Quicksand – Il post-hardcore fighetto di inizio anni 90

I Quicksand hanno rappresentato qualcosa per numerosi adolescenti americani appassionati di skate, all’inizio degli anni 90. Personalmente ero un adolescente italiano colonizzato dagli Stati Uniti, in quegli anni, ma non avevo la passione per lo skate e non sapevo nulla dei Quicksand. Li ho scoperti solo da pochi giorni e in circostanze su cui preferisco sorvolare. Mi sono domandato non tanto cosa ne penso oggi ma che ne avrei pensato negli anni 90, se fossero finiti nel mio radar. Probabilmente li avrei detestati. Per me sarebbero stati solo una delle numerose e sempre più insopportabili grunge band che affollavano il mercato heavy in quel periodo.
Per la verità non erano grunge ma post-hardcore e ora che ve l’ho detto immaginerete qualcosa tipo i Winter o gli Helmet al più, ma frenatevi. Il loro leader e fondatore Walter Schreifels era già stato in uno dei gruppi, a detta di chi se ne intende di quella roba, della scena hardcore americana: i Gorilla Bisquits. Nel 1993 si era rifatto un’identità con i Quicksand, ma non fatico a immaginare la delusione dei suoi vecchi fan quando lo videro su MTV a fare surf sulla grande onda del Sistema dopo anni a smanacciare bestemmie controcorrente. Ma non giudico, andiamo avanti.

Confesso di non capire bene cosa ci fosse di hardcore per quanto post nei Quicksand, ma prendo per buona la cosa e me li ascolto e riascolto. In apparenza hanno il suono di chitarre generoso, procace degli Alice In Chains e Slip, il primo album mi alita addosso il respiro pesante e saporito dei classici, per quanto minori. Pare abbia influenzato un sacco di gente, tra cui persino i Deftones, ma dopo una settimana di ascolti, a stento posso aver capito dove e come ma non me la sento di spiegarlo a qualcuno.

Dal 2009, il bassista Sergio Vega dei Quicksand si è unito proprio ai Deftones e mi sa che ci suoni ancora con loro da quel dì.

Ma teniamoci sui Quicksand. Ho ascoltato tutta la loro discografia. Non sono riuscito a venirne fuori prima di qualche giorno ma è stato come avere un orgasmo ritardato fino allo smosciamento fatidico.

Si tratta di quattro album in 31 anni. I primi uscirono entro il 1996. Il gruppo andava forte allora. Fu headliner in un festival molto importante e molto itinerante negli Stati Uniti; ora non ricordo il nome ma sono sicuro che non era il Lollapalooza. Per tre anni passarono sulla MTV USA con circa sette video-clip in 24 mesi e divennero un nome fisso nelle radio universitarie.

Lo stress da tour, le lotte interne e le idee confuse di Schreifels su ciò che voleva fare da grande, produssero un break che si protrasse per alcuni anni prima di sancire definitivamente e irrevocabilmente lo scioglimento dei Quicksand.

Il mondo passò oltre senza grandi drammi. Del resto, nonostante fossero nati in seno alla Polygram e passati poi con la Island, non erano riusciti a raggiungere chissà quali cifre di vendita, quindi sia le grandi etichette che il pubblico di massa a stento si accorsero della loro implosione.

Walter però non mollò lo showbiz e ripartì con un nuovo progetto post-rock fighetto, i Rival Schools. Si diede da fare anche come produttore e smanettò addirittura sul disco di una band molto promettente che gli avevano sottoposto quelli della Island: i Killers.

Poi nel 2017, dopo una serie di concerti, Schreifels e gli altri hanno deciso di rimettersi insieme e fare qualcosa in studio. C’erano dei brani che il gruppo aveva scritto nel periodo in cui si erano sciolti ma forse no e invece sì, però non li hanno voluti riprendere e sono ripartiti da zero, rilanciandosi dopo quasi vent’anni come trio cariatide del rock anni 90; non più un quartetto.

Ve l’avevo detto che i Quicksand erano stati un quartetto negli anni 90? Che sbadato.

In tre, i Quicksand hanno inciso due album, Interiors e Distant Populations. Li ho trovati due lavori molto buoni, coerenti col passato e forti di almeno un paio di pezzi notevoli: Illuminant e Colossus.

Anche Slip e il secondo disco, Manic Compressionreggono bene dopo tanti anni, anzi. Il mio problema con i Quicksand è che non mi accendono niente in profondità. Apprezzo il sound massiccio e deflagrante, il gusto dei riff e la bontà di certe melodie. Riconosco che Faser e Dine Alone siano ancora oggi due pezzi davvero esaurienti, se si vuol spiegare in tre minuti a un millennial cosa era diventato il rock americano tra il collasso dei Nirvana e l’esplosione dei Blink 182. Però due palle.

Anche dopo vent’anni, Schreifels prende un riff, ci appiccica un paio di melodie e in poche battute ecco un altro pezzo. Si tratta di una scelta voluta: devi saperlo dire in non meno di tre minuti, ma diciamo che ciò che dice non è per me.

Dell’hardcore probabilmente ha mantenuto questa gran voglia di urlare sinceramente, con le mani a coppa, issato come un fiero Huck Finn  sulla prua di barchette dalle strutture semplici, agili, ma fatte per navigare su acque tranquille e poco profonde.