconto dell’orrore?
E’ la canzone a cui sono maggiormente legato, quella che secondo me è venuta meglio di tutto ciò che abbiamo prodotto. Era IL brano nuovo, diciamo il modello a cui volevamo tendere. Canzoni complicate ma facilmente identificabili. Stacchi e cambi repentini ma intuibili. Non il semplice esercizio tecnico/virtuoso di far vedere che suoni su paradiddle o metriche alla Steve Vai. Spero di essermi spiegato. Ricordo la sera che l’ho proposta.
In questa canzone è nata prima la metrica del cantato e le conseguenti strutture ritmiche. La musica vera e propria è venuta dopo (ricordo che andavo a lavorare con un Sony walkman e registravo in metro le parti vocali e musicali solo con la voce, una cosa che se trovassi quelle micro cassette mi verrebbe da piangere. Ma è stato quando il venerdì sera l’ho proposta agli altri che ho visto gli occhi brillare perché finalmente tutti erano chiamati a fare qualcosa di fuori dagli schemi, senza freni. Le chitarre ritmiche di Francesco, il povero Tiziano che in quel brano era finalmente eccitato dal mettere giù l’assolo, le parti di basso di Dario e il drumming di Andrea… E poi il cantato, le doppie voci, mi sentivo finalmente appagato per tutto quanto. E una volta che è uscito il CD e l’ho ascoltata, partendo subito da quel brano e non dall’inizio, è stato un pugno in faccia di cui sento ancora l’impronta addosso.
Anche oggi, quando capita di dire “sai, ero un cantante negli anni 90, senti qui..” faccio ascoltare Lullaby. Scusa la digressione , torno a bomba sul testo: si , incazzato nero contro l’aborto e le possibilità non date!
5 – Come vi è venuta in mente una cover di Help dei Beatles?
Mah, uno scherzo e un regalo al tempo stesso. Qualcosa di iper conosciuto, intoccabile, fatto a modo nostro. Dal vivo scatenava il pogo e abbiamo deciso di includerla nel CD.
6 – A cosa si ispira il brano Skeleton’s Beach? Io pensavo parlasse dello Sbarco in Normandia e de L’isola del tesoro di Stevenson. Non so perché…
Mmmh, non esattamente, a nulla che indichi e/o magari a tutto. Diciamo che è in linea con i tipi di testo di Anthrax, SOD, MOD (capisci le principali influenze di quei mesi?). Un testo non troppo serio, che parla di un’isola con degli scheletri abbastanza goffi che finiscono per non fare più cosi tanta paura.
7 – Drinking Milk From My Milk è un altro titolo meraviglioso… Ricordi il momento di frustrazione che ti fece venire in mente un pezzo del genere?
Guarda, è una traduzione volutamente forzata in inglese di un concetto che in inglese non esiste. “Mi fai venire il latte alle ginocchia”. Tutta una lista di posizioni e persone esasperate. L’estremismo insopportabile, i dogmi ecc. Tutto ciò fa venire il latte alle ginocchia e allora… bevilo!
Un po’ l’equivalente a Oxford di SUKA! 😊
8 – Mi parli del brano Rape? Da dove arriva?
Testo pesante, forse troppo (o forse troppo poco). Parla del concetto di occhio per occhio e di tutte quelle posizioni ipocrite, non necessariamente legate allo stupro, di chi si sente autorizzato a fare qualcosa al prossimo senza considerare le conseguenze sugli altri e su come si sentirebbe se qualcuno lo facesse a lui. Il resto era volutamente lasciato all’interpretazione di ognuno.
9 – Conosco i testi dei Pantera, li ho esaminati con attenzione, soprattutto quelli da Cowboys a Trendkill. I vostri non sembrano seguire la stessa direzione, però ho la sensazione che su Rules, l’ispirazione per le liriche sia cambiata.
Era finito il periodo “giocoso” e la fase dove gli scheletri che si rincorrevano sulla spiaggia. Avevamo voglia di brani più complicati, in senso ampio, come ti ho scritto prima. Abbiamo inciso in un grande studio e sapevamo che potevamo osare anche nelle soluzioni tecniche. Non avevamo più limiti fisici per la creatività. I testi erano più articolati e lunghi , si doveva dire di più e mi rendo conto di aver voluto “affrontare” i problemi piuttosto che girarci attorno come magari avevo fatto nei precedenti lavori. Ecco forse questa è l’evidenza maggiore che non fossimo più dei’ ragazzini.
In chiusura vorrei ringraziarti per le domande molto interessanti e intelligenti che ci hai posto. Ho risposto con davvero tanto piacere. Mi hai dato modo di ricordare un periodo davvero bello della mia vita. Gianluca.
Grazie a te e a Francesco per aver risposto con sincerità e buona disposizione a tutte le domande, senza neanche farmi aspettare molto.