Per parlare di questa band a mio avviso straordinaria, bisogna citare un detto delle mie terre di origine, quello della cosiddetta “Bella di Torriglia”, una figura leggendaria e popolare legata alla cittadina omonima, nel genovese. Secondo un’antica filastrocca, è colei che “tutti la vogliono, ma nessuno la piglia” (in genovese: “A l’é a bella de Torriggia: tutti a vêuan e nisciûn s’a piggia”). La locuzione è divenuta un modo comune per indicare qualcosa di molto ambito solo in apparenza, quando nella realtà è tutt’altra cosa. Sottovalutati eternamente, vittime del famoso “respect” (ovvero riconoscere in modo formale la grandeur, ma poi fottersene all’atto pratico), i Cynic hanno raccolto davvero pochissimo in rapporto al loro valore.
Per me non sono semplicemente una band; sono un fenomeno mistico, un’esplorazione sonora arditissima che affonda le radici nel death metal tecnico per poi fiorire in un ibrido di jazz fusion, progressive rock, ambient, metal estremo con una spiritualità profondamente radicata e sincera. La loro musica è un dedalo di ritmi intricati, armonie inaspettate e melodie eteree, atmosfere rarefatte, malinconia palpabile.
Nati dalle ceneri della scena death metal floridiana dei primi anni ’90, con membri che hanno contribuito a pietre miliari come Human dei Death, i Cynic hanno sempre percorso una strada impervia, un sentiero di evoluzione e sperimentazione continua, incessante, che li ha portati a creare un corpus di opere immensamente significativo.
Già il debutto Focus è un’esplosione di innovazione e tecnica, inaudito per il suo tempo. La formazione, con Paul Masvidal alla chitarra e voce, Sean Reinert alla batteria (entrambi ex-sapete di quale band), Jason Gobel alla chitarra e Sean Malone al basso, ha una chimica e un’amalgama che raramente si possono riscontrare in un gruppo metal; la somma delle parti non si addiziona, ma eleva alla massima potenza il collettivo.
La tecnica esecutiva è sbalorditiva.
I riff di chitarra di Masvidal e Gobel sono un intrico di tapping armonico, accordi complessi e ritmi sincopati che sfidano ogni convenzione del genere.
La batteria di Reinert è una lezione di poliritmia e precisione, con pattern intricati e un uso dinamico dei piatti che aggiungono una profondità jazzistica al suono.
Il basso di Malone, pur ancorato alla base ritmica, si avventura in linee melodiche e complesse.
Brani come Veil of Maya, Celestial Voyage e la title track, sono esempi perfetti di come la band riesca a integrare sezioni feroci e tecnicamente impegnative a passaggi più atmosferici e melodici.
Le strutture sono tutt’altro che convenzionali, con cambi di tempo e dinamica che mantengono l’ascoltatore costantemente impegnato.
I testi segnano un allontanamento dai temi tipici del death metal (morte, violenza, oscurità), esplorando invece concetti filosofici, spesso usando un linguaggio criptico e metaforico.
Troppo avanti per tutti, forse anche per sé stessi, l’album non fu compreso e non vendette granché, decretando lo scioglimento, lo sconforto e la delusione dei musicisti coinvolti.
Un lungo silenzio “cinico”, in cui ognuno si dedicò ad altro; progetti di caratura comunque elevatissima come Portal, Gordian Knot e Æon Spoke. Tutte cose che non sono certo ascese nelle charts e che non hanno minimamente scalfito “il gusto medio del metallaro medio”, che alle raffinatezze preferisce l’assalto all’arma bianca.
De gustibus.
Questo periodo catartico e riflessivo non fu però improduttivo per i Cynic; anzi, sembra aver alimentato una profonda evoluzione interiore che si sarebbe manifestata nel loro ritorno.
Traced in Air nel 2008 è un album che segnò una significativa evoluzione nel loro suono. Pur mantenendo la loro complessità tecnica, l’album si spostò verso un’atmosfera più eterea e melodica, con una maggiore enfasi sulle armonie vocali e un songwriting più coeso.
La tecnica rimane di altissimo livello, ma ora è al servizio di un songwriting più maturo e focalizzato.
I riff di chitarra sono ancora intricati, ma con una maggiore attenzione alla melodia e all’armonia.
La batteria di Reinert è sempre fenomenale, ma con un approccio più dinamico e meno dedito alla pura velocità.
L’aggiunta di Robin Zielhorst al basso e Tymon Kruidenier alla seconda chitarra ha arricchito il suono della band.
Le influenze di Traced in Air spaziano dal jazz fusion (Weather Report, Pat Metheny) al progressive rock (King Crimson) e a sonorità più atmosferiche e psichedeliche.
L’album segna un punto di svolta per i Cynic, dimostrando la loro capacità di evolvere e di incorporare nuove influenze senza perdere la loro identità unica.
Anche il comparto lirico si espande: i temi spirituali e filosofici divengono più complessi, profondi, con un linguaggio ancora più poetico e metaforico. Il disco fu ben accolto dalla critica, meno dal pubblico a onor del vero, creandosi una nicchia piccola e teporosa, in anni in cui la frammentazione impazzita a schegge taglienti ma microscopiche non poteva certo riportare un progetto come questo a numeri di rilievo.
Nonostante tutto, il morale dei Cynic è abbastanza alto per non farli ricadere nelle crisi esistenziali del passato, così da stimolarli a continuare a incidere album. Per fortuna, dico io. Con più calma, più maturi come persone e con la lucidità per non farsi travolgere da un music business profondamente cambiato.
Sapendo che con i Cynic non avrebbero fatto i milioni di dollari, sei anni dopo si ripresentano con un nuovo lavoro, ovvero Kindly Bent to Free Us. Esso rappresenta un ulteriore passo nel percorso evolutivo, caratterizzato da un suono ancora più atmosferico e contemplativo, più una maggiore enfasi sulle dinamiche e sulle trame sonore.
La tecnica è sempre presente, ma è ancora più integrata nel songwriting. I riff di chitarra sono meno focalizzati sulla pura complessità e più sull’armonia e sulla creazione di atmosfere.
La batteria di Reinert è sublime, con un uso magistrale delle dinamiche e dei silenzi. Il basso di Sean Malone (rientrato alla base) aggiunge una profondità melodica e ritmica essenziale al suono. Le influenze di Kindly Bent to Free Us si spostano verso sonorità ancora più progressive e atmosferiche, con echi di band come Talk Talk e Radiohead, pur mantenendo le radici jazz fusion e metal.
I brani fluiscono in modo naturale, con transizioni fluide e una sensazione di unità, raggiungendo una padronanza del proprio suono, creando un’esperienza d’ascolto immersiva e trascendente, che necessita una dedizione, calma e tranquillità estremamente dedicate e non un ascolto “one shot one kill”.
Ancora lunghe pause, ancora un approccio “zen” alla composizione e sette anni dopo, a dispetto di tanti rumors sul presunto scioglimento, il “daimon” ritorna a manifestarsi.
Dopo un periodo segnato dalla tragica scomparsa di Sean Reinert e Sean Malone, il coming out dell’essere gay di Masvidal (e Reinert) e il relativo peso di subire discriminazioni da parte di individui disgustosi, il sopravvissuto Paul riporta in vita i Cynic ancora una volta con Ascension Codes, un album che segna un ritorno a sonorità più complesse e sperimentali, pur mantenendo l’evoluzione melodica degli album precedenti.
Nuova formazione, traumi profondi da risolvere, compensazioni emotive per superare l’ineluttabilità del fato, questo lavoro è una medicina spirituale del chitarrista e cantante trasmutata in musica; una condivisione con il suo pubblico che lo ha aiutato a uscire dalle malmostose paludi delle avversità.
La tecnica in Ascension Codes è nuovamente in primo piano, con riff di chitarra intricati, ritmi complessi e un uso massiccio di elettronica e sintetizzatori. La batteria, affidata a Matt Lynch, è potente e precisa, onorando l’eredità di Reinert ma portando anche un tocco personale.
L’album vede il ritorno di Jason Gobel alla chitarra in alcune tracce. Il songwriting è il più ambizioso e stratificato della loro carriera. I brani sono spesso lunghi e complessi, con molteplici sezioni e un uso audace di elementi elettronici e ambientali.
L’album crea un’atmosfera cosmica e trascendente, invitando l’ascoltatore a un viaggio interstellare che ha un origine ma che non ha una fine. Si aggiungono nuove influenze, che sono le più eclettiche della loro discografia, spaziando dai Meshuggah e Opeth, al krautrock (Tangerine Dream, Klaus Schulze) e alla musica elettronica sperimentale.
La loro evoluzione da un death metal tecnico e brutale a un ibrido complesso e spiritualmente consapevole è una testimonianza della loro incessante ricerca artistica e della loro profonda sensibilità.
Ogni album dei Cynic è un capitolo di un viaggio interiore ed esteriore, un’esplorazione delle complessità dell’esistenza e della ricerca di un significato più profondo. Sperando che tutti gli ostacoli non inficino un’ulteriore produzione discografica, personalmente sono grato ai Cynic per aver dimostrato grande tenacia, spirito forte e per aver esorcizzato tutte le sofferenze traducendole in dischi meravigliosi.
La loro musica è un invito alla consapevolezza, un’esortazione a guardare oltre le illusioni del mondo materiale e a connettersi con la nostra vera natura. Ci ricordano che il metal può essere molto più di un semplice intrattenimento; può essere un veicolo per la trascendenza, un portale verso la comprensione e un’esperienza mistica che risuona nelle profondità del nostro essere.
Non è per tutti questa musica, certo, ma potrebbe esserlo per molti di più di chi effettivamente segue ancora la band. Arthur Schopenhauer nella propria filosofia dice del “Velo di Maya” che “la vita è sogno e questo “sognare” è innato (quindi la nostra unica “realtà”) e obbedisce a precise regole, valide per tutti e insite nei nostri schemi conoscitivi”. Con questa massima io mi congedo e vi invito a provare, ritentare o scoprire i Cynic.