G/Ab Volgar dei Deviate Damaen se la chiacchiera con Helvoth dei Grimwald su utopie, successi e fallimenti delle pulsioni identitariste nel Black Metal.
VOLGAR: allora, Helvoth, proseguono con pervicacia indefessa le nostre speculazioni intellettuali, valorosamente ospitate da Sdangher, circa l’effettivo stato della libertà espressiva nella musica estrema.
Ebbene, lo stesso termine “identità” è divenuto fra i maggiori tabù di questo nauseabondo momento storico. Tanto per cambiare, il mondo dei giullari per eccellenza, quello musicale, non poteva che essere più realista del Re; così, a fronte di tante band che decantano le proprie origini territoriali sin dal nome, dalle sembianze e dalle suggestioni liriche e timbriche, poi pochissime, sul far del giorno, si consentono effettivamente una spavalda “libertà d’orgoglio” senza tema d’incappare nelle tagliole politicamente corrette, pronte a segare come “fascista” qualsiasi rivendicazione identitaria – notare che persino l’artificialmente “intelligentissimo” word ha preso a sottolinearmi il termine in rosso: per cui aspettiamoci presto che ne inibisca automaticamente la scrittura.
Il dilemma è dunque: “fare musica in nome di ciò che davvero si è” o “forzarsi di essere ciò che il sistema impone, pur di poter fare musica”?
HELVOTH: Quella è gente che vive di “chiacchiere e distintivo”. Personaggi che si nascondono dietro a pseudonimi black metal perché fa cool, ma poi magari partecipano a compilation “antifa” per sottrarsi a eventuali giudizi esterni. Senza mezzi termini ti dico che questi gruppi del cazzo dovrebbero sciogliersi e togliersi di mezzo, evitando di infestare l’ambiente come erbacce. Per quanto mi riguarda, ho sempre detto ciò che pensavo, così come ho sempre postato frasi, immagini e foto che potevano essere scomode, ma il black metal DEVE fare paura ancora oggi! E tutti quelli che non si prendono queste responsabilità e vogliono per forza essere amici di tutti, sono solo dei fottuti perdenti! Per cui, per rispondere alla tua domanda, meglio fare musica per ciò che si è (prendendosi i propri rischi, ma rimanendo se stessi), che farla tanto per, pur di essere in una band, ma piegarsi al diktat woke. Va anche detto che queste “compagini” si scioglieranno come neve al sole, e vedremo chi sarà ancora in piedi! Facciamo tutti la nostra parte, isolandoli e non supportandoli.
VOLGAR: hai qualche aneddoto personale che ti abbia fatto sentire ostracizzato per il solo fatto di tenere le terga serrate rispetto ad obblighi o divieti del regime?
HELVOTH: Certo, nel 2020 sono stato espulso dai Vip studios – vicino a Torino – di Francesco Priolo (faccio il nome, me ne frego) perché avevo postato una mia foto con la maglietta degli Sturmführer. Il giorno dopo mi trovai un suo messaggio che diceva che non poteva più continuare a lavorare con la band perché non voleva “esporsi”. Oppure un’altra: nel 2010 una fanzine tedesca ci bandì a vita perché eravamo appena usciti con la ristampa in tape del nostro secondo EP The Berserker, rilasciata da Wolfs Hook Records from UK. E ancora: ho avuto qualche schermaglia con un paio di membri di una merdosissima band di Torino, che ora è sotto Season of Mist, per via delle mie posizioni ideologiche. E sempre nel 2020, fui attaccato da un componente degli Spells Of Misery (mi sembra si chiamino così) a causa di un mio post “scorretto”, a detta loro. Comunque io le considero tutte medaglie al valore per il sottoscritto. E che quella gente di merda vada a farsi fottere!
VOLGAR: ho notato iniziative (come quella di Sulphur ‘zine) che celebrano band che cantano in dialetto o in lingue regionali come quella sarda: sembrerebbe un buon segnale. Giorni fa mi divertivo a verificare come l’imbranato algoritmo arrancasse non poco a trascrivere in video il recitato fortemente dialettale di un’infermiera anti-abortista dell’entroterra abruzzese, ospite su un nostro brano di vent’anni fa. Insomma, le specificità localiste sono un antidoto micidiale contro l’omologazione globalista rappresentata tanto dalla tecnologia, quanto dal conformismo umanoide…
HELVOTH: Certamente le lingue locali, oltre a mantenere le tradizioni che i globalisti vorrebbero estirpare, contribuiscono a rafforzare le volontà di auto-determinarsi e di riaffermare quei fondamentali concetti di sovranità che in troppi vogliono ormai soffocare. Chi tace è complice, alla stregua di chi vuole l’omologazione culturale a vantaggio della loro agenda.
VOLGAR: quali potrebbero essere, a tuo avviso, altri generi musicali capaci di blindare il proprio d.n.a. rispetto alle lascive lusinghe della retorica woke?
HELVOTH: Oltre al black metal, ovviamente, direi anche i generi che vi gravitano attorno, pur non avendo sonorità BM, ma esprimendo concetti, contesti, ideologie e sostrati culturali a esso affini: alludo ad ambient, martial ambient, dark ambient, neofolk, pagan. A tutto ció aggiungerei anche la musica country, che racconta di una vita spartana, in mezzo alla natura, col bestiame, e rappresenta una determinata sottocultura in America, che è quella degli anglosassoni bianchi, o se non direttamente anglosassoni, trattasi di americani di origini anche tedesche o Nord/mitteleuopee.
VOLGAR: se “identità” e “territorio” vengono visti dalle zecche come fascisterie, ritieni, analogicamente, che essi possano costituire sic et simpliciter un efficace disinfestante? Non è un caso che in Europa come negli Usa il voto politico metropolitano, impestato di multiculturalismo, sia in maggioranza progressista; mentre nelle campagne suoni ancora tutt’altra musica…
HELVOTH: Certamente, perché le città sono più facilmente corruttibili al sistema e si prestano meglio alle loro marcescenti agende; sono luoghi di maggiore imbastardimento sia a livello di immigrazione internazionale, sia a livello interregionale. Per fare un esempio, a Mentoulles, qui in Val Chisone, non solo è molto difficile avere immigrati africani, asiatici o sudamericani, ma è anche difficile che ci siano tanti immigrati dal sud Italia, mentre a Torino città è l’esatto opposto. Poi dipende anche dal quartiere in cui uno vive. Io fortunatamente abito in una zona a scarsissima presenza di extracomunitari, tuttavia ho scelto di ritornare nel verde. Otto anni in città sono stati piú che abbastanza, ora ritorno alle campagne. Poi la città è anche piú spietata dal punto di vista umano: se una persona rimane senza lavoro in città, è senz’altro piú difficile e piú lunga la strada per ricollocarsi, e nell’immediato uno puó sentirsi piú abbandonato, pur essendo in una moltitudine di persone. Perdere il lavoro ed abitare in campagna, nell’immediato, è meno traumatico: il vicino ti regala un pollo, la vecchia zia ti porta un chilo di patate e quattro pomodori, l’altro zio ti porta un chilo di pane… insomma, è una vita piú autentica e meno artefatta.
VOLGAR: sei anche tu fra gli artisti coinvolti nel progetto della Masked Dead Records, Fiabe Bandite. Non ci crederai, ma c’è stata gente che lo ha mollato strada facendo per paura di ritorsioni da parte di quei 4 pezzenti della stampa antifa; cioè, parliamo di musicare fiabe per bambini, non il Mein Kampf. Ma come cazzo ci siamo ridotti?
HELVOTH: ci siamo ridotti molto male! Tra l’altro, quei patetici vermi summenzionati avrebbero paura del nulla! Ovvero, falliti pennivendoli ed imbrattacarte che, non capendo un cazzo di musica, sfogano le loro frustrazioni di musicisti mancati… rompendo le palle a chi invece porta avanti valori quali Tradizione, nazionalismo ed identitarismo. Proprio su questi tre pilastri composi Elitarian Shades Of Grimness. Speravo che i contenuti avrebbero potuto far incazzare più di qualcuno, e devo dire di esserci riuscito. Tornando a noi, l’iniziativa di Fiabe bandite è molto importante per iniziare a dare un forte segnale, e riappropriarci del nostro spazio vitale, senza wokkerie arcobalenose che lasciamo volentieri a quei clown di “blackster antifa”. Comunque un giorno mi piacerebbe sapere i nomi di quelli che hanno mollato “per paura”, e prenderli a schiaffi davanti a tutti, in pubblica piazza.
VOLGAR: Helvoth, guardiamoci negli occhi: la vedi davvero strutturabile una resistenza “true” (uso questo termine solo perché sta in culo ai soyoni), o credi che alla fine prevarrà la massa critica dei rassegnati co’ la panzetta, la megera che non vuole rogne e la ciotola dei grazie&prego ai 4 gatti che li vanno a vedere dal vivo?
HELVOTH: la resistenza “true” si è già strutturata! E se scriviamo su queste pagine, allora siamo già tra i capifila. Ovviamente ci sono tante persone “dei nostri”, là fuori, e penso che tra soyoni e rassegnati con la panzetta, alla fine avremo una speciazione, ovvero una selezione naturale che porterà i falsi a capitolare, mentre noi andremo avanti e rimarremo in piedi stoicamente! Questo lo si vede nell’ambiente, tra chi paga per suonare dal vivo e chi se la fa sotto per paura di essere delegittimato o bannato. Falliti…
VOLGAR: bene, consapevolezze simili corroborano persino iper-testosteronici cronici come me. Forza, fammi sparare un bel segone finale con qualche aneddoto succulento…
HELVOTH: eccoti servito…
• “Qualcuno nell’ambiente ci disse che eravamo dei pazzi a far uscire il nostro secondo EP in concomitanza con l’uscita di Belus di Burzum; io risposi che non ci sarebbe stato alcun problema, e che il nostro disco non sarebbe passato inosservato… infatti abbiamo avuto altre due ristampe!”
• “Non facciamo parte di alcuna scena. Suoniamo puro black metal, io sono nato e vivo nella Gallia Cisalpina, e tutti quelli a cui non piacciono i Grimwald se ne possono andare a fare in culo!”
• “Månegarm” (primo batterista) fu licenziato perché non si poteva più continuare con lui: ha sempre suonato bene, ma volevamo che fosse più potente e preciso, e soprattutto che andasse a tempo! Voglio dire, se tu lavorassi in un ristorante, e non impanassi bene le cotolette, o bruciassi le patate, beh… saresti licenziato, no?”
• “Mi hanno regalato la prima chitarra, e subito mi sono messo a studiare… per i primi sei mesi ho suonato come un matto, ma la chitarra era completamente scordata; poi qualcuno me l’ha accordata, e ho dovuto ricominciare tutto da capo”.
• “Io ho le redini del gruppo perché l’ho fondato, ma anche perché quando si sta su una macchina in corsa, è necessario che uno solo stia alla guida, e se si comincia a litigare, allora si finisce per andare a sbattere!”
• “Se non ti piacciono i Grimwald, non ti piace il black metal.”
HELVOTH
Suaviter, G/Ab VOLGAR