Nella storia della musica possiamo individuare tre grandi movimenti, o meglio “onde” che hanno interessato il progressive: quello degli anni ‘70, la seconda del neo prog anni ‘80 e la terza, ma non meno importante, che ha attraversato gli anni ‘90. Se le prime due sono state principalmente patrimonio dell’Inghilterra, la terza si è spostata oltreoceano, ibridando la matrice europea a sensibilità tipicamente made in USA, culturalmente e stilisticamente diversa da quelle del vecchio continente.

La “Third Wave” vede come esponenti di spicco Echolyn, Magellan, Shadow Gallery, Spock’s Beard, Enchant, Cairo, Tiles, e persino formazioni con legami più AOR come i World Trade, ma anche band più atipiche, vale a dire gli Psychotic Waltz, che hanno contribuito a definire un suono che, pur radicandosi nella tradizione del prog classico britannico degli anni ’70 (Yes, Genesis, Gentle Giant, King Crimson) e americano (Kansas), se ne distaccava per incorporare influenze più moderne, un approccio tecnico spesso spinto all’estremo e una sensibilità distintamente americana.
Gli anni ’80 avevano visto un declino della popolarità mainstream del progressive rock classico.
L’avvento del punk, della new wave e del pop elettronico aveva spostato l’attenzione del grande pubblico verso forme musicali più dirette e immediate.
Tuttavia, il seme del prog non era morto.
Nel Regno Unito, la scena “Neo-Prog” (Marillion, IQ, Pendragon) manteneva viva la fiamma, seppur con un suono spesso più melodico e accessibile rispetto ai predecessori.
In un periodo dominato dal grunge, dall’alternative rock e dal pop più commerciale, che sbancavano le classifiche, questi nuovi gruppi prog americani si trovarono quindi a operare in un contesto di sostanziale indifferenza da parte dell’industria musicale mainstream.
La loro esistenza fu resa possibile da etichette specializzate (Magna Carta, InsideOut, Radiant Records), da appassionati fedeli e dalla nascita di Internet, strumento cruciale nella comunicazione e diffusione alle masse di qualsivoglia cosa.
A mio avviso questa “Terza Onda” americana ha rappresentato un tentativo consapevole di recuperare la complessità e l’ambizione della “Prima Onda” (il prog classico degli anni ’70), ma filtrandola attraverso le lenti della modernità e del contesto americano.
A differenza dei loro predecessori più celebrati, queste band attingevano frequentemente e senza remore alla potenza e alla precisione del metal, un genere che negli USA aveva una forte tradizione tecnica, che ormai aveva attecchito prepotentemente nel DNA di molti musicisti.
Rispetto alla “Seconda Onda” del Neo-Prog britannico, spesso percepita come una semplificazione o un “addolcimento” del sound classico, gli americani sembravano voler rilanciare proprio sulla complessità tecnica e strutturale.
Non cercavano necessariamente la hit radiofonica che alcuni gruppi Neo-Prog rincorrevano speranzosi, ma l’ammirazione di una nicchia esigente per la perizia strumentale e la profondità compositiva.
C’era una sorta di orgoglio nel padroneggiare lo strumento e la forma complessa, forse anche come reazione all’estetica più grezza del grunge dominante.

Era meno un “revival” nostalgico e più una “rielaborazione” potente e aggiornata.
Elementi come le lunghe suite, i tempi dispari, il virtuosismo strumentale (chitarre metal/fusion, tastiere sinfoniche/moderne, sezioni ritmiche intricate), le armonie vocali complesse (Echolyn, Spock’s Beard) o potenti (Shadow Gallery, Enchant), e la fusione di influenze (metal, fusion, classica, AOR) ne definiscono chiaramente il suono. La produzione moderna e pulita differenzia ulteriormente questo periodo da quello degli anni ’70.
Etichette come la Magna Carta che potevano sostenere a livello economico e promozionale un roster così ampio di band tecnicamente complesse, (includendo anche nomi internazionali affini come Lemur Voice o Ice Age) dimostrava l’esistenza di un mercato di nicchia solido e ricettivo, disposto a investire in musica che richiedeva attenzione e dedizione.
La comunità non era solo virtuale; eventi come il Progfest (organizzato a Los Angeles dal 1993) e il NEARfest (dal 1999 sulla East Coast) divennero crocevia fondamentali per band e fan, cementando il senso di appartenenza a una scena viva e pulsante nonostante l’isolamento mainstream, che guardava in altre direzioni. L’interconnessione della scena è evidente anche nei musicisti coinvolti.
Neal Morse (Spock’s Beard) diventerà figura centrale anche nei Transatlantic. Mike Portnoy (Dream Theater) sarà anch’egli nei Transatlantic e nei Liquid Tension Experiment (progetto strumentale di fine anni ’90 con altri membri dei DT e Tony Levin, che spinse il virtuosismo a livelli estremi).
Ted Leonard (Enchant) collaborerà poi con Spock’s Beard e altri. Trent Gardner (Magellan) orchestrò diversi “tribute album” per Magna Carta coinvolgendo molti musicisti della scena.
Proprio questo fenomeno di album omaggio dedicati a grandi band prog anni ’70 e ’80 fu un fenomeno circoscritto nel tempo, ma di grande prolificità: che “intasò” il mercato, saturandolo, con tanti, troppi lavori che a bocce ferme forse sarebbe stato meglio fossero meno e più centellinati.
Il lato positivo indubbiamente è stata la sinergia tra tutti questi musicisti, che mescolandosi in line-up estemporanee ed eterogenee, staccate dalle rispettive band, hanno potuto poi collaborare in seguito su progetti paralleli ibridi di grande valore.
A tal proposito vanno citati gli Explorers Club, i Qango e i Transatlantic. Molte delle figure emerse in questo periodo frenetico e prolifico sono rimaste protagoniste centrali anche ai giorni nostri; si pensi all’iperattività di Neal Morse, Mike Portnoy, o a Billy Sherwood (World Trade), che entrò negli Yes, creando un ponte diretto con la generazione precedente.

Capitolo incredibile di questo movimento e mai troppo ricordato, a cui ogni amante della musica dovrebbe dire grazie, è il progetto Gordian Knot, ideato da Sean Malone, bassista dei Cynic, che letteralmente è stato un “crossover globale” tra mostri sacri prog del passato come Steve Hackett, Bill Bruford, Trey Gunn, prog metallers come Ron Jarzombek (Watchtower), John Myung (Dream Theater), Jim Matheos (Fates Warning) e musicisti più eclettici, come Adan Levy (chitarrista di Norah Jones) e Sonya Linn.
A livello puramente musicale, il “core” risiede nella sua complessità strutturale e nell’elevato tasso tecnico richiesto agli esecutori. Le lunghe suite articolate in più movimenti, tipiche del prog classico, ritornano frequentemente.
Le strutture delle canzoni sono spesso non lineari, abbandonando la forma strofa-ritornello-strofa in favore di sviluppi tematici complessi, sezioni strumentali elaborate e frequenti cambi di atmosfera e dinamica.
L’uso di tempi dispari (5/4, 7/8, 11/8, etc.) e poliritmie (la sovrapposizione di ritmi diversi) è una costante, creando paesaggi ritmici intricati. Le chitarre spaziano da arpeggi cristallini a riff potenti e distorti, spesso di derivazione metal (Shadow Gallery, Magellan) o hard rock (Tiles), con assoli veloci e tecnicamente impeccabili (un marchio di fabbrica di Doug Ott degli Enchant, ad esempio).

Le tastiere giocano un ruolo fondamentale, fornendo tappeti orchestrali (particolarmente evidenti nel sound sinfonico dei Cairo, molto influenzati da ELP e UK), contrappunti complessi, assoli virtuosistici (spesso su sintetizzatori moderni, ma senza disdegnare il classico suono dell’organo Hammond o del Mellotron, ampiamente usati da Spock’s Beard).
La sezione ritmica (basso e batteria) è estremamente dinamica e complessa, fondamentale nel definire le intricate trame ritmiche. Nonostante la complessità, molte band di questa scena mantengono un forte senso melodico. Le linee vocali sono spesso curate, talvolta con elaborate armonie a più voci che richiamano Gentle Giant o Yes ( Gli Echolyn ne sono un esempio maestro).
L’armonia può essere densa, con accordi complessi, modulazioni ardite e l’uso del contrappunto (la sovrapposizione di linee melodiche indipendenti). Altre band come gli Enchant riescono a bilanciare la complessità strumentale con linee vocali immediate e memorabili, guidate dalla voce distintiva di Ted Leonard.
L’impatto del progressive metal è innegabile in band come Shadow Gallery e Magellan. I Tiles, da Detroit, mostrano una forte influenza dell’hard rock progressivo alla Rush, con un suono potente e diretto ma tecnicamente elaborato.
Si possono trovare echi di fusion, rock alternativo (Echolyn), musica classica (nelle orchestrazioni dei Cairo e Magellan) ed elementi AOR/Melodic Rock (nelle melodie di Shadow Gallery, Enchant e nei lavori dei World Trade di Billy Sherwood, che fondevano ambizioni prog con un sound più radiofonico.

Il suono è generalmente più moderno e pulito rispetto al prog degli anni ’70. Le produzioni sono spesso curate e mettono in risalto la perizia tecnica e la complessità degli arrangiamenti.
La “Third Wave” direttamente o indirettamente, ha influenzato una nuova generazione di band americane (come The Dear Hunter, Coheed and Cambria per certi versi, o band più heavy come Between the Buried and Me) e internazionali.
Il pubblico coltivato da questa scena negli anni ’90 è stato fondamentale per il successo di band europee negli USA, (come Porcupine Tree, Opeth, Pain of Salvation, The Flower Kings).
Se il progressive rock ha proseguito la sua corsa instancabile senza mai mostrare segni di cedimento, lo deve per un terzo a questo manipolo americano, ancora una volta sopravvivendo a generi più “dirompenti” (punk prima ondata, metal seconda ondata, grunge la terza ondata), reagendo, resistendo, reinventandosi.
La tenacia e la voglia di continuare a esistere passa anche per il Grande Continente e per quello che mi riguarda, solo per questa volta, lo slogan “Let’s make America great again” ha un suo perché.