Rick Rubin – Il libro deludente per il guru della produzione

Il libro su Rick Rubin, scritto da Jake Brown e pubblicato in Italia da Tsunami nel 2011, è una delusione. Costa troppo, 18,50 e non vale granché. Vi spiegherò per quali ragioni, SECONDO ME, sia meglio che risparmiate i vostri soldi. Intanto facciamo il punto sul soggetto. Non credo, a parte Phil Spector esista un produttore più anticonvenzionale, geniale e intrigante di Rick Rubin. Ha avuto tanto successo, ha contribuito al successo di numerosi gruppi, ha rilanciato artisti mezzi sepolti ancora vivi, ha fatto rinascere i Metallica…

No, lo so, questa non è vera. Con i Metallica la magia non gli è proprio riuscita. E ci sono tanti artisti che hanno lavorato con Rick e non ne hanno tratto chissà quale esperienza magica, divinante, epifanica. Inoltre Rubin di oggi o quello di dieci anni fa, non è il medesimo degli anni dei Beastie Boys i degli Slayer. Il libro di Brown non sembra porsi la questione, però. Analizza il percorso discografico del produttore come se ogni tassello fosse un piccolo grande miracolo di nascita creativa, indipendentemente da chi sia l’artista in questione: Linkin Park, Johnny Cash, Red Hot Chili Peppers, Metallica o Black Sabbath.

I suoi metodi sono particolari. Lui arriva, si sdraia su un divano soffice o quel che è, ascolta, dice che va bene e se ne torna da dove è venuto. Non è tutto così, chiaramente, ma la modalità del guru, ispirato da qualcosa di imponderabile, che dice cosa fare ai suoi clienti/adepti, senza spiegarne le ragioni, semplicemente perché lui dentro sa che è così e non sbaglia mai, è una roba che rasenta il ridicolo.

Il libro non pone mai in discussione questo aspetto. Inoltre non presenta dichiarazioni inedite di nessuno. Non lo dico perché avere delle interviste apposit sia un arricchimento, dipende sempre da cosa si ricava. Lo dico perché il materiale a cui Brown attinge è davvero insignificante. Tanta roba che non dice nulla di onesto. Quelle riportate non sono dichiarazioni a posteriori, a distanza di anni, quando uno può dire davvero, o per aver guadagnato un certo distacco o perché non è più il momento della promozione, come sono andate le cose.

Le frasi di tutti gli artisti e del produttore sono desunte da Rolling Stone e altre rivistone pop che vanno per la maggiore, durante la fase di promozione. Cosa vuoi che dicano i Linkin Park o i Metallica, all’uscita del disco nuovo che ti stanno vendendo? Cosa dovrebbero raccontarti su come sono andate le cose con Rubin in studio? Che è stato tutto grandioso, una magia continua, abbiamo capito chi siamo eccetera eccetera. E questo cosa ci comunica, a parte che Rick con la cappella grande così e che sa prenderci sempre, anche se nemmeno lui sa davvero come faccia?

Chiaramente la costante delle dichiarazioni di molti artisti che hanno lavorato con Rubin e lo raccontano a Vanity Fair è la stessa: sembrano più usciti da una terapia di gruppo andata a buon fine che dalla realizzazione di un disco. La cosa può anche essere vista come una prova delle qualità di Rubin, ma dobbiamo anche valutare i risultati, non sempre positivi per tutti.

Solo che nel libro di Brown è tutto un successo. E i risultati si misurano con le vendite e con i premi ricevuti da MTV o qualche altra corporazione dello spettacolo. Il libro perde tante occasioni, non solo per sondare criticamente il mistero Rick Rubin, invece di decantarlo con una sfilza di affermazioni interessate, ma anche di approfondire le questioni della creatività e dei metodi per ottenerla, dell’evoluzione del mercato discografico degli ultimi quarant’anni e la crisi attuale, gravissima e in apparenza irredimibile, almeno nel campo del rock.

Dopo la metà del libro, quando si capisce che sarà tutto un elogio ininterrotto del miracoloso Rubin, si fatica a tirare avanti. Basta andare sulla pagina di Wikipedia per rendersi conto che non tutto quello che il barbuto orsacchiottone ha fatto luccica. Perché non inserire almeno un “divertente” capitolo su chi non è uscito soddisfatto dai dischi “terapeutici” di Rubin? Perché non aggiungere una controparte un po’ meno esaltata e riconoscente verso di lui?

Rubin fa una specie di rituale intorno ai dischi, una messa, una “gurata” pagata salatissima dai gruppi. Ci si sorprende che anche gente molto coerente come Kerry King abbia creduto al lavoro del producer, per molti anni. Per quanto poi abbia dichiarato una volta “ma cosa credi che faccia? Nulla. Arriva, ascolta e poi non si fa vedere per settimane”.