Sore Throat – Pianti e vagiti di bambini

Pensavo di scrivere un preambolo che delineasse i miei rapporti e opinioni sulle scene Punk, Hardcore e Grind, ma sarebbe poco interessante. In sintesi: il Punk è fuffa tranne Clash e Ramones; i musicisti che si sono evoluti come Sioxsie e Damned, ottimi; l’Hardcore è meglio del punk e i Crossover derivati ancor più; l’interazione di velocità e melodia di Motorhead, Exciter da un lato e Bad brains, Husker du dall’altro fu necessaria allo sviluppo anche del Grindcore; analisi del sostrato da cui lo stile nacque…
Invece comincio con un ricordo :il primo impatto avvenne una sera di Maggio. Con mia moglie e un amico ci recammo in un centro sociale di una località dello Yorkshire. La sera era fresca, i locali odoravano di spezie e umanità in movimento, e mentre discutendo se la scena Grebo sarebbe sopravvissuta e avrebbe rivitalizzato l’Heavy in affanno, qualcosa esplose sul placo: erano i Sore throat. Il concerto fu cacofonico, ma all’incredulità sopraggiunsero stupore e una cosa che ancora non compresi. Reperii i loro dischi.
E mi entusiasmai scoprendo quel qualcosa.

Il titolo del primo EP, Death to capitalist hardcore, era libidine pura: l’Hardcore definito asservito al sistema (vedi i Bad religion con la Epitaph), il Grind suonato con vena divertita, la provocazione che s’esprimeva anche con i grugniti della voce. Unhindered by talent era il degno seguito, col blast che dominava la ritmica.

Il discorso di critica interna al loro stesso ambiente proseguiva col capolavoro Disgrace to the corpse of Sid, ben registrato da Gold Frankincense & Disk Drive, gente che bazzicava sua maestà Banton dei Van Der Graaf generator. Disco geniale: nei primi cinque minuti in venti brani si odono effetti usati in modo smaliziato su voci e chitarre, inserti che precorrevano i White zombie di LA sexorcisto, soffi in un tubo, un orologio a cucù…

Avevo trovato qualcosa che il Thrashcore inseguiva alle volta in modo affannoso: la comicità e nel loro caso la satira. Avevo trovato i Monty Python del Grind, forse la nuova Bonzo dog doo dah band.

Il grind death era gioco, un’avventura sonora per colpire senza essere seriosi, con growl e scream usati in un modo che non fece storcere il naso ai puristi di qualcosa appena nato come invece  fa negli ultimi lustri.

La seconda parte di quel disco è una lunga e mostruosa coda di brani che anticipavano il death doom, la necessaria compensazione al diluvio del primo lato come i dischi acustici spezzano le serie elettriche di Neil Young.

Nel 1989 Inde$troy sembrava slanciare altrove quel gruppo meraviglioso, pescando da ogni dove (pure Godflesh e musica ambientale) per ampliare il discorso.

L’ultimo disco, Never mind the Napalm, è un capolavoro di titolo: sghignazza sul passato (i Sex pistols) il presente (i loro sodali Napalm death) e forse il futuro (i “depressoni” di Seattle), ma la musica non era altrettanto ottima.

Seguì lo scioglimento: le carriere dei membri proseguirono, con Richard Walker nei Solstice e Brian Talbot che nei Doom “alleggerì” il discorso del gruppo d’origine fino a giungere all’apice nel 2013 con Corrupt fucking system, un disco che mescolava sapientemente le due tendenze (l’ipersonica e la lenta) nella prima risposta concreta al grind doom dei Disembowelment, e il cui ascolto è un buon anticipo di questo Starving wolves stand and fight.

Avevo preparato una recensione, ma nessuno prima di Sdangher l’ha voluta pubblicare. Meraviglie di un’epoca libera, per chi la libertà la vende e insozza: invito a leggere i commenti dei Rymtardati alla pagina dell’Ep, perché quando sono negativi sono garanzia di qualità.

I Sore throat assaltano le chiusure del 2020-2022 con il loro spirito insieme violento e sardonico, un’azione da commando che solo il Grind ormai consente e che qui su Sdangher trova sicuri seguaci e all’esterno gli immondi panegirici degli pseudosovversivi piccolo borghesi: i titoli sono al solito perfetti (“Orwellian corpus”, “Sodomised by Big Pharma”) e suonano insieme liberatori e inquietanti.

A livello compositivo si è di fronte a ventuno brani compressi in 10 minuti. Si avverte una paradossale posatezza e maturazione rispetto agli esordi, l’agilità nella scrittura pare migliorata e quello che all’esordio era spesso improvvisazione qui si trasforma (come su Inde$troy) in amalgama perfetto di intuizioni e premeditazione.

I capolavori sono Charge of the 77th brigade (la parte dell’esercito albionico che controlla le attività della “disinformazione”), Controlled opposition, Per asperata ad aspera, Dance to your overlord tune e Clap like fucking monkeys (esilaranti) Eat this grenade, Stand and fight.

Sonoramente l’EP si caratterizza per suoni di chitarra aspri che guadagnano un inaspettato senso della melodia nelle incalzanti sfuriate tipiche del genere le voci sono invecchiate bene e la sezione ritmica è senza freni.

L’assalto di brani grind si sublima poi nel macabro e barocco finale di Grand solar minimum, gemma nel gioiello del disco: una lunga digressione di otto minuti, quasi rilettura Doomdeath dei Dead can dance con degli ottoni spaventosi che ruggiscono stentorei sull’andamento maestoso d’una canzone degna dei migliori Candlemass.

E su tutto questo, si stagliano progressivamente pianti e vagiti di bambini, una spaventosa mossa sonora che pone un dilemma: ansia per la nuova generazione o analogia ai versi di Roger Waters in Confortambly numb? Solo le prossime uscite del gruppo ci daranno una risposta. Per ora, si può solo dire, anzi urlare: bentornati (e magari i prossimi saranno gli Old lady drivers)!

(Tony Paul Bevan Rossi)