Whiterfall – Nocturnes And Requiems – Dalla fucina dei White Wizzard…

Si trova poco in rete sul debutto dei Whiterfall (se ne parla soprattutto su degli orrendi blog spagnoli). Forse siamo noi i primi italiani a recensirli, qui a Sdangher!? Di sicuro i primi cavalli. Magari anche gli ultimi. Per darvi un’idea di chi siano faccio presto: due su quattro di loro vengono dalla megascuderia White Wizzard. Ok, non vi ho detto granché, lo so, ma in fondo è questo che sono, niente di speciale. Bravi, abbastanza esperti da uscirsene con un lavoro scafato e audace ma non saranno loro a cambiare la faccia del metal. E noi speriamo sempre di trovarla una band così speciale.Nocturnes And Requiems (titolo dell’album, yeah) è un misto di King Diamond, Helstar e Charred Walls Of The Damned e sebbene duri quasi cinquanta minuti e con una media di brani superiore ai sei minuti, alla fine sembra corto. Non voglio dire che ne avrei voluto di più ma che per l’afflato generale dei pezzi e dalla grandeur avrebbe avuto bisogno di altri venti minuti buoni. Così pare abbiano deciso di tagliar corto per mancanza di fondi, tempo o pazienza.

Non ne sono certo ma dovrebbe trattarsi di un concept, probabilmente lo è, altrimenti interludi dai titoli come questi: Finale, Act III, non avrebbero ragione di esistere e in fin dei conti anche come strumentali d’aggancio non sono indimenticabili. La musica nell’insieme è coerente; pare condurci da qualche parte, sapete no? I brani che scivolano l’uno dentro l’altro. Però manca qualcosa. Tipo un produttore bravo che sia in grado di estrapolare da un buonissimo gruppo un sound e una visione chiara, personale.

A parte le svisatissime riomare di Jake Drayer e l’interpretazione minchia che canna di Joseph Michael, con un vocione che sa imbastire falsetti alla Halford e modulazioni piacioniche alla LaBrie, l’album in sé ha il pregio di non rifugiarsi mai troppo nei cliché del metal anni 80. Non li definirei Naive Metal (sapete, roba tipo Razor, Enforcer, Stryker). Le melodie e i riff arrivano dal metallo anni 80, ovvio, ma i brani non risultano compiaciuti e celebrativi. Per dire, Nobody Sleeps Here… esprime davvero un immaginario spettrale, coerente con il bell’artwork; l’iniziale Portrait è degna dei Mercyful Fate anni 90. Mica proprio uno schifo, quindi. Probabilmente si estingueranno tra un disco o due. Di sicuro però io sarò curioso di sentirli.