Dopo non so quanti anni, ho riascoltato Superunknown dei Soundgarden e non sono impazzito di nostalgia, di ammirazione, di goduria. Non mi ha mai fatto una grande impressione ma l’ultima volta credo di aver capito il motivo. Il sound, che al tempo decretò la definitiva consacrazione della band, non è più così aggressivo e pesante. Non è metal. Restano gli influssi sulla scrittura di certe band (Black Sabbath, Alice Cooper) ma il felino è addomesticato. Fino a Badmotorfinger, per quanto le canzoni avessero uno stile molto particolare e che alla lunga trovavo faticoso da seguire, la band aveva un suono davvero potente e cazzone. Qui è tutto impeccabile ma più soft. Per carità, è uno dei dischi rock più importanti e genuini degli anni 90, uno dei “classici” assoluti, ma di rock parliamo e a me il “rock rock” non è mai bastato.
Superunknown ha le canzoni giuste per il botto (Black Hole Sun, esatto!!!1!) e si merita tutto il successo raggiunto, però rappresenta il momento esatto in cui ho smesso di seguire i Soundgarden. Sticazzi, direte e va bene, ma che altro potrei aggiungere alla gran mole letteraria che è stata scritta su un titolo del genere? Se non usassi la mia esperienza, per quanto insignificante, non potrei far altro che ripetere dati, aneddoti, considerazioni critiche risapute.
Per dire, io non ho ancora mai sentito Down On The Upside e nonostante ci siano un sacco di persone a garantirmi che varrebbe la pena farlo, non è che l’abbia messo tra le dieci cose da risolvere per il 2023 e 24. Credo non sarà nemmeno quello che arriva, l’anno in cui colmerò una così grave lacuna.
King Animal? Ah, già, ci sarebbe anche quello da sentire…
Ricordo che comprai Superunknown perché non mi bastava ascoltare Black Hole Sun alla TV e alla radio. Quel pezzo era commerciale ma lo riconoscevo come tale a istinto. Era irresistibile ma alla stregua di Smell Like Ten Spirits non si riconduceva a nulla che fosse stato commerciale. Vinceva come non aveva mai vinto nessuno prima. Per dire, la maggior parte delle hit di Lenny Kravitz ricordano qualcosa. Sono buoni pezzi, hanno successo, ma calcano uno stampo che ha dato molti frutti in passato. La maggioranza dei pezzi che salgono le classifiche oggi si reggono sui medesimi giri. Black Hole Sun è una roba assurda che però conquistò il mondo. Era una bellezza aliena. Ho imparato a suonarla e per farlo mi è servita un’accordatura diversa da quella in Mi.
Se i Nirvana hanno avuto successo è perché le loro canzoni si potevano suonare facilmente. Chiunque, dopo un anno di pratica, era in grado di fare tutto Nevermind e questo è grandioso, ma Black Hole Sun è uno dei brani più difficili che ci siano. E il pubblico l’adora. Non ho mai sentito una cover band riproporla e non so come i Soundgarden riuscissero a renderla dal vivo, non mi interessa. Ascoltare la versione in studio è sbalorditivo. Sweet Child O’ Mine non lo è. Capisco cosa la regge su, comprendo le dinamiche e in fondo è sempre il vecchio rock. La “power ballad” dei Soundgarden non viene dalle assolate strade della California, non rimanda alle bigie e fuliginose strade in cui scorrazzavano lieti i Beatles. Sembra partorita da Chernobyll.
Volevo potermi sparare quel brano in cuffia mentre attraversavo la campagna verso le due di pomeriggio, sotto il sole di luglio. Era quello il momento in cui, incomprensibilmente, mi decidevo a portare fuori l’immondizia. E dovevo attraversare un lungo tratto di strada, in mezzo a campi e roveti fino al cassonetto più vicino. E acquistai il disco per quello, anzi la cassetta.
Poi feci questa cosa, un paio di volte e mi bastò. Che altro mi restava? Ah, beh, provare a sentirmi il resto dell’album. Spoon Man la conoscevo già e la trovavo carina, ma oltre quella cosa c’era? Sentii tutte le canzoni dalla prima all’ultima però, nel giro di qualche settimana, Superunknwon passò da me a mia sorella. Lei se lo consumò durante i successivi cinque anni. Pezzi come The Day I Tried To Live, Fell On Black Days, le ascoltai un milione di volte, passivamente, dal fondo delle scale che portavano alla sua cameretta. Non sapevo come si intitolassero, ma le assorbii e solo adesso, dopo aver riascoltato il disco, le ricollego ai titoli.
Ieri mi sono messo lì e l’ho risentito da cima a fondo e ho riconosciuto diversi momenti che mi erano entrati nel culo senza rendermene conto. Stavano lì e la mia mente ha reagito. Mi sono ritrovato a sorridere quando è partito il riff di Limo Wreck o mentre galleggiavo in mezzo a 4th of July. Ci sono dei pezzetti di canzone che ho riconosciuto perché su Videomusic, quando passavano lo spot pubblicitario per l’uscita del disco, c’era un piccolo mix skippante di alcuni incipit dei brani e mi sono rimasti impressi da lì.
Insomma, la cosa interessante è che “questi” Soundgarden, pur rifiutandoli, mi sono entrati nelle vene per altre vie (la TV, mia sorella, gli amici, chissà cosa). Non dico di amare il disco ma ce l’ho dentro di me da anni. Ho riconosciuto in esso una famigliarità, anche per via dei patetici tentativi di Queensryche e Motley Crue di imitarlo; Hear In The Now Frontier e la fase modernista di Nikki Sixx devono tantissimo a Chris Cornell e io paradossalmente ho trascorso molto più tempo a cercare di farmi piacere quella roba che la loro matrice creativa.
Però anche stavolta, io l’ho trovato noioso, Superunknown. Il mio problema con i Soundgarden è che la tirano troppo per le lunghe, a volte. Il loro disco best-seller assoluto, ha comunque una durata eccessiva, per gli standard commerciali. Oltre settanta minuti che si potevano asciugare, soprattutto nella prima parte. Credo che My Way, la title-track e Mailman siano ridondanti.
Ma è quello l’elemento in grado di ribadire la purezza del gruppo. Avevano l’hit assurda per fare sfracelli in classifica (e come sovente accade se ne accorse prima il produttore di loro che l’avevano realizzata e la tenevano lì), riuscirono a limare il suono dalle asperità e dagli spigoli più taglienti del loro stile, ma non rinunciarono alla prolissità, anche al momento di conquistare “le signore che passano l’aspirapolvere”.
Sono quasi sicuro che nessuno di quelli che hanno sentito l’album per via di quei tre o quattro pezzi irresistibili, l’abbia ascoltato per intero più di una volta. Ma la sua indigeribilità è l’ingrediente che fa
Dopo questo picco, la band si sbriciolò e non c’è da sorprendersi. Se leggete il libro di Valeria Sgarella, scoprite perché. Ho notato che il comparto lirico è pieno di propositi suicidi e di depressione. Un album che festeggia il successo assoluto di un gruppo nato per fare soldi e sconvolgere gli adolescenti, non esprime una grande eccitazione mentre è in procinto di riempire alla grande i conti in banca. I Soundgarden salirono sulla vetta del mondo con un’espressione molto provata e grigia. E non videro l’ora di scendere e sparire nella nebbia.