Alla fine degli anni ’80, il thrash metal era un genere ormai maturo, con scene consolidate in diverse parti del mondo. Mentre band come Metallica, Slayer, Anthrax, Testament e Megadeth definivano i canoni principali, una piccola ondata di gruppi iniziava a spingere i confini del genere verso territori inesplorati, incorporando elementi di complessità tecnica, strutture progressive e una maggiore attenzione alla melodia e all’armonia.
Di contro ci fu invece chi imbastardì il suono con derivazioni punk, hardcore e groove, portandolo verso un certo lido “grezzo e ruvido”, due scuole di pensiero diverse, che poi con il susseguirsi di nuove tendenze, portarono il pubblico a perdere di interesse, sovrastato da altri sottogeneri emergenti. Personalmente ho sempre amato alla follia il primo filone, ovvero tutte quelle realtà più avanguardiste, come Watchtower, Target, Voivod, Realm, Mekong Delta, Coroner e tanti altri, pur non disdegnado i canoni classici. Ecco che porrò alla vostra attenzione i Toxik, autori di due primi album stratosferici, che meritano un’analisi più profonda per farli (ri) scoprire a molti lettori.
Originari di Peekskill, New York, dopo svariati demo tapes e cambi di formazione, trovarono la quadratura del cerchio, stabilendo una volta per tutte cosa significasse la parola “complessità”. Il debutto World Circus, è un assalto sonoro che colpisce immediatamente per la sua energia dirompente e la sua sorprendente perizia strutturale ed esecutiva. Il fulcro, il mastermind, il deus ex machina Josh Christian è già al centro della scena. I suoi riff sono veloci, taglienti, spesso sincopati e tecnicamente impegnativi.
Non si limita alla classica ritmica thrash “palm-muted”, ma introduce passaggi più intricati, arpeggi veloci e cambi di accordi inaspettati. La sua abilità solistica è evidente: assoli fulminei, ricchi di shredding, scale complesse e un accenno a influenze neoclassiche, pur mantenendo sempre un’impronta aggressiva. Brani come Heart Attack o Pain and Misery mostrano questa dualità tra furia thrash e precisione tecnica.
A differenza di altre, tante, troppe band in cui il basso “doppia” gli accordi o martella senza grande fantasia, nei Toxik Brian Bonini crea linee complesse e contrappuntistiche, aggiungendo profondità armonica e ritmica. Lavora in tandem con la batteria di Tad Leger, che è un motore potente, oliato e preciso, capace di sostenere tempi velocissimi ma anche di inserirsi con pattern complessi, fill intricati e un uso fantasioso dei piatti e dei controtempi, come si sente in Social Overload.
La sezione ritmica è fondamentale nel gestire i frequenti cambi di tempo e le strutture non lineari dei brani. A corollario dell’impianto strumentale arriva poi voce di Mike Sanders, uno degli elementi più caratteristici di World Circus. Il suo stile è aggressivo, acuto, quasi stridulo a tratti, perfettamente in linea con l’estetica thrash dell’epoca, ma con una capacità di raggiungere note alte aggiungendo un elemento quasi isterico e disperato alla musica, amplificando il senso di urgenza dei testi. Anche se radicati nel thrash, i brani dell’album mostrano già una tendenza alla complessità. Non seguono la tipica struttura strofa-ritornello-strofa.
Presentano invece sezioni strumentali estese, cambi di tempo repentini, breakdown tecnici e sviluppi tematici interni che li avvicinano al progressive metal. Voices e la title track sono esempi lampanti di questa ambizione compositiva. Le liriche di questo debutto riflettono le ansie e le critiche sociali tipiche del thrash metal più impegnato degli anni ’80, ma con un taglio spesso più analitico e meno diretto rispetto ad altre band, toccando molteplici ambiti, in modo sempre acuto e riflessivo.
Temi come la manipolazione dei media (Social Overload), l’ipocrisia del potere, la guerra fredda e la paranoia nucleare sono centrali. World Circus dipinge la società come un circo grottesco e caotico, dove le masse sono spettatori passivi di uno spettacolo orchestrato da forze invisibili.
Il pezzo Heart Attack descrive per esempio la brutalità e l’alienazione della vita moderna; il collasso nervoso di fronte a una realtà opprimente. Pain and Misery e Voices invece esplorano stati mentali alterati, la sofferenza psicologica e la sensazione di essere intrappolati in un sistema o nella propria mente. Le “voci” possono essere interpretate sia letteralmente (follia) sia metaforicamente (le voci della propaganda, della società).
Il linguaggio è spesso diretto ma evocativo, usando metafore forti per veicolare messaggi di critica e disagio. C’è un senso di urgenza e di avvertimento che pervade l’intero album. Già World Circus è di caratura elevatissima, ma quando i Toxik bissano con Think This, la partita si chiude definitivamente: la parola “perfezione” si può abbinare tranquillamente a questo stupefacente lavoro. La chitarra di Christian raggiunge qui il suo apice. I riff diventano ancora più complessi, intricati, spesso basati su pattern ritmici dispari e armonie dissonanti o jazzistiche.
L’interplay tra chitarra ritmica e solista è sbalorditivo. Gli assoli sono vere e proprie composizioni nella composizione: tecnicamente ineccepibili, velocissimi ma anche incredibilmente melodici e strutturati, con un fraseggio che attinge dal metal, dal jazz/fusion e dal neoclassico in modo fluido e originale. Pensiamo a a Technical Arrogance o Spontaneous come splendenti vetrine della sua abilità.
La sinergia tra basso e batteria è ancora più stretta. Bonini dialoga costantemente con la chitarra, con linee di basso virtuosistiche e complesse che sono parte integrante dell’arrangiamento (Greed). Leger dimostra una padronanza totale dello strumento, gestendo cambi di tempo impossibili, poliritmie, groove complessi e fill fulminei con apparente facilità (Shotgun Logic).
La sezione ritmica è il motore pulsante e imprevedibile dell’album. Il cambiamento più evidente rispetto a World Circus è l’arrivo del cantante Charles Sabin. Il suo stile è radicalmente diverso da quello di Sanders e fa balzare le composizione verso l’Olimpo del techno thrash. Egli possiede una voce pulita, potente, incredibilmente estesa verso l’alto, con un timbro che ricorda i grandi vocalist come Geoff Tate dei Queensrÿche o Ray Alder dei Fates Warning.
La sua interpretazione è più melodica e controllata, pur mantenendo l’energia necessaria. Questa scelta vocale sposta l’equilibrio della band: l’aggressività pura del thrash lascia spazio a una maggiore enfasi sulla melodia e sulla pulizia esecutiva, rendendo il suono complessivo ancora più “progressivo”.
Le composizioni si allungano e diventano labirintiche. Le strutture sono estremamente complesse, piene di sezioni contrastanti, intermezzi acustici (In God), passaggi strumentali elaboratissimi, dinamiche variabili e una scrittura che sfida costantemente le aspettative dell’ascoltatore. Black and White e la title track Think This sono esempi perfetti di questa architettura musicale sofisticata e imprevedibile.
L’influenza del progressive rock (Rush, King Crimson) è molto più marcata. Le liriche di Think This continuano sulla scia della critica sociale, ma si fanno forse più introspettive, filosofiche e focalizzate sull’impatto della tecnologia e della modernità sull’individuo e sulla società. Comparando World Circus e Think This, emerge una chiara traiettoria evolutiva.
Il primo è un album di techno-thrash potente e innovativo, ma ancora saldamente ancorato alle radici del genere, con la sua aggressività grezza, Think This è un’opera più matura, raffinata e ambiziosa. La complessità musicale raggiunge livelli sbalorditivi, le influenze progressive e fusion sono pienamente integrate.
A mio avviso i Toxik hanno lasciato un’impronta indelebile nella storia del metal. Hanno dimostrato che il thrash poteva essere non solo veloce e aggressivo,
ma anche incredibilmente tecnico, complesso e intellettualmente stimolante. Think This, in particolare, è un album che suona ancora oggi fresco, audace e tecnicamente impressionante, che ha influenzato e continua a influenzare molte band odierne.
I Toxik dei primi due album non erano solo musicisti eccezionali, ma anche pensatori critici, e la loro musica ne è la testimonianza più potente, indelebile e incontrovertibile. La band sta proseguendo la sua carriera, con album di buon livello, ma la spinta e la “fame” che ha prodotto i primi due album è irripetibile. Questo è un invito a non farli dimenticare, a diffonderne la presenza e a riconsegnarli a una dimensione più consona, ovvero quella di “eccellenze” purtroppo oscurate da altre realtà più “appetibili” ma non lontanamente accostabili come valore assoluto.