Negli Stati Uniti il 12 Ottobre è stato celebrato per anni come il giorno in cui Colombo ha “scoperto” l’ America: la famosa festa del Columbus Day. In tutte la città con una forte comunità Italiana era quindi l’occasione per festeggiamenti, parate e commemorazioni dal fortissimo impatto che generazioni di nostri connazionali hanno avuto sul suolo Americano.
Dapprima come brutale “workforce”, poi via via siamo diventati Artigianato e Piccola imprenditoria, poi grandi nomi dello spettacolo, operatori finanziari, mostri sacri dello sport, e per finire grandi ricercatori universitari.
Da qualche anno però molti Stati e città hanno deciso che celebrare l’immagine di Colombo sarebbe come voler celebrare secoli di colonialismo violento, glorificando il genocidio e ignorando la voce di chi ha subito le conseguenze di conquiste mascherate da esplorazioni. Per porre rimedio a secoli di ingiustizie si è adottato quindi il solito ipocrita espediente di armarsi di bianchetto e cambiare il nome della festa in Indigenous People’s day, oppure Heritage Month, a seconda della città.
Come succede in questi casi, istanze che partono da motivazioni sacrosante si risolvono in atti puramente formali. Cancellare un nome non riscrive la Storia, semmai la impoverisce.
Eliminare figure del passato crea un racconto unilaterale che non tiene in considerazione le contraddizioni e la pluralità di opinioni. Il prossimo passo potrebbe essere cambiare la toponomastica di tutti i Viale Giulio Cesare del mondo.
Movimenti di pensiero simili emergono ultimamente anche in Australia e riguardano la giornata del 26 gennaio, in cui si commemora il primo sbarco della flotta Inglese a Sidney (allora Port Jackson) nel 1788. Attivisti e comunità indigene premono per far cambiare il nome della festa, dall’Australian Day, in Invasion o Survival Day.
Molti anni dopo degli Inglesi, in una città del Western Australia chiamata Freemantle, la famiglia Mariani sbarca dopo un lungo viaggio iniziato da Vasto, in Abruzzo. Nel 1958 nasce quindi Domenic Desio Mariani, che da ragazzo frequenta la ricca scena musicale della città di Perth e sviluppa da subito un grande amore per il beat sixties, il garage, il rock psychedelico e il rhythm’n’blues, mediando queste sue passioni attraverso il gusto tipico della melodia e del senso estetico che è innato nel suo Dna Italiano.
Mariani, pur operando nel contesto del garage rock e power pop, che sono generi musicali centrati su istinto e ruvidezza, ha sempre dato enorme spazio a linee melodiche curate, a volte persino romantiche.
Tutti i suoi progetti musicali, espressi in band come The Stems, The Someloves e DM3 ne rappresentano esempi perfetti: riff potenti ma melodie dolci e costruite con attenzione.
Ancora un tratto distintivo dell’eredità italiana è la sua maniacale scelta dei suoni, rigorosamente generati con chitarre vintage, amplificatori valvolari ed effettistica analogica; dedizione che ricorda la cultura nostrana d’eccellenza artigianale.
Nella seconda metà degli anni ‘80, il rock underground australiano viene fuori di prepotenza dalle cantine, trascinato dal successo di band punk, rock e mainstream che si affermano a partire dalla fine della decade precedente: parliamo ovviamente di AC/DC ma anche di Radio Birdman, Saints, Inxs, Rose Tattoo, Angels, Cold Chiesel, ecc.
Questo è considerato il periodo d’oro di quella scena, segnato da un’esplosione di gruppi, generi e sottoculture che hanno avuto un impatto sia locale che internazionale.
L’Australia, pur essendo geograficamente isolata, ha sviluppato una scena vivace, grezza e altamente creativa, spesso in anticipo sui tempi. I musicisti importano influenze dal punk britannico, dalla psychedelia americana, dal garage anni ’60, ma le rielaborano in modo unico.
La prima avventura degna di nota del nostro Domenic, come già accennato sopra, è quella con gli Stems.
Un paio di demotapes attirano l’attenzione dell’occhio sempre vigile di John Needham, boss della Citadel Records, personaggio chiave con decine di pubblicazioni all’attivo e uno dei benemeriti pionieri della scena hi-energy rock degli antipodi.
Ai demo fanno seguito due singoli di grande impatto: Make You Mine e Tears Me In Two e l’EP Love Will Grow, prodotto da Rob Younger dei Radio Birdman. Qui le influenze di grandi nomi come Pretty Things e Rolling Stones sono evidenti; le chitarre fuzz graffiano ma le melodie sono accattivanti al punto di spingere i singoli ai primi posti delle indie charts dell’ Isola.
Si fa quindi avanti la Mushroom, un’altra label cruciale per la diffusione della musica rock australiana, mettendo gli Stems sotto contratto per la pubblicazione dell’inevitabile album d’esordio. Esce nel 1987 con il nome di At First Sight, Violets Are Blue. Dentro si percepiscono gli echi dei Kinks, i Beatles, i Byrds.
Anche i 13th floor Elevators fanno capolino tra i riverberi della Rickenbacker 12 corde di Mariani e il disco, trascinato da una sequenza di potenziali hit-singles come Sad Girl, Rosebud, For Always, esplode direttamente al vertice della classifica indie e raggiunge la top 30 di quella generalista.
At First Sight, ancora considerato uno dei capolavori del garage rock revival, sembra essere la consacrazione su grande scala della band, e induce i quattro ad imbarcarsi in un tour da sei settimane in Europa, ma solo per decretarne la fine per scioglimento.
Proprio come era successo 10 anni prima alla più grande band del genere, i loro conterranei Radio Birdman, il tour Europeo si rivela un disastro tra litigi, problemi di ego, incomprensioni, pessima gestione manageriale e finisce con i quattro che ne hanno abbastanza l’uno dell’ altro.
Sull’onda delle reunion dei 2000, anche gli Stems hanno avuto una seconda chance. A venti anni di distanza dallo scioglimento pubblicano nel 2007 il disco Heads Up, con il lavoro dietro la console del bassista degli Afghan Wigs, John Curley.
Pur non discostandosi dal loro stile, Mariani adatta il suono della band ai tempi moderni, incorporando elementi di grunge e alternative rock, quasi una chiusura del cerchio, dato che tanti esponenti di queste scene (Jet, Hives, Teenage Fanclub) li hanno sempre inclusi tra le loro influenze primarie.
Pur avendo avuto una carriera relativamente molto breve e non beneficiando di un successo commerciale paragonabile ad altre band australiane come INXS o Midnight Oil, l’impatto degli Stems sulla musica pop rock locale è stato comunque notevole. Sia il sound che il look, volutamente retrò e ispirati entrambi all’ estetica sixties, senza peraltro esserne una parodia, hanno rappresentato un baluardo per una lunga serie di band successive, che si sono ispirate alla loro determinazione nel restare fedeli a una propria visione nell’era della musica “patinata” degli anni ’80.
Nei quasi 40 anni che seguono Mariani si imbarca in una moltitudine di progetti che lambiscono tutto lo spettro musicale di derivazione sixties e seventies, purtroppo non avvicinandosi più al plauso mainstream sfiorato con gli Stems; anche se da vecchio marpione è consapevole che per certi traguardi bisogna arrivare a compromessi con la propria integrità artistica.
E per un musicista che non è mai stato un belloccio da rivista adolescenziale alla Michael Hutchence e che ha come obiettivo scrivere la canzone pop-rock perfetta, questo sarebbe sicuramente un limite. Obiettivo del resto quasi centrato con il disco solista Homespuns blues and Greens del 2004, ma procediamo con ordine.
Dopo lo scioglimento degli Stems, senza la pressione di una major sul collo e non dovendo inseguire il mercato, il nostro Dom si cimenta in varie avventure. The Someloves, in tandem con Darryl Mather dei Lime Spiders, power-pop con influenze folk, debitori del Byrds-sound.
Poi i DM3, (Dom Mariani Three), una pizza-connection con due connazionali, Tony Italiano e Pascal Bartolone, per un rock dal taglio chitarristico più energico, spesso con inserti di organo Hammond. Il loro secondo lavoro, Road To Rome del 1996 è una collezione di grandi composizioni che alterna hooks a presa diretta a delle pop-ballads con echi dal quartetto di Liverpool.
Con The Majestic Kelp (a partire dal 2003) il nostro si addentra nelle atmosfere surf rock, western, exotica e lounge in quattro album interamente strumentali, creando dei paesaggi che richiamano colonne sonore vintage. In questo progetto Mariani dimostra di essere molto di più di un compositore/chitarrista pop, ma un vero architetto di atmosfere per film immaginari.
Nel 2004 partecipa come chitarrista e cantante al disco Guilty As Sin del gruppo The Stoneage Hearts, band guidata da un altro personaggio poco meno che leggendario del sottobosco di Melbourne, Mick “Mickster” Baty, tentacolare e inarrestabile individuo che trascorre le sue giornate suonando la batteria in una decina di band, dirigendo una label specializzata in garage, la Off The Hip Records, con negozio di dischi annesso e lavorando come designer e visual artist.
I due, insieme al bassista Ian Whettenhall che si occupa anche della produzione, pestano duramente sulle 11 tracce del disco e modellano una mezz’ora di garage ad alta intensità impastato con una miscela di blues ruvido e sporco.
L’interpretazione vocale di Mariani torna in modo graffiante alle origini della sua carriera con gli Stems, anticipando la voglia di sonorità più hard che caratterizzano gli ultimi lavori con gli attuali Datura 4.
E i Datura 4 sono la sua creatura cronologicamente più recente, e forse la più interessante per la frangia di ascoltatori orientata al lato heavy. Insieme ad un’altra importante figura del rock degli antipodi, Greg Hitchcock (ex New Christs, You am I, The Monarchs, e altri), Dom sintetizza la sua personale versione del boogie, fondendola con elementi stoner, psychedelia acida, blues oscuro, pub rock, chitarre in feedback, improvvisazione, punk delle origini.
Ascoltando il loro fantastico debut album Demon Blues del 2015 si è spinti ad immaginare una impossibile jam tra Hendrix, Dave Alvin, Ted Nugent, ZZ Top, Josh Homme, Bo Diddley e i Blue Cheer.
Considerando che l’ultimo Invisible Hits è datato 2023, direi che l’avventura non è affatto conclusa e che all’ orizzonte si preparano altre piacevoli sorprese.
Ho tenuto volutamente per ultimo quello che per me è il capolavoro di Dom Mariani, peraltro unico suo disco da solista, che come anticipato è Homespun Blues and Greens, datato 2004.
Dopo anni di musica piena di elettricità e tensione, interazioni spesso difficoltose con altri band-members, stressanti tour tra Oceania, Europa ed America, probabilmente Mariani sente il bisogno di dedicarsi a una scrittura più intima e di raccogliere frutti da rami più agevolmente raggiungibili del suo giardino sonoro; d’altronde il desiderio di semplificazione è esplicito sin dal titolo che letteralmente richiama delicati manufatti domestici.
Registrato negli Stati Uniti con la supervisione di Mitch Easter, responsabile della creazione del suono dei R.E.M. degli esordi, Homespun libera nell’etere uno stormo di melodie tenute insieme dagli arrangiamenti raffinati di Easter e dal songwriting stellare di Mariani.
Dopo la coppia di brani in apertura, la title-track e Yuri, in cui si notano rispettivamente un’insolita brass-section e una slide a dare corposità al suono, veniamo investiti da una triade di ballads che rappresentano il mood principale del concetto alla base del disco.
Out of Reach, At Full Speed e Make the Leap toccano temi come introspezione, malinconia, nostalgia con in sottofondo la solita dodici corde di Dom che in questo disco è più cristallina che mai, sempre grazie alla produzione.
Prove sembra uscita dalla penna di Greg Sage dei Wipers, maestro dello spleen esistenziale, autore prediletto del compianto Cobain e fondamentale per le atmosfere malinconiche tipiche del rock anni ’90.
Qui il cantato di Dom è struggente, il testo descrive forse una storia in cui il protagonista chiede, anzi supplica, di poter dimostrare ancora una volta qualcosa per salvare una relazione che sta andando in frantumi (“All I ever wanted was a sign / That you were mine / And I could prove it to you”).
La conclusione del disco è affidata ad un’altra ballad, When It Ends, e se finora pensavate di essere giunti al culmine di questo climax, qui si sprofonda del tutto. Si tratta della pop-ballad definitiva, quella che Dave Faulkner degli Hoodoo Gurus sta disperatamente cercando di scrivere dai tempi di 1000 Miles Away del 1991.
Già il titolo è emblematico, non ci sono più misure risolutive da adottare, la fine di qualcosa è accettata pacificamente. E sul piano simbolico, guardando al prosieguo della carriera di Mariani, potrebbe essere stato un profetico pit-stop di metà percorso; un’ occasione per reidratarsi, riflettere e ripartire sprintando.
Insomma, se c’è un pezzo che si potrebbe considerare come la sua perfetta creatura pop, come si diceva prima, questa ci va molto vicino, chiudendo tutto il lavoro in rarefatta dissolvenza.
E l’Italia?
Com’è il rapporto di Mariani con la sua madrepatria, con il pubblico italiano e con la sua carta stampata?
Direi ottimo. Abbiamo appreso da varie interviste che lui e la sua famiglia vengono spesso a salutare i parenti in Abruzzo, e le cose vanno alla grande anche anche da un punto di vista professionale, dato che Dom ha suonato varie volte nel nostro Paese.
Federico Guglielmi forse è stato il primo a scriverne in Italia, dalle pagine del Mucchio Selvaggio, già agli esordi con gli Stems. Ci sono inoltre alcuni giornalisti che hanno un rapporto privilegiato con lui: Roberto Calabro’ (Rockerilla, Freak Out!) che ne ha scritto molte volte su carta e su web, e Massimo Dal Pozzo della rivista/etichetta romana Misty Lane, ha addirittura curato una stampa in vinile dell’antologia degli Stems From The Vault nel 2010.
Inoltre Dom Mariani ha lavorato come produttore su due dischi dei Torinesi Sick Rose, andando anche più volte in tour insieme.
Per chiudere, una curiosità: il comico e presentatore TV Gene Gnocchi è un grande appassionato e amico di lunga data di Mariani. Nel marzo del 2001 i DM3 si sono esibiti in Italia come parte del programma televisivo Perepepé da lui condotto su Rai 2.
Durante questa apparizione la band ha presentato il brano Just Like Nancy, tratto dal loro album Garage Sale Vol. 2 – Italian Style. Questa performance ha segnato una delle rare apparizioni televisive dei DM3 fuori dal circuito australiano, contribuendo a consolidare la loro presenza nel panorama musicale europeo.