A proposito dei Truly e del music business

Ringrazio Domenico Cecaro per avermeli fatti conoscere. Ovviamente sapevo già dei Truly, ma solo come progetto successivo ai Soundgarden del “disperso” Hiro Yamamoto. Leggendo di loro in giro per la rete, la cosa che colpisce di più la gente è che sia lui, il fondatore di una delle più celebri band di Seattle, che Mark Pickerel, batterista degli Screaming Trees, mollarono i propri gruppi sul più bello per ripartire da un nuovo progetto molto spigoloso e intransigente.

Sono due i miti intorno a questa vulgata: intanto sia Hiro che Mark non erano il cuore del gruppo. A scrivere i pezzi era soprattutto Robert Roth, il quale fino a prima di fondare i Truly, era famoso per aver sfiorato il ruolo di quarto membro dei Nirvana. Inoltre i Truly, con tutto il rispetto, non erano intransigenti e contro il sistema, come la recessione dei due “big” coinvolti, farebbe ancora pensare.

Certo, Hiro odiava la piega metal che i suoi Soundgarden avevano preso. Testualmente ne aveva abbastanza delle pose testosteroniche da dio del rock di Chris Cornell e dalla progressiva annessione del gruppo al circuito heavy che lui detestava. Mark invece era uscito dai Trees dopo averci dato dentro per tutto il loro cammino fino all’approdo con la Epic; se era andato prima dell’incisione del loro best-seller assoluto: Sweet Oblivion.

Quindi anche lui sembrò voler prendere le distanze da una situazione che stava diventando sempre meno alternativa al sistema, eppure i Truly fecero ciò che fecero seguendo le direttive di una grossa etichetta. E persero.

Se si studia un po’ il rock e le vicende delle varie band, specie quelle che non ce l’hanno fatta (o non ce l’hanno fatta del tutto) si scoprono un sacco di situazioni ridicole, inverosimili e crudeli su come il business delle grandi label, smanioso di fare soldi, abbia sprecato e divorato il talento di un sacco di gente meritevole. Robert Roth credo sia stato uno di questi. Appena uscì l’EP dei Truly per la SubPop le cose si mossero subito intorno al gruppo e nel giro di un paio d’anni, arrivò la firma per la Capitol Records.

Robert Roth, il quale nei suoi sballi più vanagloriosi, aveva in mente di succedere a ciò che il grunge aveva creato a ridosso dei primi anni 90, sognava prima che Nevermind esplodesse, di prendere le redini di quel suono e farne qualcosa di post. Poi tutto divenne un gran casino, con il successo, la moda e il mercato che irruppe a Seattle. I Truly proprio per questo diventarono presto interessanti e si beccarono il contrattone.

Se ascoltate il primo album del gruppo: Fast Stories… from Kid Coma, uscito nel 1995, potreste come me rimanere sorpresi per quanto sia debordante in un modo che se ne frega delle regole. Il suono è gigantesco e via via che si accumulano gli ascolti, si espande sempre di più nella mia mente, colando una bile pesante e appiccicosa sul mio cuoricino, fino ad avvolgerlo e rendere più affannoso e lento il suo sobbalzare nella mia vecchia carcassa.

Non ci sono le canzoncine di successo, è proprio tutto un insieme di grandi melodie, chitarre spaziali, intermezzi d’atmosfera quasi lynchiana (nel senso del poro David) e melodie struggenti. C’è oscurità, sentimento, psichedelia, orrore, sogno… Insomma, si tratta di un album rock come se ne facevano vent’anni prima, capite?

E se Fast Stories è così, non lo dobbiamo a un’attitudine specifica dei Truly, ma alle direttive della Capitol. Chi era al comando appena la band iniziò a lavorare ai demo disse a Roth di fregarsene di fare delle hit, ma di concentrarsi sul disco tutto. Per Robert, Hiro e Mark fu meraviglioso sentirsi dire una cosa del genere. Erano fatti apposta per questo, ma sapevano bene di avere pure la capacità di scrivere grandi canzoni capaci di reggersi in piedi da sole.

Sull’EP Heart And Lugs è chiaro che sanno farlo; lì ci sono forse i brani più riusciti del gruppo, intendendo proprio solo dei brani riusciti. Eppure i tipi della Capitol dissero di lasciar perdere quella formula pop da tre minuti col ritornello appiccicaticcio e darci dentro con la sperimentazione, creare un unicum di emozioni, immaginazioni, qualcosa di grosso e indomito che rappresentasse una specie di film allucinante, un viaggio straordinario oltre le soglie della percezione, un sogno o un incubo ininterrotto in alto mare in attesa dello squalo in compagnia di Steven Spielberg e Hitler insieme.

E credetemi, lasciate perdere le vostre fisime metallare sul grunge, aprite cuore e testa, spingete play e chiudete i cazzo di occhi. Lasciate che Fast Stories… vi sommerga. Sarete come una vecchia casa della bassa che attende a cosce aperte il fiume grosso ancora una volta nelle proprie stanze.

Quando tornerete fuori da quelle acque putride sarete pieni di strani animaletti dell’oceano profondo, ricordi di avventure a cui nessuno vorrà prestare attenzione. Sarete dannatamente soli, come dopo ogni esperienza decisiva di questa cazzo di vita che state vivendo con le orecchie sempre piene di musica rumorosa e gli occhi appannati da una strana nebbia divina che non si decide a portarvi via.

Il disco uscì e a sentire Roth, il tour a supporto stava andando benone. Era doveroso però che la Capitol, con le sue possibilità economiche, desse una mano e permettesse ai Truly di sfruttare in pieno quel momento positivo.

Stiamo parlando di un anno dopo la morte di Cobain. Nella memoria collettiva, nel 1995 il grunge era morto e il grosso pubblico era già andato oltre Seattle, ma non fu davvero così. Ci fu un rinnovato interesse per il genere e le grandi etichette tentarono di sfruttarlo e scovare un nuovo “fenomeno” in grado di raccoglierne l’eredità. Non volevano però dei novelli Pearl Jam, ma qualcuno cotto e mangiato in stile Pearl Jam che sapesse tirar fuori delle hit e pedalare per il benessere delle etichette grasse e ciniche che erano. Chi pensa ai Bush e i Creed non ha tutti i torti, vero?

Per un momento, i Truly, almeno secondo chi se ne intendeva di quella scena, avrebbero potuto diventare, assieme ai Sunny Day Real Estate, la sola eredità sana al grunge di Seattle ma ahimé, di solito non è chi se ne intende che decide le cose.

La Capitol rispose alle pressanti telefonate di Robert Roth che non aveva senso spingere Fast Stories… dopo mesi dalla sua uscita. Durante la lavorazione di quel disco, l’etichetta aveva subito vari avvicendamenti strutturali e chi si era sentito col gruppo, consigliandolo di fare “IL DISCO” non ci aveva capito molto. Se l’album era andato bene era per via del momento buono per il grunge e della qualità intrinseca nella proposta dei Truly, ma non per via della gestione della Capitol, che lo ammetteva, non aveva fatto praticamente una ceppa per aiutarli a venderlo.

Adesso però le cose sarebbero state diverse, disse la grossa voce materna al telefono. “Ecco i soldi per dei nuovi demo, lasciate perdere Fast Stories… e concentratevi sul disco nuovo”. La Capitol avrebbe seguito con molta attenzione ogni passo, favorendo il gruppo con sapienti strategie di vendita e di supporto, prima, durante e soprattutto dopo l’uscita, per la scalata al successo vero.

Robert, Hiro e Mark si sentirono decisamente confusi, ma provarono. In fondo tutta quella dispersione creativa, quella psichedelia, come la definì sbrigativamente lo stesso Yamamoto, era per lui stancante e non rappresentava davvero lo spettro molto ricco di capacità creative del gruppo. Roth si mise sotto e tirò fuori qualche nuova canzunciella. Era quello che aveva fatto da subito per i Truly, prima che la Capitol gli dicesse di scrivere i dischi e iniziare a pensare alle hit, solo dopo il quarto o quinto lavoro.

I Truly mandarono i nuovi demo alla Capitol. I boss, dopo aver ascoltato Leatherette Tears caddero preda di un amore incondizionato per il brano e si esaltarono davvero. Incoraggiarono il gruppo a scriverne altre così e Roth lo fece, solo per quelli dell’etichetta, ma i pezzi proposti dopo quel primo esemplare meraviglioso, erano carini, molto carini, ma non avevano il “potere” che aveva quello. “Quindi… dateci dentro!”

Roth scrisse ancora canzoni e alla fine il gruppo le raccolse tutte nel disco Feeling You Up. Le vendite non furono granché, alla Capitol passarono nuovi moti digestivi e qualcuno un giorno, in risposta alle angosce di Roth, fece incidere sulla pietra dei muri della reception al primo piano degli uffici, che da quel momento in poi ci si sarebbe occupati solo di Everclear, Foo Fighters, Radiohead e The Beatles. I Truly erano ovviamente diventati i… Chi? I Cosa?

Feeling You Up non è un lavoro da buttar via. Roth sa scrivere grandi pezzi e pure lì ce ne sono, ma questo cambio drastico dalla visione estesa, il vaffanculo in wide screen a Nevermind di Fast Stories… per realizzare un album snello, di brani corti, tutto sommato ordinario, e alternativamente accattivante, ha sempre lasciato un po’ interdetto e stranito il pubblico dei Truly.

Sembrava un po’ una mossa anticonformista, certo: invece di restare su uno stile così denso e nutrito come Fast Stories… dove ci sono comunque brani decisivi come Blue Flame Ford, Hurricane Dance, Virtually, i Truly avevano fatto civettuolamente un album pop, ma non era una mossa artistica decisa in libertà: quei poveretti avevano solo commesso l’errore di seguire gli imput della Capitol.

Avevano realizzato un buon lavoro perché avevano talento e se dietro ci fosse stato qualcuno con un po’ di potere e di memoria, i Truly avrebbero raccolto molto più di quanto hanno seminato. Ma l’etichetta era questo moloch schizoide fatto di mille teste e culi che saltavano e una sola volontà incessante volta al successo. I Radiohead, che studiarono con molta attenzione Fast Stories, qualche anno dopo ottennero i riconoscimenti che Robert Roth non ha mai avuto.

E pensare che alla Capitol, quando lui firmò il contratto, l’aria intorno alla band di Tom Yorke era nerissima: si pensava che fossero solo un cazzo di gruppo da una botta e via (Creep) e volevano liberarsi di loro. Va beh…