Metal Church – Il recupero di Hanging The Balance

Non so che tipo di percorso abbia fatto nel tempo questo album dei Metal Church, ma quando uscì, fu la Rising Sun a pubblicarlo, come molti altri grandi nomi del metal classico anni 80 rifiutati dal mercato occidentale. Tempo fa ne abbiamo detto. Dalla recensione che uscì su Metal Shock sembrava fosse un lavoro molto interessante. C’era Jerry Cantrell a duettare con Kurdt Vanderhoof sul brano d’apertura, Gods Of Second Change e Joan Jett a fare i cori su un altro pezzo (lo studio d’incisione era suo e del marito). La direzione stilistica del gruppo era ancora descritta come fortemente classica e in linea con il precedente The Human Factor, cosa non scontata al tempo. Solo che il disco si poteva rimediare a prezzi alti e dopo un lungo periodo di attesa, ordinandolo al negoziante di fiducia (figurarsi).

Ma ne valeva la pena. O almeno è quello che penso oggi, ascoltandolo. Al tempo rinunciai a cercare di averlo e come me, molti altri potenziali acquirenti. E infatti allora, a quelle condizioni travagliate d’acquisto e soprattutto per via di una situazione di ostilità generale da parte dei principali canali promozionali rispetto a certe band, Hanging The Balance non aveva speranze.

Nonostante questo, rispetto al mercato, il gruppo non fece alcun tipo di concessione. Vivevano ad Aberdeen, vicino Seattle, avrebbero potuto, come i Queensryche un paio di anni dopo, tentare una rivendicazione geografica e convertirsi al grunge, ma preferirono andare per la propria strada. Non si percepisce, per quanto lieve, il tentativo di aggiungere al minestrone quel pizzico di cupezza depressiva alla Alice In Chains (nonostante la presenza di Cantrell). Non c’era nemmeno un produttore fico o giovane e ambizioso che potesse spingere il sound verso i territori “più groove e cool” di Terry Date; che comunque era stato “sverginato” proprio dai Metal Church, al tempo del disco d’esordio.

Musicalmente in Hanging The Balance non c’era niente che potesse funzionare, nonostante il management tentò di piegare la band, sia sul piano estetico che attitudinale, alle nuove tendenze. A parte la copertina terribile, non si sa bene rivolta a quale utenza, forse chi curava gli interessi della band, cercò di convincere Jim Marshall e Mike Howe a indossare delle camicie di flanella e tingere i capelli di verde, ma di sicuro con questi tentativi di “modernizzazione” il management ottenne solo la morte temporanea dei Metal Church.

Non fu infatti il mercato magrissimo, la principale ragione della resa. In quello era già palese la difficoltà. Il gruppo stava andando sempre più indietro da un pezzo, i ragazzi lo sapevano e ne soffrivano; ma se ne fregavano anche.

Almeno, alcuni di loro. Per dire, il “bassista verso il sole” Duke Erickson lasciò poco dopo l’uscita dell’album perché suonare nei Church era diventata un’attività molto impegnativa e dalle prospettive sempre più grame; aveva una famiglia, iniziava a sentirsi vecchio eccetera eccetera.

Altri, come Howe però, si defilarono perché mortificati dal trattamento di “chi gestiva le cose”. L’etichetta e il manager non si fidavano del gruppo e sentivano di dovergli dire cosa fare su tutto. Per lui questo era sufficiente a chiudere lì la carriera. Aveva avuto qualche anno ricco di soddisfazioni, realizzato tre grandi album metal con una super-band, vaffanculo e grazie.

Hanghing The Balance era davvero puro: era il disco che il gruppo voleva fare e che il pubblico residuo, ancora interessato, avrebbe desiderato sentire. Era roba che il 99 per cento del sistema occidentale discografico avrebbe buttato nel cesso senza nemmeno dargli una possibilità, ma chissenefrega.

Non c’erano grandi canzoni. Per quelle Vanderhoof aveva perso lo slancio da almeno un paio d’album, però la qualità generale era alta, come per tutte le uscite precedenti del gruppo dopo The Dark.

Per dire, Little Boy è un capolavoro metal sulla bomba atomica; una sorta di film musicale lungo otto minuti e capace di suggestionare la mente oltre che le arterie. Anche End Of The Edge è un pezzone progressivo dall’afflato spirituale.

Ed è qui che l’album mi ha sorpreso, la carica comunicativa dei testi. Non è la solita sbobba da defenders, c’è uno sguardo critico al mondo molto personale, una visione sull’uomo e Dio che sembra contenere una precisa filosofia.

Potremmo avvicinare Hanging… nelle liriche, a certe cose scritte dagli Helloween con Andi Deris negli anni 90. Pure qui c’è una grossa componente “christian”, ma non solo in questo album. Credo che il merito di un livello tanto complesso dei temi sia da ricondurre a Mike Howe.

Infatti, senza voler togliere nulla al compositore principe del gruppo Kurdt, è da Blessing In Disguise e poi ancora di più nel sottovalutato (da me) The Human Factor che i temi profondi e intimi aumentano di pari passo con l’analisi schietta della società. Non è un caso, io credo, che aumenti nei crediti sulle liriche, la presenza del vocalist rispetto a quella di Vanderhoof. Era Mike il responsabile di quei contenuti.