Lo spunto è arrivato leggendo il pezzo su Vinnie Moore. Esiste un disco strumentale o chitarristico capace di durare più del tempo necessario a farsi un’idea? Ho mentalmente ripercorso la mia collezione fisica e digitale: c’è stata una fase Satriani piuttosto lunga, di cui resta giusto una manciata di canzoni e due-tre dischi dopo un vero e proprio rigetto. Passion And Warfare di Steve Vai è notevole, ma quanta voglia posso avere di rimetterlo su? Non possiedo più le energie mentali necessarie e infatti sta ancora lì in bella vista. Poi c’è Malmsteen, che pur essendo una versione al nandrolone di Ritchie Blackmore ha lasciato un segno ben più profondo della sua tamarraggine; voglio dire, ha pubblicato grandi dischi e composto grandi canzoni, almeno per una parte della sua carriera e forse proprio per questo c’è poco da aggiungere.
Dal mondo degli shredders rimango a debita distanza, è una categoria che appartiene ormai al passato e su cui non mi azzardo davvero a spendere una parola. Doveroso invece farlo su una pubblicazione che a distanza di anni mi ha lasciato il segno, pur essendo uscita nell’indifferenza generale.
La storia è questa, era tipo il 2013 e ravanavo disordinatamente nei meandri di YouTube quando mi imbatto nel trailer, o teaser, quel che è, di un disco interamente strumentale firmato Anders Bjorler. Una musica oscura, ancestrale e carica di tensione come solo uno proveniente dall’estremo poteva concepire, eppure fruibile e affascinante, un magma sonoro quasi orchestrale come certe cose dei Pink Floyd più recenti e ambient, tanto per usare un termine di paragone abusato.
Comunque sì, era proprio lui, uno dei fratellini terribili dietro il progetto At The Gates, e qui potremmo pure fermarci. Ora, non ricordo se aveva già avuto la crisi mistica e si era preso il suo periodo sabbatico dalla band oltre che dai The Haunted; erano gli anni dei panni sporchi lavati in piazza da Peter Dolving, per chi se lo ricorda, e il quadro che ne usciva era davvero di un coacervo di miserie umane, altro che mito e cattiveria. Lo stato sociale svedese produce mostri e anche di questo potremmo parlarne sul cartaceo.
Il contesto nel quale nasce, cresce e si muove Anders Bjorler meriterebbe un approfondimento dato che, in quanto a controversie e problematicità, non è secondo a nessuno. Tornando indietro, il cursus honorum del musicista black metal prevede una svolta mistica attorno ai quaranta; arrivato a quell’età, dopo anni di timpani fatti a pezzi, il nostro eroe si inventa una svolta ambient, o chill-out, o folk, insomma, qualcosa che lo riabilita anche a un pubblico più ampio e che lascia dire “vedi? Lo si intuiva sin dal primo demo che c’era del genio”.
Più seriamente, un caro amico che di musica ne ha masticata parecchia sostiene che la sensibilità di chi viene dall’estremo non lascia spazio a mezze misure: se apprezzi i Dissection è più probabile che tra i tuoi ascolti ci siano band come Radiohead e Mars Volta, invece di Iron Maiden o Judas Priest.
Le poche note che uscirono da quell’anticipazione mi destabilizzarono al punto tale che dovetti confrontarmi con un bisogno fisico, ossia procurarmi a tutti i costi una copia del disco. All’epoca recensivo per un magazine e niente, lo stato maggiore del portale non aveva contatti con quel mondo, l’etichetta boh, mai sentita, fai tu, totale libertà.
Scrissi allo stesso Anders via mail, gli dissi che volevo recensire il disco. Fu molto gentile, lui stesso mi spedì la copia fisica a casa. Me lo sentivo che quel disco aveva una storia da raccontare, e che storia. A distanza di anni ricordo perfettamente tutti i passaggi che mi portarono ad averlo e ancora oggi lo ascolto che è un piacere.
Antikythera è in realtà una lunga e ininterrotta dissertazione, frammentata da una serie di interessanti variazioni sul tema. Mi rendo conto che può sembrare un riferimento ruffiano, ma alcune sequenze, soprattutto quelle che pescano quasi nel jazz, in quei territori indefiniti fatti di oscurità e riferimento colti, beh, non avrebbero affatto sfigurato come colonna sonora per il cinema di David Lynch.
Sarà per la tensione che si percepisce in maniera costante durante l’ascolto, spalmata su tutte le dodici tracce delle durata media di tre-quattro minuti ciascuno; basta questo a rendere l’idea del perimetro in cui ci stiamo muovendo.
Non aspettatevi fiumi di note, scale diminuite o pornografia strumentale: largo a fraseggi, arpeggi, inserti di basso, di sax, di moog e piano, uno per ogni strumento, ciascuno perfettamente funzionale alla melodia e al quadro di fondo.
Rispetto ad Antikythera non c’è stato né un prima né un dopo: sappiamo solo che Anders era uscito dagli At The Gates, è stato qualche anno a farsi i fatti suoi senza che gliene fregasse granché di condividerlo col mondo. Non c’è stato un tour né una strategia promozionale, sembra quasi di avergli portato via il disco dalla cameretta facendogli un torto. Eppure è proprio vero, ci sono artisti che hanno una sensibilità fuori dal comune e molto spesso sono quelli che deviano dal sentiero principale.