Enchant – Pomp Rock o Non Progressive Rock?

Per parlare degli Enchant e del loro buon lavoro d’esordio, A Blueprint Of The World, bisogna prima specificare alcune cose. Anche se per Gianni Della Cioppa, quando li recensì nel 1994 erano da inserire nel filone mai compreso del tutto dai più, il pomp-rock, citando secondo lui Kansas, Genesis e un pizzico anche gli Warlord nelle parti più epiche e cadenzate, sono generalmente considerati progressive. Anzi, rientrano nella cosiddetta corrente NEO PROG.

Al tempo i Dream Theater avevano già raggiunto il successo e nel giro di un paio d’anni, molti gruppi, che col metal non avevano nulla a che fare, venivano comunque messi nello calderone assieme a Symphony X, Psychotic Waltz e altri. Il caso degli Enchant è rappresentativo. Non erano metallari, neanche nei momenti più aggressivi e in fondo, almeno all’inizio non erano nemmeno progressive, se con questa dicitura intendiamo non un gruppo che somigli a Rush o Queensryche, ma che esplori strade inedite e perigliose senza conoscerne la destinazione.

Gli Enchant non erano neanche pomp rock, perché le strutture ritmiche, come dice Della Cioppa (in perenne movimento) davano un passo costantemente proghettone, troppo per appartenere a un sotto-filone dell’arena rock che del progressive poteva esprimere giusto qualche svolazzo e non l’intero scheletro ritmico. Le melodie erano belle, aggraziate, molto vicine all’AOR anni 80 e certamente, ai Rush, ma più dei soliti schemi dispari in cui Ted Leonard le spezzettava per stare dietro alle digressioni e le sincopi ritmiche di Paul Craddick, non avveniva alcuna angosciosa parabola verso il buio. Mai.

Secondo me è un po’ il sentiero dal pratino tagliato corto che batterono i Fates Warning tra Parallels e Inside Out. C’è qualche reminiscenza di Empire dei Ryche, soprattutto nei soli di Douglas A. Ott ,ma in generale è solo un bell’album di hard rock melodico dall’approccio sofisticato e complesso. Se vogliamo chiamarlo progressive rock solo per gli stacchi dispari di Oasis e At Death’s Door o per la lunghezza dei brani come la suggestiva Acquaintance, va bene, ma per me non lo è.

Sicuramente nel 1993, data di prima pubblicazione dell’album, poi arrivato in Italia quasi un anno dopo per la Orcam Circle (così è scritto su Metal Shock, anche se dovrebbe essere Dream Circle), con tutto quel profluvio di band alternative, estremismi più o meno situazionistici, sperimentazioni elettroniche e abiure di molti gruppi al metal e all’hard rock tradizionale, sicuramente nel 1993, dicevo, un lavoro come A Blueprint Of The World era davvero un piacevole diversivo per i nostalgici, gli smarriti, gli scettici in cerca di un po’ di buona musica che non riservi brutte sorprese. Capite perché quindi non possiamo parlare di prog? Sarebbe una contraddizione in termini, un ossimoro. Perché il Neo Prog, se gli Enchant sono tali, è conservatore e una cosa chiamata progressiva, non può guardare al passato o rimanere sul già sentito, vissuto, sperimentato.

A me piace, sia chiaro. Lo riascolto con un senso di placida malinconia, mentre calpesto le foglie secche in terra e respiro a pieno l’odore dei tini, nel meriggio che si muore e la nebbia, il maestrale e tutta la banda.

Oggi l’album non suona nemmeno datato, proprio perché al tempo non si rapportò a nessuna tendenza vigente. Avrebbe potuto uscire due o tre anni prima, quando ancora i Nirvana faticavano a stare in piedi e la SubPop gli raccontava un sacco di balle per non farli andar via. Oppure poteva uscire dieci anni dopo, quando l’attitudine al progressive revivalistico e senza idee dilagava tra Europa, America e Russia, sfoggiato prima di tutti proprio dai NEO Dream Theater.

A Blueprint Of The World ebbe una lavorazione travagliata. Iniziò con un produttore (Paul A Schmidt) e finì con un altro (Steve Rothery dei Merillion). Uscì ottenendo un buon riscontro e determinando il passaggio del gruppo alla InsideOut. Nonostante l’affetto per il proprio esordio, gli Enchent non sono felici di come uscirono le registrazioni.